Le due “Resistenze” e il dramma della guerra civile. Il caso di Rolando Rivi

- Ugo Finetti

I comunisti si inserirono nella resistenza italiana – un movimento in cui brigate e popolazioni cattoliche svolsero un ruolo determinante – avendo come modello la guerra di Spagna e le direttive di Stalin. È alla luce di questa Resistenza “parallela” che va inquadrato il terrorismo animato dai comunisti nell’immediato dopoguerra. Il caso di Rolando Rivi

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La Resistenza fu fondata dai militari italiani “legittimisti”, rimasti fedeli al giuramento al re, che presero le armi sin dall’8 settembre contro i tedeschi. Durante la guerra di liberazione combattuta a fianco degli Alleati persero la vita 35.000 soldati e per il rifiuto di aderire alla repubblica di Mussolini furono internati dai tedeschi in 600.000 nei campi di concentramento tedeschi da cui non fecero ritorno in 78.000.
I capi della resistenza furono: sul piano politico il liberale Alfredo Pizzoni (presidente dal settembre ’43 fino all’aprile ‘45 del comitato antifascista poi Cln dell’Alta Italia) e sul piano militare il generale Raffaele Cadorna (comandante del Corpo volontari della libertà ovvero il comando unificato delle Brigate partigiane). Longo e Parri non erano i “capi” della Resistenza, ma i “vice” di Cadorna.
Ad animare immediatamente la rete clandestina a Roma fu il colonnello monarchico Montezemolo, che fu fucilato alle Fosse Ardeatine.
La lotta partigiana fu quindi un movimento popolare caratterizzato da una pluralità di componenti ed anche con molti giovani spoliticizzati. A permettere la sopravvivenza e lo sviluppo delle Brigate partigiane furono essenzialmente due sostegni: da un lato gli alleati con armi e finanziamenti e dall’altro la popolazione contadina cattolica (definita da Gaetano Salvemini “il quarto esercito” in campo) che protesse, nascose ed alimentò i partigiani andando incontro a spietate rappresaglie.
Quella guidata dai comunisti fu non tutta la Resistenza, ma una parte, anzi, per l’esattezza una Resistenza “parallela”. Questo sviluppo “a parte” rispecchiava le direttive di Stalin, che non considerava l’unità antifascista un approdo, ma solo una fase di transizione in vista di una inevitabile successiva resa dei conti tra comunismo e democrazia: Così si esprimeva durante un vertice al Cremlino nel 1945: «La crisi del capitalismo – spiega Stalin a Dimitrov che lo annota nei suoi Diari – si è espressa nella divisione dei capitalisti in due fazioni: una fascista, l’altra democratica. Si è creata un’alleanza tra noi e la corrente democratica dei capitalisti, perché quest’ultima era interessata a non consentire il dominio di Hitler, perché questo dominio brutale avrebbe portato la classe operaia all’estremo e al rovesciamento del capitalismo. Noi adesso stiamo con una frazione contro l’altra, ma nel futuro saremo anche contro questa frazione dei capitalisti».
Questa Resistenza “parallela” del Pci prese corpo in particolare con la costituzione dei Gap (Gruppi di azione patriottica) che dettero vita al terrorismo urbano al di fuori del Cln con azioni come l’attentato di via Rasella (che il Cln di Roma rifiutò di approvare) e l’assassinio di Giovanni Gentile (che il Cln di Firenze condannò). La Resistenza “parallela”, attraverso episodi come la strage a Porzus dei partigiani non comunisti che si rifiutavano di farsi inglobare dall’esercito jugoslavo, ebbe il suo coronamento, alla vigilia della ritirata tedesca, con la costituzione al di fuori del Cln Alta Italia di “triunvirati insurrezionali” comunisti per condurre l’“epurazione antifascista” nelle Regioni del Nord a cominciare dall’Emilia Romagna. È alla luce di questa Resistenza “parallela” che va inquadrato il terrorismo che venne animato dai comunisti nell’immediato dopoguerra.
I comunisti si inserirono nella resistenza italiana – che fu movimento in cui brigate e popolazioni cattoliche svolsero un ruolo determinante – avendo come modello la Guerra di Spagna. È così che, al di fuori del Cln ed in modo solitario e illegittimo, condussero la loro “epurazione” considerando fascisti – e quindi assassinandoli – cattolici, sacerdoti e persino seminaristi adolescenti come Rolando Rivi (di cui è in corso la causa di beatificazione) che fu barbaramente torturato e massacrato, sepolto come un cane in un bosco dopo un “processo” in cui lo si condannava a morte come “spia fascista” solo perché Rolando amava vestire l’abito talare.
La vicenda di Rolando Rivi (che è stata al centro di una sezione della Mostra dell’ultimo Meeting di Rimini dedicata, appunto, alla “Resistenza cancellata”) è atrocemente esemplare di una “Resistenza” che non va confusa con la lotta di liberazione nazionale e che non va celebrata, ma ricostruita, ricordata e condannata come una delle pagine più vergognose dell’ignominia nazionale.







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