SANTI PAOLO VI E ROMERO/ Un unico amore per Cristo dietro l’Humanae vitae e il martirio

- Cristiana Caricato

Ieri papa Francesco ha canonizzato Paolo VI e mons. Oscar Arnulfo Romero. Due esistenze segnate da incomprensioni e ostacoli ma da un'unica passione per Cristo. CRISTIANA CARICATO

papa_francesco_oscar_romero_lapresse_2018 Papa Francesco con una immagine di Oscar Romero sullo sfondo (LaPresse)

Erano accanto ieri mattina, sulla facciata della Basilica di san Pietro, illuminata dal sole che solo l’ottobre romano può regalare. Montini e Romero, Paolo VI e l’arcivescovo di El Salvador. Il pontefice audace e profetico accanto al martire dei poveri. Due santi attesi e amati, le cui esistenze sono state segnate da incomprensioni e ostacoli, uniti da una fede maturata nella sofferenza e da trame provvidenziali. Papa del Concilio, Montini; pastore che ha incarnato l’opzione per i poveri, vero tormentone del Vaticano II, fino al martirio, Romero. Ieri i volti, impressi sugli arazzi giocavano con il vento leggero e il sole. In vita si sono incrociati poche decisive volte, sfiorati e riconosciuti nella santità. L’ultimo incontro il 21 giugno del 1978, poche settimane prima quel 6 agosto che avrebbe dato un’accelerata, e una svolta inattesa, alla storia della Chiesa. Romero ricorderà la mano trattenuta di Paolo VI, le parole per il suo compito di pastore nel Salvador lacerato dalla violenza militare e dalle ingiustizie sociali: Comprendo il suo difficile lavoro, è un lavoro che può essere incompreso e ha bisogno di molta pazienza e fortezza. Ma vada avanti con coraggio, con pazienza, con forza, con speranza“. Parole che devono essergli sembrate balsamo dopo i confronti, sollecitati in Vaticano dal cardinale Baggio, allora prefetto della Congregazione per i Vescovi, a cui arrivavano dossier di confratelli ostili o troppo legati al sistema di potere. In pratica un vero e proprio processo in cui si metteva in discussione lo stile pastorale di Romero, la sua esposizione sul piano pubblico in favore del popolo oppresso, lo scontro aperto con il governo oligarchico, che era diventato ostile e il suo braccio armato che presto lo avrebbe eliminato mentre celebrava messa sull’altare. 

Ma quelle parole, pazienza, fortezza, coraggio in fondo definiscono anche lo stesso Paolo VI, uomo delicato e sensibile, amico degli intellettuali e degli artisti, costantemente in ginocchio, impegnato a scendere i gradini piuttosto che ad ergersi sulle scale. Il Papa traghettatore del Concilio, dei primi grandi viaggi apostolici, dell’istituzione del Sinodo, dell’abbraccio con Atenagora e della modernità. Ma anche il pontefice dell’Humanae Vitae, che come disse il card. Journet, prese la decisione probabilmente più difficile del pontificato, la pubblicazione di un’enciclica che escludeva, dopo un duro dibattito interno, l’uso dei metodi di contraccezione per i coniugi cattolici, “di fronte a Dio, con gli occhi negli occhi di Gesù. Solo come negli orti degli ulivi. La tempesta suscitata da quel documento scosse profondamente la Chiesa e fu anche all’origine della campagna mediatica che doveva consegnare alla storia la figura tragica e sofferta, del Papa “amletico”, tormentato e indeciso, che è arrivata fino ai nostri giorni, finendo persino per rallentare non poco il suo approdo agli onori degli altari. 

Ma ieri tutto questo è rimasto sullo sfondo. E ha prevalso la gioia. Quella dei salvadoregni arrivati da ogni parte d’Italia o addirittura da oltreoceano per festeggiare il loro santo. La sommessa felicità dei bresciani in gita romana per accompagnare il “loro” Montini. E quella di Papa Francesco, che custodiva nel cuore, da tempo, il desiderio di essere lui a canonizzare due degli uomini di Chiesa che più ama e ammira. E non è un caso che parlando di questi due giganti della fede, nell’omelia tutta dedicata al Vangelo del giorno, abbia sottolineato proprio quella passione per Cristo che ha legato Montini e Romero. Una passione che genera gioia. Come è accaduto per il Papa che solo una lettura perversa ha voluto relegare a protagonista tragico della fine di un’epoca, e per il pastore caduto mentre consacrava il corpo di Cristo. Ieri Francesco aveva la veste stretta dal cingolo insanguinato di mons. Oscar Arnulfo Romero, tra le mani la croce pastorale di Paolo VI. Anche lui pronto ad affrontare il martirio imposto dai tempi.  





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