CHIESA/ Vian: San Paolo sepolto da “imperatore”, così la scienza dà ragione alla tradizione

- int. Giovanni Maria Vian

Il messaggio è stato annunciato niente meno che da Sua Santità Benedetto XVI domenica scorsa in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo: quello sepolto sotto la Basilica di San Paolo sotto le mura è proprio lui, l’Apostolo delle Genti. Ne abbiamo parlato con GIOVANNI MARIA VIAN, direttore de “L’Osservatore Romano” nonché docente di Storia della tradizione e della identità cristiane

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Il messaggio è stato annunciato niente meno che da Sua Santità Benedetto XVI domenica scorsa in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo che sarebbe seguita il giorno successivo. Quello sepolto sotto la Basilica di San Paolo sotto le mura è proprio lui, l’Apostolo delle Genti. A dirlo o, meglio, a confermare quello che la tradizione già da duemila anni affermava, è la scienza. Il carbonio parla chiaro: un uomo vissuto a cavallo fra il I e il II secolo. Ma parlano chiaro anche le altre tracce, il tessuto ritrovato, le scritte, le fonti storiche e, come detto prima, anche la tradizione popolare. Fatto sta che un’ufficializzazione, sebbene ancora rivestita di toni prudenziali, la Chiesa l’ha fatta. E la memoria ritorna alle precedenti grandi rivelazioni come quella del 23 dicembre 1950 quando Pio XII pronunciò la famosa frase per cui la cupola michelangiolesca s’inarcava “esattamente sul sepolcro del primo Vescovo di Roma”, quando quest’ultimo venne alla luce. E poi ancora il ritrovamento delle ossa del primo papa annunciato con queste parole: nuove indagini pazientissime e accuratissime furono in seguito eseguite con risultato che Noi, confortati dal giudizio di valenti e prudenti persone competenti, crediamo positivo: anche le reliquie di San Pietro sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente, e ne diamo lode a chi vi ha impiegato attentissimo studio e lunga e grande fatica.

Ora è il “momento” di San Paolo. Le stesse analisi, la stessa cura e la medesima prudenza il Vaticano ha riservate e probabilmente continuerà a riservare alla tomba di questo Apostolo. Ne abbiamo parlato con Giovanni Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano nonché docente di Storia della tradizione e della identità cristiane

 

Qual è la genesi di questa scoperta?

I dettagli sono quelli che ha reso pubblici oggi il cardinale arciprete di San Paolo. Il segreto pontificio per il momento rende impossibile entrare più profondamente nella procedura mediante la quale si è svolta l’analisi. Certo è che negli ambienti vaticani la notizia si era appresa da molto tempo. Il tutto è cominciato su ordine del Pontefice. Si è approfittato dei “lavori in corso” in atto sulla basilica Ostiense realizzati in occasione dell’Anno Paolino per indagare più a fondo anche nell’area più sacra della basilica che, per tradizione, si riteneva conservasse il sepolcro di San Paolo.  

Perché non si è voluto aprire interamente il sarcofago?

Fondamentalmente perché si trova in una situazione archeologicamente particolare, collocata com’è fra due grossi blocchi di pietra. Si comprende che, considerata la delicatezza dell’oggetto in questione, le ragioni di un’indagine prudenziale non siano mai deboli. A questo si aggiunge anche la memoria di tutte le diatribe che c’erano state per gli scavi a San Pietro. In quell’occasione, voluti per volontà del papa Pio XII e del suo predecessore Pio XI, gli scavi durarono circa dieci anni, fino all’annuncio del 1950.  

Che cosa è stato scoperto esattamente?

Né più né meno di quanto ha dichiarato il Papa domenica scorsa. Sono stati trovati, oltre a resti ossei, anche alcuni frammenti di lino e porpora con tracce di oro. Il papa è stato molto preciso: tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora e laminato con oro zecchino, un tessuto azzurro con filamenti di lino. Quello che ci terrei a precisare è che Benedetto XVI Il ha dichiarato tutto ciò sulla base di appunti assolutamente scientifici. I piccolissimi frammenti ossei sono stati infatti sottoposti all’esame del C14 da esperti che non sapevano da dove provenissero e che hanno confermato la tradizione, ossia che appartengono a una persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione dei resti mortali dell’Apostolo Paolo.

La descrizione di questi vestiti che cosa lascia a intendere? Perché dovrebbe essere un’ulteriore conferma al carbonio 14?

Per capire questo punto occorre rifarsi sempre alla scoperta della tomba di San Pietro e agli studi su di essa compiuti dalla grande studiosa Margherita Guarducci. Più che di vestiti infatti quello di cui si parla sembra essere un panno, di tessuto analogo a quello di Pietro. In età tardo antica la porpora è per eccellenza il tessuto imperiale. Ciò autorizzò la studiosa a confermare le proprie ipotesi. Spiegandoci meglio: quando Pietro morì venne probabilmente sepolto in quella che allora era la necropoli pagana. Un certo Caio, vissuto intorno al 200 d.C. ci informa della presenza di due piccole “edicole” funerarie, quelle che egli chiama “trofei”, l’una nella necropoli Vaticana e l’altra sulla via Ostiense. Sono le edicole dei due santi. Quando fu il tempo di Costantino, l’imperatore fece costruire una basilica sull’edicola di San Pietro, interrando la necropoli, e un’altra su quella di San Paolo. È assai probabile che, come avviene anche al giorno d’oggi, i corpi siano stati riesumati e avvolti in quello che Margherita Guarducci non esitò a definire, in occasione della scoperta della tomba di San Pietro, «un panno riservato all’autorità imperiale». E un panno di questa foggia non poteva che venire utilizzato per onorare un principe della Chiesa. Dunque ciò che fu fatto per San Pietro fu ripetuto per San Paolo.  

Da un punto di vista filologico, oltre che archeologico, che cosa cambierà questa scoperta?

Non cambierà più di tanto la narrazione contenuta negli Atti degli Apostoli che, come sappiamo, si interrompe ex abrupto, suscitando, anche questa, numerose e suggestive ipotesi. Diciamo più che altro che il grandissimo corpus di tradizioni orali non conservate all’interno del Nuovo Testamento, viene sicuramente rafforzato. La tradizione del martirio di San Paolo, narrazione non considerata canonica, ma rispettata in quanto antichissima e a pieno titolo appartenente alla cultura cristiano cattolica, ne esce parecchio rafforzata, in quanto le indicazioni “geografiche” in essa contenute avrebbero trovato piena conferma. A questo si aggiunga, sempre nel discorso dei luoghi del martirio, il recente ritrovamento di un affresco raffigurante l’Apostolo delle Genti. 

Si riferisce a quello di Santa Tecla, scoperto lo scorso 19 giugno?

Precisamente, le catacombe di Santa Tecla. Quella di Santa Tecla è una piccola catacomba, poco distante, un po’ a Sud della basilica di San Paolo fuori le mura. È un sito noto dal 1700, pur tuttavia si cominciò a scavare intorno agli anni ’50 e, come si vede, non si è ancora finito. Qualche giorno fa una restauratrice mentre ripuliva una parete con un laser leggerissimo si è accorta che stavano emergendo i tratti di una figura coloratissima, riconoscibile in quella di Paolo. 

Un’intera zona dedicata al santo è in effetti particolare

Si tenga poi conto che quel sito ospitava la tomba di una famiglia benestante che con tutta probabilità si fece seppellire vicino a San Paolo. All’epoca la basilica, costruita nel 324 d.C. da Costantino, era infatti già stata allargata per opera di papa Damaso nella cui età cominciò la vera e propria concezione dei santi Pietro e Paolo come concordia apostolorum. Pietro e Paolo vennero sempre più raffigurati insieme perché fondatori della Chiesa e concepiti come nuovi dioscuri dell’era cristiana.





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