LETTURE/ Geremia, un ramo di mandorlo a difesa della patria assediata

- Laura Cioni

Il libro di Michael P. Maier, Geremia. Vita e annuncio di un profeta in Israele, fa luce sulla grande missione di Geremia e il suo sostegno al popolo d’Israele. Il commento di LAURA CIONI

Michelangelo_GeremiaR400 Michelangelo Buonarroti, Cappella Sistina - Il profeta Geremia (particolare)

Il libro di Michael P. Maier, Geremia. Vita e annuncio di un profeta in Israele, pubblicato da Marietti 1820, è uno studio accurato di un docente dell’Università Gregoriana che offre un ritratto del profeta e della società in cui vive, in modo tale che a tutti sia possibile sapere la situazione del popolo d’Israele nel VII secolo a.C. e la peculiarità della missione di Geremia.

Quando la chiamata di Dio lo afferra, nel 627, è re d’Israele Giosia, in un’epoca in cui tutto il Vicino Oriente è dominato dagli Assiri: benché Geremia sia nativo di Anatot, un piccolo paese a nord in Gerusalemme, egli conosce la grave frattura che il suo popolo vive tra realtà politica e fede religiosa. Per questo dapprima resiste alla sua missione, ma la chiamata di Dio è irrevocabile. Il Signore lo conforta in una situazione di distruzione, destinata a una catastrofe ancora peggiore: “Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla”. Una assonanza fonetica rende il ramo di mandorlo simbolo di vigilanza: il Signore veglia sul suo popolo e dall’inverno della fede fa fiorire una nuova primavera.

Geremia è celibe, contro tutte le usanze di Israele. Il Signore glielo impone, come forma di vita consacrata al suo servizio e come prefigurazione del dramma che deve annunciare. La sua vocazione non è facile e talvolta neppure serena. Più volte cerca di sottrarvisi o maledice il giorno della sua nascita, ma Dio lo aiuta a perseverare, anche facendogli trovare un collaboratore, lo scriba Baruc.

Il re Giosia dal 622 aveva avviato un’importante riforma religiosa nel paese. Geremia tace sull’operato del re, perché il ritorno alla fede che il Signore voleva era più sostanziale: “Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata”.

Giosia muore ucciso dal faraone. Alla potenza degli Assiri si sostituisce per breve tempo quella degli Egizi e infine la temibile minaccia dei Babilonesi.

Geremia fa un bilancio della sua opera: non è mai stato ascoltato dal popolo ebraico.

Nel 597 i Babilonesi assediano Gerusalemme e più di tremila uomini vengono deportati; Geremia accompagna gli esuli con una lettera di speranza. Nel 588 Gerusalemme viene di nuovo assediata e poi distrutta.

Nel frattempo Geremia compra un campo, caparra del ritorno del popolo dall’esilio. Egli è l’emblema dell’uomo che non vuole la fede come strumento della politica, ma il ritorno all’unico che ama e sorregge. Questa la sua lotta in tempi di guerra, questa la sua sofferenza personale in mezzo al dolore comune.







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