LETTURE/ Franco Cardini: il “tempo sacro” di Le Goff? Così un laico rispetta la fede
La Legenda Aurea di Jacopo da Varazze ha goduto di uno straordinario successo. Jacques Le Goff le ha dedicato un libro, Il tempo sacro dell'uomo. M.T. Brolis ne parla con FRANCO CARDINI
La Legenda Aurea di Jacopo da Varazze è una raccolta di vite dei santi che ha goduto di uno straordinario successo tanto da diventare in certe epoche il libro più letto dopo la Bibbia, ma secondo Jacques Le Goff, che le ha dedicato un libro recentissimo (Il tempo sacro dell’uomo, Laterza, 2012), essa è molto di più: è una vera e propria summa sul tempo, che il grande storico francese rilegge con una profondità da par suo, donandoci un libro per certi versi sorprendente rispetto all’immagine storiografica che talvolta si potrebbe attribuire ad alcune fasi del suo lunghissimo percorso di studio.
Alla soglia dei suoi novant’anni (è nato nel 1924), Le Goff ci sa sorprendere: se è vero infatti che nella sua convinta laicità egli ha sempre dimostrato un grande rispetto per il fatto religioso, talune frasi di questo suo scritto risultano addirittura ardite, come quando si legge che Jacopo da Varazze “è uno degli intellettuali – non uso a caso la parola – del XIII secolo, che lungi dall’essere gli oscurantisti disprezzati dai filosofi del Rinascimento e dei Lumi, si sono sforzati di valorizzare le facoltà razionali dell’uomo, per mezzo dell’educazione, della predicazione e della teologia, intesa come scienza” (p. 63). Abbiamo chiesto un commento a Franco Cardini, amico di Le Goff e nello stesso tempo autorevole e indipendente suo interlocutore, come quando dalle pagine di Avvenire, due anni orsono, obiettò allo storico francese che le radici europee non potevano non dirsi cristiane.
Professor Cardini, il metodo storico di Le Goff si è spesso basato sull’interpretazione antropologica del fatto religioso. In queste pagine invece sembra prevalere un’analisi storico-teologica che mette meglio in risalto sia gli effetti del culto dei santi sulla mentalità del tempo, sia i contorni biografici di Jacopo, che viene giudicato uno storico scrupoloso per i mezzi di cui allora disponeva.
Credo di conoscere abbastanza bene Jacques Le Goff, non solo perché ho letto con attenzione gran parte della sua produzione scientifica (non oso dire tutto) e anche di quella pubblicistica e divulgativa, ma anche perché ho avuto l’onore di studiare in più occasioni sotto la sua direzione e lo considero, dopo Ernesto Sestan, il mio principale Maestro. È senza dubbio vero che si è davanti a uno studioso che, come cittadino, è anche un passionale: e tiene molto alle sue posizioni “laiche” e socialiste. Invito però a non assumere mai alla lettera certe frasi da lui pronunziate o che gli sono state attribuite in sede giornalistica: le sue posizioni sono sempre molto articolate e aperte al dialogo e alla discussione. Le Goff riesce a calarsi agevolmente nelle strutture mentali del “suo” medioevo, che è soprattutto quello dei secoli fra XII e XIV: e sa benissimo quanto forte fosse, nella società cristiana “latina” del tempo (“latina” in senso culturale e liturgico: eviterei l’aggettivo “occidentale”, che ormai è divenuto sviante), il primato sia della fede, sia della teologia. La Modernità nasce appunto dal progressivo assalto a tale primato: le Goff lo sa benissimo.
Alcune affermazioni di Le Goff sembrano in controtendenza con un orientamento storiografico che forse in modo non sempre lineare a lui sembrava riferirsi, come quando Le Goff dichiara (a differenza di Ph. Ariès) che “il Medioevo non ha affatto ignorato l’infanzia e i bambini” (pp. 81, 123) oppure che la scelta del Risorto di apparire per primo alle donne (ripresa con enfasi da Jacopo) “sottolinea la promozione della donna in seguito alla riforma gregoriana, promozione ribadita e rafforzata dagli ordini mendicanti” (p. 111). Che ne pensa?
Uno dei meriti di Jacques le Goff (il quale ebbe anni or sono ad affermare infatti “Je ne serai jamais mandarine”: “Io non sarò mai barone”; in senso accademico, ovviamente) è stato proprio quello di non avere mai voluto fondare una vera e propria scuola. Non gli è mai interessato essere padre-padrone e tantomeno “padrino” di quanti decidevano di imparare da lui, di lavorare con lui, di accettare i suoi consigli. In ciò, le Goff ha dimostrato di saper cogliere il meglio della grande lezione della “scuola delle Annales”: accettare tutte le sfide, tentare tutte le strade euristiche e metodologiche, rifiutare qualunque dogma storico e tanto più ermeneutico. È stata la sua attenzione per la vita quotidiana e addirittura per le strutture intime dei quadri mentali individuali e collettivi (quella che a lungo si è chiamata “storia delle mentalità”) a fargli rifiutare qualunque tipo di schemi, anche quelli affascinanti e intelligenti proposti ad esempio da Ariès. Quanto alla promozione della donna, si è dinanzi a un dato palese sostenuto dai Vangeli: un dato che non si spiega né con la tradizione ebraica, né con quella ellenistico-romana.
Lei ha scritto un bellissimo libro su Francesco d’Assisi (Mondadori, 1991). Anche Le Goff è rimasto affascinato dal santo di Assisi tanto da dedicargli un volume e, in questo suo ultimo scritto, afferma che “Jacopo è qui un fratello domenicano di Francesco d’Assisi e mantiene vivo il legame con quel ‘bel secolo XIII’ che era andato alla ricerca della gioia” (p. 27); più oltre è ancor più perentorio nel rilevare che “a mio parere, sono stati gli ordini mendicanti a recepire e divulgare la scoperta dei doni della natura che i cristiani sembrano aver fatto nel secolo XIII”(p. 69). Le Goff apre così un’altra breccia in quel dualismo schematico che intride tanta manualistica nel contrapporre il “disprezzo del mondo” (di presunta matrice monastica) all’edonismo dei goliardi. Lei è sempre stato attento a evitare questi approcci schematici che tuttora perdurano. Non crede che questo ultimo libro di Le Goff possa esser molto utile in tal senso?
Francamente, non considero affatto “bellissimo” il mio libro su Francesco d’Assisi: Jacques Le Goff, André Vauchez e Chiara Frugoni, tanto per citar alcuni colleghi che sono anche amici, hanno saputo fra molto meglio di me. È comunque un fatto che, rispetto anche alla grande tradizione ascetica e mistica latina a lui precedente (e penso qui ad Agostino, ad Anselmo, a Bernardo), Francesco ha saputo essere sul serio un uomo della gioia. È ovvio che, quando si ricostruisca la vita di un santo (e di qualunque altro personaggio storico), è importante la selezione delle fonti che proponiamo: con tutto ciò, a meno di non voler negare credito all’episodio della richiesta del santo in punto di morte, formulata a Jacopa de’ Sette Soli, di poter gustare ancora una volta un dolce che gli piaceva in modo particolare, siamo qui di fronte a un amore talmente pieno e profondo della vita che ha un senso addirittura rivoluzionario. In ciò Francesco è sul serio, com’è stato detto, “un santo unico”.
(Maria Teresa Brolis)
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