IL CASO/ Fabio Volo, un fenomeno figlio di un cortocircuito

- Massimo Bordoni

Larte - ricorda MASSIMO BORDONI nel commentare il fenomeno Fabio Volo - sta più nella forma che nel contenuto, e peculiarmente nella sottile dialettica che si instaura tra le due

fabio_voloR400 Foto: Infophoto

Dire o scrivere le parole Fabio Volo e libro oppure addirittura romanzo nella stessa frase suona per molti critici come una bestemmia, un delitto di lesa letteratura. Perché mai, vista la notevole presa dei suoi libri, e dei film tratti da essi? Sono tutti questi solo degli osservatori con la puzza sotto il naso, anche invidiosi di tanto, forse immeritato successo? Daltro canto cè anche chi definisce il suo ultimo libro un capolavoro, non si capisce con quanta dose di buona fede: la geopolitica editoriale gioca sempre un forte ruolo in questi giudizi. Cè poi chi addirittura lo chiama piccolo genio (Luca Telese, Il Fatto Quotidiano del 24/12/2011), in forza di argomentazioni più che sensate. Sarà, però ai più Fabio Volo appare geniale solo nel cavalcare furbescamente londa del modo attualmente in voga di scrivere e vendere libri di narrativa, di cui discorreremo. Infine, sopra a tutto ed incurante di tutto, cè il suo pubblico, i suoi lettori forse più le lettrici che pare siano milioni: tutti cerebrolesi impazziti? Giudizio snob, notevolmente errato, poiché il pubblico è per definizione sovrano, cioè legge (o guarda, per il cinema) quello che gli pare e piace, non è per nulla obbligato ad avere dimestichezza con discipline come la retorica, la stilistica, la semiologia, il linguaggio del cinema o la sua storia.  

Ma la questione, il fenomeno in parte nuovo è un altro, e si è manifestato indipendentemente dalle specifiche conoscenze o attitudini del pubblico. Come mai oggi, più che in passato, libri come quelli di Volo, puerili nella forma, ricolmi di luoghi comuni e con soggetti poco originali, sbancano le classifiche di vendita ?

Il Volo scrittore si inserisce in una tendenza in atto negli ultimi anni, non solo in Italia: la tendenza alla mercificazione dellopera letteraria, e di quella darte in generale. Il fenomeno è ampio, non si limita ai best seller di Volo, interessa molti altri personaggi-autori improvvisati, che pubblicano di tutto solo perché celebri tramite la tv. Esso è, storicamente, appena preceduto da quello della diffusione delle (inguardabili) fiction comparse su tutte le tv nellultimo decennio, almeno. Ormai tutto (libri, film per le sale e film tv) è primariamente un prodotto dellindustria editoriale e mediatica, che come tale non vuole prototipi, ma modelli standard, costruiti secondo caratteristiche che trovino ampio riscontro di pubblico, quindi di mercato. Il cinema come la letteratura di massa diventa così un mero prodotto industriale, che fin dallorigine si rivolge ad un target predefinito di spettatori-lettori-consumatori. Per onestà, va detto che questa tipologia di opere è sempre stata presente nel panorama dellofferta, editoriale come mediatica; il guaio oggi, nellera del mercato globale e della finanza tiranna, è che sono rimaste quasi solo queste.

In questo contesto, scrivere in forma banale testi del tipo “bigliettino dei Baci Perugina” è di certo un vantaggio, nel senso di un prodotto ben fatto per un dato mercato. Ed ai sostenitori di Volo, i quali obiettano che sui Baci Perugina si trovano anche citazioni da opere di Hermann Hesse o Marcel Proust, ricordiamo per inciso che questi erano autori di testi letterari, pensati secondo forme e tematiche finalizzate ad un messaggio artistico, non certo destinato alle carte dei cioccolatini.  

D’altronde, inoltrandoci nel fenomeno del “fabiovolismo”, incipiente nella nostra proposta letteraria contemporanea, notiamo un altro curioso aspetto: la valenza del termine stesso “fenomeno”. Esso si presta a facili equivoci: dovrebbe significare soltanto che Fabio Volo è una manifestazione (fenomeno) di un processo socio-culturale complesso, è oggi la punta di quell’iceberg di letteratura-merce che abbiamo brevemente delineato, e non che egli sia una sorta di super eroe o simili, in possesso di poteri fenomenali. Si tratta dello stesso ordine di equivoci che è sorto sulle parole “fantastico” ed “eccezionale”. Esse delineano, come sappiamo, concetti semplici (vedesi vocabolario), diversi – quasi anche semanticamente – rispetto al senso sovrappostosi ad essi, prodotto dall’abuso enfatico che la tv (guarda caso) ne ha fatto dall’era dei network privati in poi. Esempio: un qualunque persona che vinca, con una canzone in genere appena decente, il Festival della Canzone Italiana di Sanremo, lo si sente definire dalla tv come fantastico, eccezionale, fenomenale. Ora, è un fatto eccezionale (cioè che costituisce un’eccezione rispetto alla regola) che una persona un po’ urlante – ovvero una ragazzina tatuata fino alle orecchie – vinca Sanremo con una canzone banale? Può essere, questo/a cantante, definito/a fenomenale nel senso comune del termine (in questo, l’esempio non è dei migliori)? Ed ancora, è questo un fatto fantastico, cioè proprio della fantasia? Quest’ultima cosa molti di noi la auspicherebbero: svegliarsi la domenica post-kermesse e realizzare, con sollievo, che si è trattato solo di un brutto sogno. Purtroppo era la pura, rigorosa realtà televisiva. 

Facili ironie a parte, le parole sono importanti, come urlava Nanni Moretti nelle orecchie della giornalista qualunquista in Palombella Rossa (1989). Decenni di elettroshock mediatico di questo tipo ha prodotto un pubblico che mediamente scambia i libri di Volo o di Moccia per letteratura, ed i film da essi tratti, come i tanti altri di taglio simile, per cinema, in fondo senza particolari colpe per gli autori. Sia agli uni che agli altri, per essere compiutamente letteratura e cinema, mancano infatti alcuni fondamentali caratteri formali. L’arte, generalmente intesa ed in ogni campo, sta più nella forma che nel contenuto, e peculiarmente nella sottile dialettica che si instaura tra le due, mediante la quale i valori tematici dell’opera (anche i più ovviamente legati all’epoca storica) vengono formalizzati e quelli formali (lingua e/o linguaggio) vengono semantizzati, cioè riempiti di significati. Dall’interazione fra queste serie di valori nasce il senso globale del messaggio artistico, il valore compiuto di un’opera letteraria o cinematografica. 
 

Nell’era della massificazione dei gusti, perseguita scientificamente dalla tv commerciale (ma anche statale) per suoi precisi scopi di marketing – un’orgia di programmi concepiti solo come contenitori per la pubblicità – è progressivamente divenuto superfluo, in buona parte, il lavoro di costruzione di un testo letterario, concepito come delineato sopra. Un libro si vende bene anche senza tale lavoro, purché ne contenga “di ogni” (vero, Melissa P. ?), basta poi dare al tutto anche solo una vaga – ovviamente stereotipata – valenza generazionale.

L’inizio di detto processo di massificazione si può intravedere, più o meno, nei primi anni ottanta. In pochi allora se ne accorsero, tra questi piace ricordare l’immenso Federico Fellini. Quello che il regista, all’epoca di Ginger e Fred (1986), profeticamente sosteneva a proposito del cinema, si può applicare oggi anche alla letteratura: egli lamentava infatti che “le continue interruzioni dei film trasmessi dalle tv private sono un vero e proprio arbitrio e non soltanto verso un autore e verso un’opera, ma anche verso lo spettatore. (…). Lo stravolgimento di qualsiasi sintassi articolata ha come unico risultato quello di creare una sterminata platea di analfabeti.”. Parlava, Fellini, di linguaggio del cinema, disarticolato dalle interruzioni arbitrarie e reso così illeggibile allo spettatore. In questo modo si è formato – proprio in senso didattico – un pubblico che, mediamente e salve le dovute eccezioni, si beve di tutto. Quindi, per vendere bene oggi racconti e romanzi, come per vendere cinema e fiction televisiva, la forma artistica non serve, semplicemente non fa parte degli ingredienti richiesti dal mercato. Il marketing, per queste vie, ha già ucciso quasi del tutto il cinema italiano, sta finendo per fare la stessa cosa con la letteratura: Fabio Volo ne è solo un – parzialmente – involontario epigono.





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