Shirin Neshat/ “The Home of The Eyes”, la mostra fotografica: nello sguardo il ponte tra cristiani e musulmani

- Paolo Vites

Iaugurata a Venezia al Museo Correr di Venezia la nuova mostra fotografica dell'artista iraniana Shirin Neshat che presenta 55 ritratti di persone della sua terra

shirin_cs.jpg Shirin Neshat

E’ lo sguardo di un altro che ci definisce in quanto persone. La psicologia, specialmente negli studi di Lacan, ha dimostrato quanto il neonato cominci a conoscere se stesso e il mondo esterno attraverso lo sguardo amorevole della madre. Quando quello sguardo è assente, è emotivamente freddo, guarda ma non guarda, inevitabilmente il bambino crescerà con turbe mentali di vario tipo che, per staccarsene, renderanno necessario un difficile lavoro su stessi. 

Ma lo sguardo che incrociamo è allo stesso tempo centrale per entrare in contatto col vissuto dell’altro. Per Jacques Lacan, “lo sguardo dell’Altro non è solamente un elemento centrale per sintonizzarsi affettivamente col mondo interiore di un’altra persona, bensì anche un elemento costitutivo per la nostra stessa esistenza e per l’immagine che sviluppiamo di noi stessi, che si fonda su un rispecchiamento nell’altro”.

In questo senso l’affascinante mostra dell’artista iraniana Shirin Neshat aperta in questi giorni al Museo Correr di Venezia, intitolata non a caso “The Home of my Eyes” dice tutto questo. Si tratta di 55 ritratti fotografici e un video inedito, Roja, effettuati tra il 2014 e il 2015 tra gente di varie estrazioni etniche dell’Azerbaijan, un tempo parte dell’antica Persia, che lei ha definito “il ritratto di un paese che per moltissimo tempo è stato un crocevia di tante etnie, religioni e lingue differenti”. Tutti ritratti frontali in bianco e nero, soggetti di diverse età e sesso, li pone tutti nella stessa posa, su sfondo nero, le mani giunte in atto di preghiera, gesto che, dice, le è stato influenzato studiando i dipinti religiosi di El Greco. Ogni foto ha un testo poetico da lei scritto in cui riprende quanto i soggetti fotografati le dicevano commentando il lavoro fatto insieme, rigorosamente scritti a mano con anche versetti del poeta Nizami Ganavi vissuto in Persia nel XII secolo nel territorio che adesso è l’Azerbajan. E’ “il ritratto di un paese che per moltissimo tempo è stato un crocevia di tante etnie, religioni e lingue differenti” commenta

Neshat è diventata infatti famosa per i ritratti di donne iraniane sul cui volto e corpo lei ha scritto a mano lunghe riflessioni con un risultato di grande fascino. Nel 2009 l’artista ha vinto con il suo primo lungometraggio Donne senza uomini il Leone d’argento per la miglior regia al festival del cinema di Venezia. Oggi l’artista rappresenta forse l’unico caso di autentico ponte fra l’oriente e l’occidente, fra culture di origine cristiana e musulmana, il tutto valorizzando con il massimo rispetto l’umanità che è sangue ovviamente e soprattutto gli occhi del mondo.





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