WORLD INVASION/ Tra proclami e patriottismo, un film sulla guerra alla diversità

- Emanuele Rauco

Nel film di Liebesman, commenta EMANUELE RAUCO, troviamo fantascienza bellica di vecchissimo stampo, che preferisce concentrarsi sull'esercito, anziché sfruttare il suo potenziale

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Era dai tempi di Independance Day di Emmerich che la fantascienza non era una questione di fronte, di trincee, di bandiere e valori bellico-patriottici, come accadeva durante la guerra fredda: ci pensa Jonathan Liebesman (Non aprite quella porta – L’inizio) a realizzare una sorta di Berretti verdi (caposaldo della propaganda americana firmato John Wayne) della fantascienza, che ha però il difetto capitale di deludere anche sul piano spettacolare e avventuroso.

La città di Los Angeles è rapidamente invasa da squadroni di extraterrestri armati e bellicosi, che bombardano e devastano ogni cosa: a cercare di arginarli c’è la compagnia del sergente Nantz che però viene incastrata nelle case e nei quartieri della città. Servirà loro coraggio e sacrificio per salvare Los Angeles da quella che pare solo la prima tappa di un invasione su scala mondiale.

Sorta di Black Hawk Down (di Ridley Scott) ma con grossi alieni al posto dei soldati somali, il film scritto da Christopher Bertolini vuole rispolverare l’etica conservatrice e patriottica del rapporto con l’extraterrestre e della difesa della frontiera interna e per fare questo usa l’evidente e interessante metafora delle case, dei quartieri suburbani in cui si svolge gran parte del film.

Che infatti, fin dall’inizio, è tutto dentro la logica e gli ambienti militari e racconta della guerra in casa, dell’invasione dello straniero e della necessità (culturale?) di difendere le proprie barriere con il sangue e l’onore, spettacolarizzando la morte e la distruzione con immagini paradossali, che ricordano l’Iraq e i bombardamenti a Bagdad, e che paiono controproducenti e fuori luogo, così come la disquisizione sulla colonizzazione dei mostri che dimentica comodamente le colonizzazioni americane qui e là per il mondo: nulla di diverso ideologicamente da Alba rossa di Milius, il problema però è che Liebesman cerca di riciclare il verismo da reportage di District 9 di Blomkamp senza saper usare la macchina a mano, senza tensione, senza azione, perdendo nettamente il confronto col film dell’86 con Patrick Swayze.

La sceneggiatura saccheggia il capolavoro del fumetto argentino L’eternauta di Oesterheld e Lopez, lancia qualche proclama più o meno convinto, dichiara presto l’approccio di fondo che equipara gli animali agli alieni; Liebesman dal canto suo va col pilota automatico, tanto ci pensano il montaggio di Christian Wagner e gli effetti visivi. Ma nulla può contro un cast che ha come unica espressione il mento volitivo, bambino messicano/futuro marine compreso. Con buona pace di Aaron Eckhart, coinvolto suo malgrado in un progetto nato vecchio.





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