NEONATO SENZA GAMBE/ Padre Aldo Trento: quel bambino ha bisogno solo dell’amore dei genitori

- Aldo Trento

Nulla può giustificare il fatto di abbandonare un neonato, anche se ciò nasce da una cultura che pretende di dire chi è un essere umano, sostituendosi a Dio. ALDO TRENTO

neonato Foto Infophoto

La vicenda del bambino nato senza un braccio e le gambe e abbandonato dai genitori all’ospedale San Donato di Arezzo colpisce e fa riflettere per almeno due motivi. Da un lato, per la scelta del papà e della mamma, che di fronte a quel neonato con gravi menomazioni hanno scelto di non riconoscerlo. Come ci ripete continuamente Papa Francesco, un atteggiamento simile è il frutto del nichilismo che tutti respiriamo. Ciò fa sì che non esista più la coscienza del fatto che l’uomo è creatura divina, che non è definita dalla quantità di materia che lo compone, o dal fatto che possa avere o meno tutti gli organi e tutte le componenti del fisico. Nell’uomo vive la presenza del Mistero, e quando ciò viene negato si affermano l’aborto, la violenza e l’abbandono. Basti pensare alla ragazzina bruciata a Cuneo, alle tante realtà cui tutti i giorni assistiamo tristemente.

Posso comprendere il dramma e l’angoscia dei genitori del bambino nato senza un braccio e le gambe, ma ciò assolutamente non può giustificare il fatto di abbandonare una creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio. Tutto è conseguenza di una cultura che pretende di poter dire chi è un essere umano e chi non lo è, sostituendosi a Dio che lo ha creato così com’è. Anche l’esistenza di un bambino senza un braccio e le gambe è degna di essere vissuta, grazie all’amore che il papà e la mamma danno al loro figlio. Nel mio ospedale in Paraguay c’è un bambino nato tutto storto e con la testa molto più grande del normale, al punto che fa anche paura. Eppure questo bambino ride e si vede che è contento di vivere, anche se non parla, e il motivo è che si sente amato e abbracciato al punto da sentire profondamente di appartenere a qualcuno.

C’è un linguaggio che tutti percepiscono, ed è quello delle carezze, del sentirsi voluti bene, del sentirsi amati. Nella mia esperienza con i bambini che curo nel mio ospedale, e che hanno anche delle gravi deformazioni, percepisco che più che un problema loro lo è dell’adulto. Il problema che mi pongo ogni volta è se vedo in loro la presenza e il modo in cui il Mistero si manifesta nella storia. Non sono io che decido come un figlio deve essere o non deve essere, se il figlio nasce così è perché Dio permette che ciò avvenga. A me in quanto adulto è chiesto di vedere nel bambino quello che Dio vede in me. 

Ma c’è un altro aspetto che colpisce in tutta questa vicenda capitata all’ospedale di Arezzo.

Il personale sanitario ha deciso di chiamare il bambino deforme con il nome di Francesco, proprio come il Papa. In questo modo gli infermieri hanno dimostrato di essere uomini autentici, persone con un’umanità e con un’identità grande. Se lo hanno chiamato Francesco mi commuove ancora di più, perché significa che hanno percepito il grande messaggio di questo Santo Padre che continuamente ci ripete la sua predilezione per i poveri, per i sofferenti e per gli abbandonati.

Quando ho concelebrato insieme a Papa Bergoglio e ho avuto la grazia di essere ricevuto da lui, la sua unica preoccupazione è stata quella di dirmi: “Saluti tanto i suoi bambini, prego per loro e dica loro che preghino per me”. Quello fatto dai medici e dagli infermieri è veramente un gesto commovente. C’è soltanto da pregare perché Dio voglia che i genitori che hanno abbandonato quel bambino cambino idea. Si tratta di certo di persone profondamente sole, le quali a loro volta devono avere subito qualche forma di violenza. Solo Dio può toccare i loro cuori fino a convincerli a riaccogliere quel bambino che hanno abbandonato.







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