DONNE CHE UCCIDONO GLI UOMINI/ Zeinab e Alessia, perdono e giustizia possono andare insieme?

- Mauro Leonardi

Due fatti completamente diversi, due donne che hanno ucciso il marito, Zeinab Sekaanvand in Iran e Alessia Mendes in Italia, ci interrogano sulla giustizia. MAURO LEONARDI

carabinieri_omicidio_ris_lapresse_2018 Carabinieri (LaPresse)

Due fatti totalmente indipendenti risuonano dentro di me e si amplificano. Zeinab Sekaanvand, una donna bambina, è stata giustiziata in Iran il 2 ottobre scorso perché aveva ucciso il marito. Zeinab, di origine curda, ora 24enne, era stata arrestata ancora 17enne e subito condannata a morte perché aveva ucciso il marito che era stata costretta a sposare quando aveva ancora 15 anni. Un’altra donna, Alessia Mendes, brasiliana di quarant’anni, dopo anni di maltrattamenti, uccide a Genova il marito con dodici coltellate e viene assolta. Per il giudice quei dodici fendenti sono stati una legittima difesa della donna rispetto a un uomo che era stato denunciato due volte per maltrattamenti e lesioni. È probabile che la sentenza venga impugnata ma, in ogni caso, al momento attuale, le due storie parallele stridono per l’estrema disparità di giudizio.

Non uccidere: il comandamento è assoluto e non sembrerebbe avere eccezioni. Eppure penso a Giuditta e Oloferne e dico che, a volte, la volontà di Dio può passare anche per un coltello. Perché non ci può essere amore in un aguzzino che ti violenta a 15 anni, che ti picchia in continuazione: non è amore, è un omicidio di ogni giorno cui alla fine ti ribelli e urli “No”. 

Come uomo, non mi sento di condannare queste donne, di parlare di vendetta. Vedo un senso di giustizia dopo una vita di schiaffi, pugni, costruzioni che sono peggio delle botte. Come sacerdote non ho risposte di fronte a cose come queste. Partendo dal fatto che il quinto comandamento, “non uccidere”, significa “non uccidere volontariamente un innocente”, e che quindi la legittima difesa non è omicidio (non è infrangere un comandamento), so che bisognerebbe in ogni caso puntare e sperare in una soluzione diversa, impossibile all’essere umano che rimane solo e senza Dio. È la soluzione di Gesù, del martire, è quella di chi trova la libertà nel perdono senza però trascurare i passi della verità, che sono riconoscere di essere vittime e che ci sono dei carnefici.

Ma la giustizia umana non contempla la possibilità del perdono. La giustizia deve costruire una società giusta che, prima di arrivare alla carità del perdono, edifichi in primo luogo la giustizia. Quella che impedisce a una bambina di finire nelle mani di un orco che la violenta, o a un uomo due volte denunciato di continuare ad essere violento. Perché la possibilità di sconfiggere un odio cieco, che conosce solo le catene, con la libertà della misericordia può nascere solo nel terreno della giustizia. Quella che protegge dalla violenza. Quella giustizia che, intervenendo, preserva dalla vendetta consente alla vittima di non abbassarsi al livello della violenza e, scoprendosi protetta e custodita, le consente di sintonizzarsi con il perdono. Che sarà vero proprio perché fiorisce a partire dalla consapevolezza dell’ingiustizia subita. 





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