GIOVANNI FALCONE/ “Mi hanno consegnato ai boss della mafia”, ma ieri nessuno l’ha detto

- Gianluigi Da Rold

Le celebrazioni di Giovanni Falcone sono ormai un genere. Ancor più quelle dei 25 anni. Alcune stranezze e omissioni viste sulla carta stampata. GIANLUIGI DA ROLD

pietro_grasso_discorso_lapresse_2017 Elezioni 2018, Pietro Grasso (LaPresse)

A 25 anni dalla morte nell’orrendo agguato e nella conseguente strage di Capaci occorreva ricordarlo, era impossibile rievocarlo sotto traccia. Ma guardando bene, nelle commemorazioni per Giovanni Falcone, si è notato un misto di ricordi partecipati e misurati, con altri di enfasi rituale. Ci sono stati pure alcuni imbarazzati silenzi (per quanto è possibile sapere) e infine qualche ricordo in sordina.  

Il Corriere della Sera, ad esempio, ha messo a pagina 19 (parte probabilmente “strategica” dell’attuale giornale) una rievocazione con un titolo d’apertura in corpo piuttosto piccolo (forse un 28 ristretto) che ha qualche ambiguità. Eccolo: Morvillo al Csm: “Chi ostacolò Falcone ora lo ammetta”. Bisogna leggere bene il pezzo per comprendere che il cognato di Falcone, Alfredo Morvillo, rimprovera con asprezza i componenti del Consiglio superiore della magistratura che ostacolarono la nomina di Falcone a capo del pool antimafia e poi al vertice dell’ufficio Istruzione di Palermo.

Si è naturalmente preferito ignorare nel titolo la dichiarazione di Maria Falcone, la sorella di Giovanni, che ha sempre dichiarato a proposito dei contrasti tra Falcone e il Csm: “E’ da allora che Giovanni ha cominciato a morire”. Forse Maria aveva raccolto le confidenze del fratello, che diceva senza mezzi termini, per quelle nomine osteggiate e poi mancate (sarebbe stata probabilmente la stessa cosa per la futura Procura nazionale antimafia): “Mi hanno consegnato ai boss della mafia”.

Le rievocazioni di Falcone diventeranno inevitabilmente sempre più imbarazzanti, perché dopo 25 anni, il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, ha detto che sono diventati pubblici non solo gli episodi della vita di Falcone, ma il dossier dei rapporti “problematici” tra Falcone e il Csm. Ci sarà da piangere e da sorridere amaramente, se si ripensa a ciò che è stato fatto a Falcone, oltre che dalla sua terribile nemica Cosa nostra, la mafia che lo ha ucciso, anche da alcuni suoi colleghi e sedicenti amici.

Insomma, intanto il Corriere se l’è cavata al momento come l’antico Times londinese, che un tempo metteva in prima pagina gli annunci pubblicitari e solo in qualche occasione, come nel 1953, ruppe questa tradizione mettendo in un riquadro questa notizia, piuttosto storica: “Ieri è morto mister Stalin”.

Diciamo che il Corrierone se l’è cavata. Ha scrupolosamente ricordato la  rievocazione al Csm del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che è stato sobrio, molto sobrio: “I criteri del suo impegno rimangono validi”.

Ben altra ampiezza lo spazio riservato da Repubblica (pezzo in prima e due pagine interne), ma confessiamo che l’articolo di Roberto Saviano, dove viene citata con onestà la lotta nel Csm e nella magistratura, sembra limitato quando viene attribuito tutto l’ostracismo al sentimento dell'”invidia” dei colleghi. C’è ben altro ed è possibile che presto si arriverà a maggiore comprensione di quell’ostilità nei confronti di Giovanni Falcone. 

Ripassando velocemente la stampa, si può dire che Il Fatto Quotidiano, nella sua confusione (considerazione personale nostra) e in quell’intervista un po’ “complicata” e ricca di dietrologia fatta da Marco Travaglio al procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, non pecca certo di ipocrisia. 

E’ Il Fatto, in effetti, a dare un titolo sulle accuse di Maria Falcone e poi a dare la parola anche al Guardasigilli che si prese Falcone a lavorare con sé, al ministero, il socialista Claudio Martelli. Pensiamo tutto al contrario di Travaglio, ma occorre dire che la voglia di arrivare alla verità (anche in modo confuso, ripetiamo) è migliore dell’ipocrisia.

Un uomo come Giovanni Falcone merita di essere onorato con verità. Per anni è stato considerato il più grande magistrato al mondo, all’estero naturalmente, perché in Italia avevamo già i …Di Pietro, i Davigo ed era in arrivo Woodcock. Perdinci!

Falcone era un uomo intelligente, affascinante e amava la vita. “Vorrei vivere a Parigi”, disse al sottoscritto che ebbe la fortuna di conoscerlo in un’occasione. E diede pure un consiglio interessante e spassionato: “Lei ama leggere? Vada in libreria a prendersi Il quattordicesimo zero, è il romanzo della mafia o della nuova mafia. Ma faccia a presto ad acquistarlo, perché tra un po’ lo faranno sparire”. Poi sorrise, salutando gentilmente.

Il problema reale è che la verità su Falcone è imbarazzante per tanta magistratura italiana. Basta rileggere quello che Falcone scriveva, quello che sosteneva, quello per cui si batteva. I ricordi qui si confondono con una certa emozione, come quando doveva difendersi, durante qualche trasmissione televisiva, dagli applausi scroscianti  che venivano da sinistra, quella catto-comunista, e andavano a un suo implacabile accusatore, l’avvocato Alfredo Galasso, che forse riteneva di essere l’unico ed esclusivo combattente contro la mafia. 

Poi c’erano gli esposti e i proclami dell’ancora attuale sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che arrivò a dire che Giovanni Falcone nascondeva le carte sul famoso “terzo livello”, non rivelando i nomi di chi dirigeva veramente la mafia e di chi era colluso pesantemente con essa.

C’era una famosa trasmissione condotta da Michele Santoro a fare da grancassa alle contestazioni e alle insinuazioni. Strano che ora, a quanto risulta, Falcone non sia stato ricordato dal sindaco della sua città. Forse questo primo cittadino, noto per la sua “primavera palermitana”, ex “democristiano di complemento”, teme di rifare una figura come quella che gli riservò la sorella di Falcone, Maria (sfiorò l’insulto) durante una celebre puntata di Mixer di Giovanni Minoli?

Quando Falcone andò al ministero della Giustizia a lavorare con Claudio Martelli portava con sé tutta la sua esperienza e il suo bagaglio culturale, umano e giuridico. In quegli anni piuttosto sbrigativi e spiccioli nell’accusa indiscriminata a tutto e a tutti, Falcone diceva (lo gridò anche in televisione) che “la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità”. Spesso aggiungeva: “E’ l’anticamera del khomeinismo”.

Poi c’era il problema dei pentiti. Sapeva benissimo quello che potevano e  volevano dire. Era uno dei pochi che sapeva “usarli” in modo intelligente e sapeva separare il grano dal loglio. Ascoltava Buscetta e confrontava i suoi riscontri. Ma smascherava duramente anche chi lo imbrogliava come il sedicente pentito Giuseppe Pellegritti.

Poi arrivavano le dolenti note sull’ordine giudiziario. Quando Falcone propose la Procura nazionale antimafia, sembra che anche l’inappuntabile e abilissimo procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, avesse storto il naso. Secondo alcuni, ci sarebbe stato una sorta di controllo sulla magistratura, di controllo soprattutto sul pm. E tutti sapevano, perché non ne faceva mistero, che Falcone era per la separazione delle carriere tra pm e giudici, come avviene in tutti i Paesi democratici del mondo. E questo non faceva che aumentare l’ostracismo contro di lui.

Una cosa è certa per quella Procura nazionale che poi nacque: che tutti gli “adorabili” colleghi, tranne pochi, avrebbero ostacolato una nomina di Giovanni Falcone.

Poi c’era ancora la battaglia tra correnti, che irritava, che indisponeva Falcone, per non dire altro, quella che poi si concentrava soprattutto a Palazzo dei Marescialli nella sede del Consiglio superiore della magistratura. In realtà, erano troppe le cose che Falcone non condivideva con i suoi colleghi e quindi i suoi colleghi aggiungevano all’invidia verso chi era stimato in tutto il mondo, anche l’astio per queste idee che facevano di Falcone un innovatore, un riformatore di un ordine  giudiziario che, proprio nessuno al mondo, oggi ci invidia. Un ordine giudiziario autoreferenziale, che sembra più intento a difendere i suoi privilegi e i suoi indubbi poteri che il rispetto della giustizia in un paese democratico.

C’è un altro ricordo. Nella famosa polemica tra “I professionisti dell’antimafia”, per l’articolo scritto da Leonardo Sciascia, Falcone non covò risentimenti e tanto meno smise di leggere Sciascia che considerava un grandissimo scrittore. Pare azzardato, poi, come ha fatto Gian Carlo Caselli in un articolo di gennaio di quest’anno, attribuire a quella polemica la bocciatura del Csm di Falcone, per “informazioni tendenziose” che riguardavano altri. A farne le spese sarebbe stato Falcone. Adesso che il dossier viene pubblicato basta andare a verificare il tutto e farsene una ragione.





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