GIOVANNI FALCONE/ Agueci (pm Palermo): Capaci, 25 anni dopo tutti facciano la propria parte

- int. Leonardo Agueci

La strage di Capaci 25 anni dopo. Parla un magistrato antimafia, LEONARDO AGUECI della Procura di Palermo. Ecco come è cambiata la Sicilia grazie al sacrificio di Falcone

strage_capaci_wikipedia Strage di Capaci, 26 anni fa l'attentato a Giovanni Falcone (Wikipedia)

“Quel giorno, il 23 maggio 1992, mi trovavo a Milano, appresi la terribile notizia dalla televisione mentre ero a casa di amici” racconta a ilsussidiario.net Leonardo Agueci, procuratore aggiunto presso la Procura di Palermo, da decenni in prima linea nella lotta alla mafia. “La sera decisi lo stesso di accettare un invito a cena con colleghi della magistratura di Milano e ovviamente si parlava dell’attentato a Falcone. Era il periodo più caldo di Mani Pulite, l’impegno della parte più sensibile della società era tutto rivolto a quell’inchiesta. Quello che colsi con grande amarezza quella sera, pur da parte di persone molto sensibili, fu quasi un senso di resa, parole come ‘ormai la Sicilia è senza speranza, lasciamola per quello che è e pensiamo a far crescere la società in altro modo'”. Parole di rassegnazione che fecero male al giudice siciliano, “ma oggi, 25 anni dopo, posso dire che in Sicilia si è risalito di molto la china e si sono ottenuti risultati di cui ha beneficiato tutta l’Italia. Oggi quelle parole di quella sera non le direbbe più nessuno”. Ecco cosa ci ha detto ancora. 

Dottore, il tipo di attentato di Capaci, come poi disse anche Totò Riina, ricalcava la tecnica tipica del terrorismo. Quale era il messaggio che si voleva dare? Spaventare l’intera società civile, come fanno i terroristi? 

Bisogna innanzitutto dire che non è vero che quelle tecniche non fossero mai state usate prima o che non siano più state usate dopo. Ci furono dei precedenti, attentati con uso di esplosivo anche in anni lontani, pensiamo alla strage di Ciaculli (nel 1963, ndr) in cui venne usata una macchina imbottita di esplosivo che uccise 4 carabinieri, un poliziotto e due militari dell’esercito. In seguito a Capaci e via D’Amelio ci fu la cosiddetta stagione delle bombe con attentati a Roma, Firenze e Milano. Addirittura si venne a scoprire che la mafia voleva far saltare in aria un pullman di carabinieri all’uscita dello Stadio Olimpico a Roma. 

Tutta questa attività nel giro di poco tempo però conteneva sicuramente un messaggio, quale esattamente? 

Il termine terrorismo diventa corretto se si riferisce al fatto che la mafia volesse manifestare una situazione di supremazia, poter dire che erano più forti di tutti, anche delle persone più protette dallo Stato e che per far questo la mafia era capace di mettere esplosivo sotto una autostrada. Era un messaggio di intimidazione. 

Dopo tanti anni di polemiche, ancora oggi si legge che nel caso del giudice Falcone c’è “un muro di silenzio”. E’ davvero così? 

Assolutamente no, sono esagerazioni. Se si parla della strage di Capaci si è fatto tutto quello che si doveva fare: sappiamo come è stata organizzata, come è stata eseguita e in base a quali motivazioni. Se poi si vuole parlare di dinamiche politiche è tutto un altro discorso che a noi non interessa, se non quando si è in presenza di prove e dati di fatto concreti. Ma che non si sia fatta luce sulla strage di Capaci è una esagerazione. E’ invece vero che su quella di via D’Amelio rimangono ancora dei punti non chiari. 

Il presidente del Senato, Grasso, ha detto che con Falcone e Borsellino oggi l’Italia sarebbe diversa. Ci può dire in una battuta quale sia la loro più autentica eredità? 

Falcone e Borsellino sono stati due magistrati di straordinaria professionalità, ed hanno completamente rivoluzionato il modo di indagare contro la mafia, impostandolo su una visione unitaria di tutte le manifestazioni del fenomeno e sulla condivisione delle indagini da parte di gruppi coordinati di inquirenti. Diciamo però che il messaggio che è stato lanciato con il loro sacrificio è stato raccolto da tantissima gente. Ha generato una fortissima reazione nell’ambito dello Stato e della magistratura ma anche nell’ambito della società civile. La loro morte nel modo in cui è accaduta ha scosso moltissime coscienze, questo è certamente un risultato importante che rimane per sempre. Certo, se fossero rimasti in mezzo a noi sarebbe stato meglio! 

Come è cambiata la Sicilia in questi 25 anni?

Oggi vi sono sempre più giovani disposti ad impegnarsi contro la mafia, denunciarla e contrapporvisi nettamente, ma nonostante ciò bisogna essere cauti. Certamente, rispetto a 25 anni fa, i valori della legalità si vanno oggi diffondendo mentre una volta erano pressoché inesistenti. Sembra però prematuro dire che la battaglia è vinta, perché i comportamenti mafiosi hanno ancora una forte capacità attrattiva nella popolazione. Si può dire che oggi convivono due realtà in radicale contrapposizione, quella della legalità e quella del crimine organizzato. Occorre ancora impegnarsi molto perché la legalità abbia il definitivo sopravvento e in questo tutte le componenti della società devono fare la loro parte.

Si dice che oggi la grande criminalità organizzata si stia spostando nel nord Italia, è vero secondo lei? 

La mafia è un fenomeno criminale completamente diverso da qualsiasi altra forma di criminalità. Infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia ci sono e lei lo saprà meglio di me, ma la mafia è ancora radicata in Sicilia con le sue regole che trovano ancora modo di venire fuori. Proprio ieri a Palermo è stato ucciso un importante esponente mafioso, verosimilmente per lotte di potere tra le varie fazioni. Siamo ancora convinti che la mafia abbia ancora una capacità di espansione, soprattutto di tipo economico, elevatissima. La mafia ha la capacità di riprodursi continuamente sotto forme diverse.

(Paolo Vites)





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