LETTERATURA/ Del Corno: “dalla tragedia è nato lo sguardo positivo dell’Occidente”

- int. Dario Del Corno

Elemento fondamentale della nostra cultura la tragedia greca segna una profonda evoluzione non solo teatrale o letteraria, ma anche esistenziale dell’uomo europeo. DARIO DEL CORNO racconta come la concezione e la dimensione tragica siano sopravvissute nel nostro modus vivendi quotidiano

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Elemento fondamentale della nostra cultura la tragedia greca segna una profonda evoluzione non solo teatrale o letteraria, ma anche esistenziale dell’uomo europeo, rappresentandone, attraverso codici ben definiti, l’indole inquisitoria nei confronti della realtà, l’inappagabile ricerca di felicità e lo sgomento di fronte alla contraddizioni del vivere. Dario Del Corno racconta come la concezione e la dimensione tragica siano sopravvissute nel nostro modus vivendi quotidiano

Qual è stata l’importanza della tragedia nello sviluppo culturale del nostro continente?

L’importanza della tragedia è a dir poco fondamentale per la nostra cultura.

La tragedia ha introdotto, sviluppato e approfondito l’idea del “teatro” ossia di una rappresentazione mimetica che esprima direttamente una storia. Per “direttamente” intendo “che non passa attraverso il racconto”, ma attraverso l’azione, l’esperienza, il presente dell’individuo. La rappresentazione tragica è il riaccadere di qualcosa, non come semplice ripetizione, ma come interpretazione immediata. Questo spinge a una compartecipazione degli spettatori e a un’educazione culturale che fa perno sull’azione e sulla domanda, non sulla ricettività passiva della realtà.

Che cosa sopravvive in termini di “atteggiamento tragico” nel comportamento dell’uomo occidentale?

Sopravvive un’idea fondamentale che non è solo tragica, ma anche comica o per lo meno drammatica: è l’atteggiamento mimetico che permette di rappresentare una vicenda in forma diretta. Questo per la nostra cultura fu l’inizio del giudicare, dell’avere a che fare, interrogandosi, con categorie come necessità e libertà. La rappresentazione diretta del mito permise di re-inventare un personaggio che si esprimeva appunto direttamente nell’azione. Per questo il nostro modo di concepire la realtà rimane assai più dinamico e in movimento rispetto a molte altre culture.

La tragedia nasce però dal mito o per lo meno adotta preferibilmente materiale mitico per la propria genesi. Nasce quindi da un archetipo fisso. Questo meccanismo è rimasto immutato nel nostro modo di produrre letteratura o invece non c’è più alcun riferimento fondante?

È vero, la tragedia nasce dal mito. O, come meglio espresso nella domanda, lo “adotta”. A tutti gli effetti si tratta di un’adozione e non di una ripetizione.

Questa sollevata è comunque davvero una questione notevole, direi che è un argomento di discussione rimasto centrale nel corso degli anni.

Su cosa si basa il modo moderno di fare letteratura? A mio avviso la misura tragica dell’esistenza nella sua natura ultima, ossia in ciò che accomuna tutti gli esseri umani o per lo meno gli europei, è rimasta immutata. Chiunque produca letteratura risale sempre, insomma, ad alcune idee fondamentali che noi possiamo chiamare “idee mitiche”, o a personaggi tipici, “personaggi mitici”.  

Per altro da qui nasce il paradosso dell’obiettività. Senza un riferimento immutabile, soprattutto nel teatro, non si può avere la garanzia dell’obbiettività, della realtà di quanto rappresentato. Proprio perché il personaggio o la circostanza deve rispondere a canoni comuni nei quali lo spettatore possa riconoscere la propria esperienza. Tradito questo principio si dà adito a una soggettività senza senso che lascia il tempo che trova.

Lei dipinge la dimensione tragica come “precario statuto dell’individuo, smarrito nella solitudine del suo confronto con il mistero dell’esistere”. A suo avviso l’uomo occidentale è ancora carico di questa domanda oppure rischia di ridurre il proprio orizzonte a una visione puramente analitica della realtà?

Anche questa non è una questione da poco. Il rapporto con l’arcano, con il mistero, se è sincero, è sempre un rapporto fattivo, positivo. Perché è un rapporto che esplora la realtà e cerca di capirne le ragioni. Ma proprio ponendosi in maniera aperta questa positività può venir mantenuta.

E anche qui un altro paradosso: se si pretende di capire tutto resterà sempre fuori dalla comprensione totale il significato dell’uomo, che è il generatore della domanda (tragica) su tutto.  L’uomo non solo non può essere racchiuso in una formula analitica, ma soprattutto deve essere concepito in forma unica, e mai univoca.

La dimensione misteriosa, o misterica, della tragedia consiste appunto nell’identificazione di questa unicità che c’è nell’individuo, ossia la sua molteplice apertura e la sua perenne condizione di essere domandante di fronte al destino.  

Qual è il più grande e diretto erede della tragedia nella letteratura moderna?

Dipende in primo luogo da che cosa si intende per moderno. Ma facendo riferimento all’accezione classica di questo termine direi che Shakespeare è il più grande rappresentante del tragico che il mondo abbia mai conosciuto dall’Antichità.  

L’Amleto, in particolare, è la quintessenza della tragicità moderna con tutto il portato di rinnovata morale che questa comporta.





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