PAPILLON/ Il fiore all’occhiello della gastronomia

- Paolo Massobrio

Il nostro giornale Papillon, lo abbiamo soprannominato “periodico di sopravvivenza gastronomica”,dice PAOLO MASSOBRIO.E mai nome fu tanto indovinato.Lo pubblico da 22 anni, è uscito 65 volte

papillon_439 Una parte della copertina di "Papillon"

Sono 65 volte che faccio uscire il mio Papillon, periodico di sopravvivenza gastronomica, nato 22 anni fa ad Alessandria. E ogni volta che chiudo il giornale mi sento come alla fine di un’opera, cioè soddisfatto. Ma fino a quando la carta resisterà?

La domanda tocca un po’ tutti anche se la mia amica Rita ci tiene a puntualizzare che lei i Papillon li ha tutti in libreria, col dorso a vista e le pagine segnate da un post per andare a riprendere le ricette. La carta ha il suo fascino, non c’è che dire, ma i mezzi on line oggi permettono di raggiungere grandi numeri (e per questo mi piace omaggiare ai lettori del Sussidiario anche il nuovo numero da sfogliare).

La versione cartacea è invece appannaggio dei soci di Papillon, che hanno una forza di attaccamento indomabile, anche in un anno di crisi come questo. Un anno che sta portando alla resa dei conti. Se infatti si legge che molte aziende sono sull’orlo del fallimento e altre hanno già chiuso i battenti, non è esente il settore della ristorazione che avrà tante novità, questa volta in negativo.

Chiudono i locali di periferia, il turn over dei cuochi si fa affollato e qualcuno ancora non ha capito che è finito il momento dei sogni e che ci si deve svegliare di fronte alla dura realtà. Se un cuoco di valore prova ad andare qualche mese in Giappone o in un’altra parte del mondo, alla fine si chiede: “E perché mai dovrei tornare in Italia, dove il fatturato di un mese rischio di farlo, se va bene, in sei mesi?”.

Senza tralasciare gli aspetti burocratici che restano un danno per l’economia del nostro Paese.

Il nostro giornale Papillon, lo abbiamo soprannominato “periodico di sopravvivenza gastronomica”: e mai nome fu tanto indovinato, soprattutto ora che accanto alla fuga dei cervelli dobbiamo assistere a quella delle padelle. Be’ Papillon, come ha scritto Marco Gatti alcuni giorni fa, vuole rappresentare il “quarto d’ora granata”, ovvero la carica di chi resta e crede che alla fine l’Italia proverà a essere quello che deve essere.

Ossia un bel Paese, proprio come ci si aspetta da una meta turistica tanto sognata.

Non so quanti resisteranno fino all’Expo del 2015, ma chi ce la farà, se la comunicazione sarà all’altezza di ciò che merita d’essere valorizzato, avrà le sue soddisfazioni. E a me e Marco Gatti piace pensare che quei locali di Villanova d’Asti o di Castiglione Tinella, dove ci sono due figli d’arte, continueranno a vivere, così come quel produttore di carne salada Trentina (Largher) o quello di pane carasau (Panificio Su Cantaru), fino all’azienda pugliese che produce pomodori che porta il nome di Perché ci credo (a mai nome sembra più indovinato).

Sfogliate allora le pagine di Papillon, ci sono anche idee per il barbecue o per la vacanza mordi e fuggi, oltre alle auree ricette dedicate all’hamburgher e al pesce ritrovato. Andate qui, www.clubpapillon.it/papillon/papillon65: vale la pena fare un giro nell’Italia del gusto come la vediamo noi, viaggio dopo viaggio, su e giù per l’Italia.







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