RACCONTO/ Il silenzio di Andrea, i progetti di Abdul

- La Redazione

Questo racconto di ELISABETTA DI MARIA prende ispirazione dall'arresto di Andrea Campione, l'italiano convertito all'islam accusato di addestramento ad attività con finalità di terrorismo.

islam_r400 Foto: Fotolia

Questo è un racconto di fantasia che prende ispirazione dall’arresto di Andrea Campione, 28 anni, avvenuto nel corso di un’operazione anti-terrorismo della Digos di Cagliari con l’accusa di addestramento ad attività con finalità di terrorismo. Dopo essersi convertito all’islam, Campione ha cambiato il suo nome in Abdul Wahid al Siquily e, secondo gli investigatori, stava portando avanti un progetto di terrorismo islamico attraverso l’acquisizione e la diffusione di diversi testi di natura jahidista e quaedista. Fidanzato con una giovane marocchina, l’uomo stava per lasciare definitivamente l’Italia alla volta del Marocco.  


“…e poi dammi un chilo di passatelli.”

“Ecco, Andrea, tò: è un po’ che non ti vedevo. Stai bene? Va’ che bella barbetta… E la tua mamma? Ha un bel da fare quella donna con tutti voi… Meno male che te sei grande e puoi darle una mano… Come va il lavoro?”

“E come vuoi che vada, Piera… Tutti i giorni son lì alle cinque e per tutta la mattina controllo legni e chiodi, chiodi e legni…”

“Va’ là, dài, non ti lamentare… Almeno te ce l’hai un mestiere… I tuoi amici, il Davide e il Luca, han trovato qualcosa? Li vedo tutto il giorno in giro… È vita quella lì, secondo te?”

“Non ne so niente di quei due lì. No che non è vita, Piera.”

Saluta in fretta, chiaramente stizzito, e va verso casa.

“Andrea, alle tre c’è da andare a prendere Paolo a scuola e poi bisogna portarlo dal pediatra. Ci puoi andare te?”

“Non posso, mamma, alle tre mi chiama l’Aisha.”

La mamma entra piano in camera sua e lo guarda con dolcezza, mentre lui mette velocemente un foglietto sotto al computer.

“Ti ha telefonato ancora la Raffaella: ma perché non la richiami?”

“Mamma, non m’interessa la Raffaella: mi deve lasciar stare. Ha sbagliato. E da quel che so continua a sbagliare”.

“Tutti possiamo sbagliare, Andrea. Ha sempre avuto molta pazienza con te. Ho incontrato sua sorella e mi ha detto che sta proprio male: non mangia, non riesce a dormire. Magari, se vi parlate…”

“No. La strada per me è un’altra. E poi adesso sto con Aisha, lo vuoi capire? Che cos’ha che non ti va bene? Lei sì che ci tiene a me. Mamma, mercoledì parto con lei e poi mi fermo in Marocco a studiare.

“E il lavoro? Cosa fai, lo lasci?? Vai a studiare… Andrea, cosa c’è… Ma dimmi un po’: te quand’è che hai mai studiato così tanto? Cosa ti sta succedendo?”

“Mamma, ma te davvero saresti più tranquilla a vedermi con la Raffaella e gli altri, tutti i fine-settimana ad andar su e giù con la macchina a Riccione bevuti e fumati!? Sei sicura che saresti contenta? Ti lamenti perché tuo figlio studia, osserva le regole e vuole stare con una donna che lo rispetta. O ti dà fastidio che è marocchina? Dillo…

La mamma perde le staffe.“Ma smettila di far lo scemo!! Cosa vuol dire “che lo rispetta”, Andrea? Dici robe strane… Ti fa sentire importante che lei ti aspetta chiusa in casa come una talpa? Perché, io non lo rispetto il tuo papà? E te e i tuoi fratelli, non vi rispetto? E no, non vi rispetto! Perché esco la mattina alle cinque per andare a lavorare! Ma va’ là che ti stai rincretinendo, va’ là… non mi sembri più te, Andrea. Ah, no, scusa: “Abdul”. È così che vuoi che ti chiami, adesso: “Abdul”!”

Cala il silenzio. La madre sa che non si sono detti niente, che c’è qualcosa da cui il figlio la vuol tener lontano e che non è riuscita a farsi raccontare. Raccoglie dal letto una maglia da lavare ed esce dalla stanza.

Andrea esce di casa sbattendo la porta.

Quei discorsi legnosi… Qualcosa proprio non le torna, rientra piano nella camera, non l’aveva mai fatto prima. Cerca qualcosa. Nell’armadio, tra i libri, sposta il tappeto, ma non trova niente.

Il foglietto sotto al computer: Andrea l’ha lasciato lì, lo afferra.

Suonano alla porta. Non fa in tempo ad aprire che quattro poliziotti sono già in casa. “Andrea Campione. È qui o no? Ci dica immediatamente dove lo troviamo. Lei stia ferma qui”. Dopo una perlustrazione veloce della casa escono più velocemente di quando sono entrati, tranne uno di loro che le chiede della camera del figlio. Mentre l’agente fruga dappertutto, la donna cerca voracemente in quel foglietto che ha accartocciato in mano tutto quello che sente di essersi lasciata sfuggire da mesi. La scrittura precisa e minuta la fa sentire ancora più incapace. “Doppio successo: i lupi mangiano i lupi. Doppio successo, doppia ricompensa. Solo chi ha coraggio può andare oltre, Abdul. Il resto, a Jalalabad. Per ora: una pistola sparachiodi, un minisaldatore, un foglio d’alluminio, legno, chiodi…”

 

(Elisabetta Di Maria)

 

 





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