ROGO A PRATO/ Kyenge: colpe anche nostre, i cinesi devono potersi fidare di noi
Secondo il ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge, ci sono responsabilità anche nostre nel drammatico incidente di Prato che domenica 1 dicembre ha fatto 7 vittime e due ustionati gravi 03 dicembre 2013 Redazioneimmagine d'archivio
Il ministro per l’integrazione del governo Letta, Cécile Kyenge, ha commentato in occasione di un’intervista al Messaggero di Roma, il dramma di Prato: il rogo che domenica 1 dicembre ha fatto sette vittime (e due ustionati gravi) in una ditta tessile di cinesi dove le condizioni di lavoro e di sicurezza dei lavoratori erano da terzo mondo. Queste le sue parole: “La comunità cinese ha le sue colpe, noi abbiamo le nostre. I cinesi hanno bisogno di uscire dalle loro comunità chiuse, ma per farlo devono potersi fidare di noi. E noi forse non abbiamo dato loro tutta la protezione necessaria”. Il ministro continua: “I bambini cinesi di Prato sono ormai italiani di terza generazione. Parlano i dialetti locali. Vanno a scuola e si direbbe che siano perfettamente integrati. Ma quando crescono ed entrano nell’età lavorativa si trovano praticamente tutti rinchiusi all’interno delle varie imprese a carattere familiare. E se sono sfruttati, non denunciano”, per poi concludere: “Noi dovremmo dare loro la sicurezza della protezione, se denunciano lo sfruttamento. La loro difesa passa per un percorso di immigrazione regolare”. Non è comunque una questione restringibile alla sola Prato, città nevralgica della produzione tessile. È intervenuto in merito anche Enrico Giovannini, ministro del lavoro: “sono circa 155mila le aziende irregolari: il problema non sono solo i cinesi, ma è anche responsabilità di chi organizza la produzione. Serve una cultura della legalità generalizzata, c’è la necessità di un cambiamento dell’impostazione culturale”.
© Riproduzione Riservata.
ci sono anche a Brescia quei posti disumani dove lavorano i cinesi. Loro sono molto chiusi e non si integrano, li vedo spesso nei dintorni e non c'è verso di fare amicizia con loro. Io mi batto il petto per la mia colpa ma ho sentito che c'è una mafia che non permette loro ed a noi di avvicinarci.