MANCHESTER BY THE SEA/ Il film sulla colpa destinato a non vincere l’Oscar

- Roberto Bernocchi

Il film di Kenneth Lonergan, con protagonisti Casey Affleck e Lucas Hedges, è una storia dolorosa sul tema della colpa, spiega ROBERTO BERNOCCHI nella sua recensione

Manchester_by_the_sea_R439 Una scena del film

Lee Chandler (Casey Affleck) ha un passato felice e un presente di grande sofferenza. Conduce una vita isolata e depressa, come tuttofare di un condominio, sulle coste di Manchester, piccola e rigida cittadina sulle coste settentrionali del Massachusetts. La scomparsa del fratello Joe lo costringe a prendersi cura del nipote Patrick, trovatosi improvvisamente senza un padre e con una madre deviata e introvabile, scomparsa tra le fatiche della vita. A Lee spetta infatti la patria potestà e la conseguente responsabilità di accompagnare il suo amabile nipote al di là del guado. Un passato davvero ingombrante sembra però ostacolare il percorso di questa nuova possibile famiglia.

Il fratello brutto di Ben Affleck è l’anima di Manchester by the Sea, film americano dal taglio europeo. Sguardo perso e assente, a rappresentare un dolore profondo, represso, insistente, Casey Affleck offre il suo migliore contributo portandoci nel mezzo di una vita che mai avrebbe voluto vivere. Interpreta Lee, un uomo senza pace. E non sappiamo perché. Lo scopriamo lentamente, in un crescendo di rivelazioni che fotografa la sua vita prima di avere rinunciato a viverla.

Lee sopravvive a testa bassa, sopportando l’umiliazione, la pietà o l’indifferenza che gli sta attorno. Uomo burbero e anaffettivo, vive la giornata per concluderla, soffocando il respiro, castigando il sorriso, oppresso da ciò che non può dimenticare. Di tanto in tanto esplode, in un’ira eccessiva e liberatoria che solo un mare di sofferenza potrebbe giustificare.

Quando la tragedia si somma alla tragedia, Lee è chiamato a rispondere, per l’affetto silenziato che lo ha legato, in anni lontani e felici, al fratello e al suo adorabile figlio. Su quest’ultimo piomba la ruvida paternità di chi padre non vuole più essere.

Il giovane Patrick (ben interpretato da Lucas Hedges, al suo quarto film), bravo nell’esprimere al tempo stesso le sue ansie adolescenziali, la sua tristezza spaesata e la sua frizzante energia di rinascita, si trova così sospeso tra una madre assente, un padre morto tragicamente e uno zio affranto e imbronciato, impegnato a dispensare permessi e divieti al nipote con un’insensibilità egocentrica che fatica a spiegarsi. Ma lo capiremo poi, arrivando a comprendere il dolore che avvolge la storia, ambientata in una gelida e ostile cittadina americana, anch’essa insensibile ai cadaveri terreni.

Manchester by the Sea è l’inverno dell’anima. Una storia dolorosa sul tema della colpa, concentrata su profondi ritratti psicologici di una manciata di relazioni. Un buon film che, nel creare barriere affettive, conduce dritto alla tragedia umana, trovando un’empatica sofferenza animata da “se” e “ma”.

Una sorpresa vederlo agli Oscar, abituati a coprire di applausi le storie di eroi e cavallerie, concentrati più spesso sulle colorate sfumature delle emozioni del pubblico piuttosto che sui grigi silenzi di un’esistenza in frantumi. E infatti non vincerà.







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