LETTURE/ Strage di Bologna, quella pista dimenticata (dai pm)

- Salvatore Sechi

La strage di Bologna è stata archiviata troppo in fretta secondo lo schema della replica passiva, senza dare troppo peso agli indizi del contesto internazionale. Un errore. SALVATORE SECHI

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Di recente su queste colonne ho segnalato il saggio I nemici della repubblica (Rizzoli). L’autore, lo storico romano Vladimiro Satta, ribadisce qui una sua vecchia convinzione, quella per cui il terrorismo italiano, compreso quello “di sinistra” (cioè delle Brigate rosse) sarebbe di origine nazionale, confezionato e venduto in casa.

Qualche dubbio Satta manifesta per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. A suo avviso le indagini dei magistrati sulla pista arabo-palestinese (legata alle organizzazioni terroristiche Separat di Carlos, Cellule rivoluzionarie di Thomas Kram e al Fronte popolare per la liberazione della Palestina di Abu Saleh Anzeh) sarebbero state parziali, anche se il movente per la carneficina e i collegamenti per effettuarla furono notevoli. 

Un altro studioso, questa volta un economista e banchiere, alto funzionario delle Nazioni Unite, Antonio Maria Costa, sostiene esattamente il contrario. Grazie alla sua esperienza di manager internazionale ha potuto affidare alla metafora di una fascinosa fiction la tesi dell’esistenza di una regia planetaria, a testa multipla, etnicamente polivalente, nel destabilizzare le democrazie di origine liberal-democratiche. Il volume è stato pubblicato originariamente in inglese e ora in italiano da Mondadori col titolo emblematico Scaccomatto all’Occidente. 

E’ l’analisi, fatta con bella scrittura e  ampiezza di documentazione, di un continente ormai in estinzione, il nostro. Non solo perché alla fine si spegne la possibilità di fare informazione (il protagonista è un giornalista), e non si possono denunciare i pericoli mortali che corrono i paesi; ma soprattutto perché sovrasta come un destino immutabile la potenza dei petrodollari e l’incapacità di delineare la natura della crisi sotto cui si sta soccombendo. L’autore, Costa (con la sua lunga esperienza in mezzo mondo e a contatto con i cosiddetti poteri forti) non esita a descrivere con mano ferma il grande gioco di intrighi e di interessi. Ogni arma, dalla dissimulazione all’eversione subdola o aperta, viene impiegata e il disfacimento continentale resta incontenibile.

La capacità di analisi di Costa nel guardare la realtà non è la stessa di cui hanno dato prova i magistrati del capoluogo emiliano. Mi riferisco a quanti nell’ultimo quarto di secolo sono stati chiamati ad emettere sentenze sul massacro di centinaia di inermi e innocenti viaggiatori avvenuto nella stazione centrale di Bologna.

L’acquisizione delle prove è stata inferiore alla mole dei sospetti e degli indizi accumulati. Ma soprattutto non bisognava avere paura di andare controcorrente, sfidare lo spaccio delle certezze politiche.

Al dominio di queste attribuirei la ragione per cui due bravi magistrati, Roberto Alonso ed Enrico Cieri, hanno finito per privilegiare il movente più facile del grande massacro bolognese. Venne immediatamente proposto dai partiti di governo, accolto dalla stampa e sancito dalle maggiori istituzioni dello Stato, parlando di un’azione criminale di massa del terrorismo neo-fascista. 

L’invito ai magistrati mandato dai palazzi romani fu di cercare e colpire a destra, nel mondo dell’estremismo nero, che da anni si era convertito ad una prassi terroristica vera e propria. Azioni criminali pure e semplici.

La loro sentenza si iscrive in quella che è diventata un luogo comune, la tesi della replica passiva, cioè in un’interpretazione per cui l’obiettivo sarebbe stato di colpire, facendo un eccidio di centinaia di morti, una delle capitali — Bologna, appunto — dell’antifascismo e del comunismo.

A ragione, Cantone qualche giorno fa ha parlato di una sentenza su un massacro che sembra non avere un movente. In realtà, se la motivazione di colpire il simbolo dell’antifascismo è ripetitiva, debole, con scarso fondamento probatorio, non bisogna dimenticare che le indagini processuali avevano sfiorato un’altra tesi, cioè che la strage alla stazione di Bologna rientrasse in un interesse del terrorismo arabo-palestinese (l’Olp). Sono noti i suoi collegamenti con la primula rossa dello stragismo, il venezuelano Carlos, col gruppo berlinese di Kram e ovviamente col Fplp.

Anche Vladimiro Satta mostra che in questa direzione non si è voluto, o saputo, andare a fondo. Come d’incanto settimanali del rango de L’Espresso e Panorama, che alla pista medio-orientale avevano dedicato ampie inchieste e attenzioni, improvvisamente evitarono di tornare sull’argomento. Sulle responsabilità calò un lungo silenzio. 

E’ durato fino ad oggi. Grazie al lavoro di studiosi e funzionari di alto livello come Antonio Maria Costa, lo stato di guerra in cui vivono l’Italia e l’Europa per l’opera infaticabile del terrorismo è ormai sotto gli occhi di tutti. Il problema ora è cercare di capire come mai in Italia stenti la presa di coscienza che la destabilizzazione viene dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Come ha mostrato Costa, essi veicolano altri interessi (dell’ex Unione sovietica), unitamente a velleità espansionistiche (degli Emirati Arabi), e alla ricerca di nuovi equilibri e di nuove alleanze (provenienti dall’Iran, dall’Iraq, dalla Siria, dalla Libia).





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