BORIS 3/ Manca la risata nella fuori serie italiana che prende in giro il mondo della fiction

- Elisa Rossini

Continua su Fox il telefilm che ha fatto dellironia tagliente il suo marchio di fabbrica, prendendosi gioco della serialità televisiva italiana: ELISA ROSSINI spiega perché la terza stagione avrebbe perso parte del suo acume e della sua originalità

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A due settimane dal debutto possiamo già azzardare un giudizio: nella terza stagione di Boris manca lelemento chiave della serie, la risata. Un aspetto imprescindibile delle sit-com è proprio il fatto di suscitare il riso nel pubblico; eppure, dopo la visione delle prime quattro puntate non si può fare a meno di notare che si è riso poco, troppo poco. Il telefilm, definito la fuori-serie italiana, ha fatto dellironia tagliente e della scorrettezza il suo marchio di fabbrica, ma sembra che la terza stagione abbia perso parte del suo acume e della sua originalità.

Dopo i primi due episodi, andati in onda due settimane fa, il problema sembrava essere lobiettivo a cui era rivolto il tono ironico della serie: la politica aveva sostituto il mondo della televisione, in un prodotto che sembrava la versione sit-com del programma della Dandini. Ma dopo le puntate andate in onda la scorsa settimana, in cui si è parlato meno di politica e si è tornati sul set, ci si accorge che il problema è un altro.

Il telefilm racconta le vicende della troupe di un prodotto televisivo. Metateatro, insomma: fare una serie, prendendo in giro proprio il mondo delle fiction made in Italy a cui si appartiene. O quasi. Infatti Boris ironizza sulla serialità da prima serata, quella di Rai 1 insomma, essendo però un prodotto un po più libero e sicuramente di nicchia, visto che va in onda sulla tv satellitare.

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Dopo aver raccontato gli scorsi anni il mondo delle soap attraverso la fittizia Gli occhi del cuore, il regista Renè (Francesco Pannofino) e la sua squadra si trovano di fronte a una nuova sfida: il medical. Una fiction ospedaliera, intitolata Medical Dimension (il riferimento a Dr. House è evidente) che mira alla qualità imitando i prodotti americani. Niente più “a c…o di cane”, ma la nuova parola d’ordine è “scarto”, termine con cui il regista bolla le sempre più frequenti scene non buone. Renè è diventato “il Saviano della fiction”.

 

Eppure Boris è cresciuto e così anche il suo pubblico. È difficile ora sorprendere lo spettatore che aveva amato la serie perché era stata in grado, nelle passate stagioni, di smitizzare il mondo della televisione italiana, raccontandoci il dietro le quinte della produzione di una fiction, tra raccomandazioni, scarsa professionalità e influenze politiche. Ora non c’è più niente da smitizzare, il pubblico è più smaliziato e forse ambisce a qualcosa di più.

Ma questo qualcosa di più non arriva.

 

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Il fido pesciolino del regista Renè non è più Boris, ma Federer e così anche il telefilm, come il regista che si riflette nel pesce, sembra aver perso la sua anima. Troppe linee narrative che si disperdono nella breve e serrata mezz’ora della sit-com; si tenta di seguire tutti i personaggi del cast, andando però a perdere in profondità ed interesse. Le situazioni che si creano sul set sanno di già visto, le dinamiche sono ripetitive e i personaggi troppo uguali a se stessi.

E così anche i conflitti che si creano tra loro sembrano posticci, finti e poco coinvolgenti, come quello tra Arianna e Alessandro, amanti divisi da opposte visioni politiche.

Già la loro storia d’amore, che era stata introdotta nella passata stagione nel tentativo di dare una linea orizzontale al telefilm, era sembrata appiccicata e poco inerente allo spirito del programma, che invece faceva delle puntate autoconclusive la sua ragion d’essere.

 

Ma ora unire la chiave amorosa con quella politica sembra davvero troppo. Che gli sceneggiatori fossero troppo impegnati a pensare all’esordio di Boris al cinema – pare infatti certo che si farà un film della serie – per concentrarsi appieno sulla terza stagione televisiva? La risposta stasera, alle 22.45 su Fx.







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