STEVE JOBS/ La nuova biografia del fondatore di Apple: non voleva farsi operare per il tumore

- La Redazione

La prossima settimana esce una nuova biografia del fodnatore della Apple. La particolarità è che Steve Jobs ha rilasciato all'autore molte interviste esclusive

Jobs_MacR400 Foto Ansa

I negozi di libri, dal giorno immediatamente successivo la sua morte, sono già pieni di opere che raccontano la vita di Steve Jobs, il fondatore di Apple. Quasi tutti sono banali riempitivi. Quello scritto da Walter Isaacson in uscita la prossima settimana, promette di avere qualche carta in più: lo stesso Jobs infatti collaborò con l’autore

Il geniale fondatore di Apple, l’uomo che ha ideato il personal computer e poi l’iPod, l’iPhone e l’iPad muore il 5 ottobre 2011 dopo lunga malattia. Da un paio di mesi aveva rassegnato le dimissioni dalla sua carica perché impossibilitato proprio per il tumore che lo aveva colpito da anni. Era infatti già stato operato una volta nel 2004 e sembrava che la cosa si fosse conclusa al meglio, ma come succede quasi sempre in questi casi, il cancro tornò a farsi sentire e questa volta non ci fu via di scampo. Come in tanti casi analoghi, quelli cioè di personalità famose colpite da malattia, in molti avevano già preparato il libro sulla sua vita a cui mancava solo il capitolo finale, quello della morte. Così non c’è da stupirsi se il giorno dopo la morte sugli scaffali delle librerie apparivano già i primi volumi che ne raccontavano la vita. E in modo altrettanto simile a casi analoghi, quasi sempre questi instant book sono scritti estremamente superficiali, privi di apprendimento e di fonti verificate. Insomma, fatti appositamente per fregare il curioso e l’appassionato che vogliono saperne di più sulla vita del proprio idolo, in questo caso Steve Jobs. Lunedì prossimo in America esce però una nuova biografia, intitolata semplicemente con nome e cognome di Steve Jobs, a cura dello scrittore Walter Isaacson, che si annuncia più interessante di quanto visto fino a oggi. Steve Jobs ha infatti rilasciato una dozzina di interviste esclusive con l’autore.

Steve Jobs smise di essere credente, cioè di non credere più in Dio, perché era addolorato per i troppi bambini che muoiono di fame nel mondo. I dirigenti che gli soffiarono il posto alla Apple cacciandolo, per Jobs, erano tutti dei “corrotti”. E quando gli fu detto che doveva sottoporsi a operazione chirurgica per curare il suo tumore, si rifiutò di obbedire per ben nove mesi per sottoporsi invece a una cura a base dei erbe e medicinali naturali (che non ebbero grande successo, sembrerebbe). Ecco alcune delle cose del tutto inedite che si vengono a scoprire leggendo la biografia di Isaacson, ed ecco perché questo libro si annuncia interessante: si scoprono infatti dettagli e aspetti della personalità del genio dell’informatica che erano sconosciuti alle masse.

A proposito del rifiuto di farsi operare, il problema per Steve Jobs non era semplicemente che fosse un convinto sostenitore dei metodi di cura naturali e un oppositore della medicina tradizionale. No: Steve Jobs non voleva che qualcuno, neppure un chirurgo, gli mettesse le mani dentro al suo corpo perché si sarebbe sentito “violato”. I mesi passati senza operarsi nel 2003 quando gli fu diagnosticato un tipo di cancro al pancreas che è abbastanza curabile in molti casi, risulteranno però fatali: dopo, fu troppo tardi, anche se lui, come dice il libro, mentiva ai suoi collaboratori dicendo di essere guarito e fuori pericolo.

Nel 2010 Google presenta al pubblico un nuovo tipo di smartphone, quello che utilizza il software Android. Quando Steve Jobs ne viene al corrente, dà fuori di matto: lo considera un autentico furto del suo iPhone. A raccontarlo all’autore del libro è Eric Schmidt, ex Ceo di Apple e membro del board dell’azienda dal 2006 al 2009. Jobs, dice, andato su tutte le furie, decide di aprire una guerra legale con Google nella quale si dichiara disposto a spendere ogni singolo centesimo dei 40 miliardi di dollari che Apple ha accumulato in banca. La definisce una “guerra termonucleare” che vuole combattere a ogni costo. Per Jobs, non si tratta di essere pagato in caso di vittoria contro Google: non vuole soldi, dice a Schmidt, se mi date anche cinque miliardi di dollari, li rifiuto. Sono pieno di soldi, aggiunge: “Voglio solo che smettiate di usare le nostre idee per il vostro Android”.

Cresciuto in una famiglia cristiana, Steve Jobs (che era stato adottato da padre biologico di origine siriana) smise di credere in Dio all’età di 13 anni. Il motivo? La copertina della rivista Life. Quella copertina presentava una foto di bambini morenti per fame. Una vista che lo scioccò. Recatosi alla sua parrocchia, chiese al suo pastore se Dio sapesse cosa sarebbe successo a quei bambini. Da quel giorno, Steve Jobs non mise più piede in una chiesa, anche se in anni successivi si dedicò allo studio del buddismo zen. A proposito della sua adolescenza, nel libro Jobs racconta anche che ai tempi della scuola era un autentico nerd, uno sfigato ed era vittima costante di fenomeni di bullismo. Nello stesso periodo sviluppa l’amore sconfinato per la musica dei Beatles. E chi pensa che la sua azienda si chiamò Apple rubando il nome all’omonimo marchio dei Beatles, si sbaglia: il nome Apple venne da una delle tante diete a base di frutta, in quel caso le mele, che Jobs amava intraprendere. Il nome “Apple”, mela, per Jobs suonava divertente, brioso e non intimidatorio. Però fece gran uso di Lsd, proprio come i Beatles, definendo l’esperienza con la droga importante per aver rinforzato la sua sensibilità verso cosa fosse davvero importante.

  Nel 1985, clamorosamente, Jobs viene estromesso dalla azienda che lui stesso aveva fondato. Un colpo di mano dei suoi migliori collaboratori che lo mettono alla porta schierandosi in maggioranza contro di lui. Per Jobs, quelle persone rimarranno sempre delle pessime persone. A Isaacson li definisce dei corrotti, gente attaccata a valori corrotti come i soldi, mentre per lui più del guadagno era sempre stato più importante produrre cose nuove.  Invece di fare nuovi prodotti, a loro interessava solo fare soldi per sé e per la Apple, dirà ancora all’autore del libro. Ma Jobs non era un imprenditore che odiava i suoi concorrenti, anzi. Quando, ad esempio, alcuni suoi collaboratori espressero la loro felicità per la crisi in cui si trovava uno dei loro diretti concorrenti, la Hewlett and Packard, Jobs si disse invece dispiaciuto della cosa. “Era un’ottima azienda che faceva ottimi prodotti” disse. “Spero di lasciarmi dietro una eredità migliore perché una cosa del genere non succeda anche alla Apple”.





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