SPY FINANZA/ Il “piano casa” della Spagna che fa tremare l’Europa

- Mauro Bottarelli

La Bce vede una stabilizzazione vicina per l’economia dell’Eurozona. Tuttavia la situazione di Spagna e Grecia sembra smentire l’Eurotower, come spiega MAURO BOTTARELLI

Case_PalazziR439 Mutui sulle case (Infophoto)

L’economia dell’Eurozona «dovrebbe stabilizzarsi e registrare una lenta ripresa». Lo scrive la Bce nel Bollettino mensile di agosto, spiegando che la politica monetaria «resterà accomodante finché sarà necessario» al fine di «sostenere una graduale ripresa dell’attività economica nel prosieguo dell’anno e nel 2014». Dopo sei trimestri di contrazione dell’attività nell’area dell’euro, sottolinea la Bce, «i recenti indicatori del clima di fiducia basati sui risultati delle indagini mostrano qualche ulteriore miglioramento, a partire da bassi livelli, dando cauta conferma all’aspettativa dello stabilizzarsi dell’attività economica su livelli contenuti». Le condizioni del mercato del lavoro permangono deboli. Così il Bollettino Bce, aggiungendo che nel 2013 e nel 2014 «la crescita delle esportazioni dell’area dell’euro dovrebbe beneficiare di una progressiva ripresa», mentre quella interna è sostenuta dalla politica monetaria accomodante e dagli aumenti del reddito reale.

«La rimozione delle rigidità nel mercato del lavoro, la riduzione degli oneri amministrativi e il rafforzamento della concorrenza nei mercati dei beni e servizi, saranno di giovamento per le piccole e medie imprese», riforme “essenziali”, queste, per «abbassare il livello elevato di disoccupazione, soprattutto tra i giovani dell’area dell’euro». Insomma, ancora una volta la Bce ha usato la carta carbone e ci ha spiattellato l’ennesimo bollettino uguale al precedente: in base ai calcoli della Bce, l’Europa avrebbe dovuto cominciare a crescere nella primavera del 2012, peccato che a crescere siano stati solo disoccupazione, sofferenze bancarie e numero di piccole e medie imprese fallite. Tant’è.

Ironia ha voluto, però, che nel giorno in cui l’Eurotower emetteva il suo ennesimo editto improntato al cauto ottimismo, un paio di dati macro reali siano andati a rovinare il quadro idilliaco tratteggiato da Francoforte. Non so se vi siete accorti, ma da qualche tempo, ad esempio, la Spagna è sparita dai titoli dei giornali. Finito lo scandalo della corruzione nel Pp, l’economia pare in piena ripresa, lo spread è placido come un lago alpino, le aste vanno bene, la Borsa non conosce più bagni di sangue grazie ai titoli bancari che sembrano divenuti di colpo un bene rifugio al pari dell’oro. Misteri della comunicazione. Ora, per quanto le previsioni del Fmi non siano la Bibbia (anzi), queste tendono a risultare fallaci per eccesso di ottimismo e non di pessimismo. Bene, l’ultimo report del Fondo dedicato al Madrid dice chiaro e tondo che «la Spagna storicamente non ha mai generato occupazione netta quando l’economia cresce meno del’1,5-2%». E nonostante il dato taroccato sulla disoccupazione, calata sì ma solo per lavori part time legati al turismo estivo, ecco qual è il verdetto finale del Fondo: «La ripresa debole restringerà i margini di guadagno del dato occupazionale, tanto che il tasso di disoccupazione resterà sopra il 25% fino al 2018». No, avete capito bene? Altri cinque anni con uno spagnolo su quattro disoccupato e i mercati plaudono festanti al presunto miracolo iberico…

Per gli analisti del Fondo, infatti, il Pil spagnolo crescerà meno dell’1% fino al 2017 e solo dell’1,2% nel 2018, numeri che «impongono al governo ulteriori, drastiche azioni». E quali potrebbero essere queste azioni? Dalle parti di Madrid hanno partorito un’idea a loro dire geniale, ovvero hanno trovato il loro personalissimo moltiplicatore keynesiano: far ripartire il mercato immobiliare e l’occupazione nel settore edile distruggendo parte delle case ancora in costruzione ma i cui lavori sono fermi causa la crisi, un qualcosa che a Londra è stata definita “counter-homebuilding campaign”. A confermarlo ci ha pensato Daniel Anka, titolare di un’azienda di demolizioni che prima della bolla immobiliare contava 450 dipendenti e ora soltanto 50: interpellato da Bloomberg, ha confermato che sta attendendo comunicazione dalla Sareb, la bad bank governativa dove sono piazzati non solo mutui immobiliari inesigibili ma anche immobili, per cominciare la demolizione di strutture abitative mai completate. Si parla di circa 160 cantieri dei 650 che la Sareb sconta nel suo bilancio, alcuni dei quali verranno abbattuti da gente come il signor Anka mentre altri saranno portati a termine. E l’operazione è imminente, visto che si parla di lavori che potrebbero iniziare già durante questo mese.

Il problema è che questa strategia ha una piccolissima controindicazione: una volta che il primo cantiere verrà abbattuto, i mercati sconteranno immediatamente a 0 euro il valore degli immobili non terminati presenti nei bilanci delle banche, le quali dovranno prezzare quella perdita di valore. Che fare, quindi? Creare una carenza di offerta di case come negli Usa, tentando di far rialzare i prezzi medi degli immobili? Peccato che in Spagna la crisi del settore sia legata non all’offerta ma alla domanda, totalmente o quasi assente. Il tutto con la Sareb che, per ripulire un po’ i bilanci di istituti come Bankia, si ritrova in portafoglio 200mila assets, di cui 107mila immobili: 76mila di questi sono sfitti, vuoti, ma nonostante la situazione generale del Paese, il Fondo governativo spera di vendere già quest’anno proprietà per un controvalore di 1,5 miliardi di euro. Il primo lotto messo in vendita, con il roboante nome di “Progetto toro”, ha visto il bando reso pubblico il 18 luglio scorso: sviluppi? Zero, non solo non sono arrivate offerte, ma lo stesso governo non ha più speso una parola al riguardo. E sapete perché? Perché in Spagna, escludendo gli immobili comprati dalle banche, la vendita di case nel 2012 era ferma a 259mila unità contro le 736mila del 2007, elaborazione della RR de Acuna, leader del real estate iberico, su dati catastali.

E il trend non è destinato a normalizzarsi, visto che per RR de Acuna il fondo non è ancora stato toccato: i prezzi delle case dal 2007 a oggi sono scesi del 35% ma realisticamente prima di tornare a una ripresa sostenibile ci vorranno altri cinque anni di calo, portando la percentuale di calo dal picco al 50% netto. Fin qui la Spagna. Peccato che i problemi non si fermino qui, visto che al netto dei bollettini della Bce, la Grecia ieri ha festeggiato il triplicamento del suo tasso di disoccupazione dall’inizio della crisi, nel 2009.

Dopo sei anni di recessione e altrettante iniezioni di austerity sotto prescrizione della troika, l’agenzia nazionale di statistica, Elstat, ha confermato che in maggio la disoccupazione è salita al 27,6% dal 27% di aprile, il doppio netto dell’eurozona che in giugno segnava un 12,1% e il dato più alto mai registrato in Grecia da quando Elstat ha cominciato a tracciare il tasso nel 2006. Insomma, in Grecia 1,4 milioni di persone non lavorano e 3,3 milioni sono definiti “economicamente inattivi”. Non male per un continente in lenta ripresa, tanto più che il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il record assoluto del 64,9% dal 57,5% di aprile, roba da terzo mondo, altro che da Ue.

E, attenzione, non fatevi abbindolare né dalle parole della Bce, né tantomeno dallo spread in calo. Il nostro differenziale, infatti, non cala perché stanno acquistando nostro debito ma perché sui mercati si sta vendendo debito tedesco, cosa che – in vista delle elezioni – sta facendo non poco innervosire il duo Merkel-Schauble.

Qualcosa, infatti, sui mercati sta succedendo, anche se sottotraccia, in silenzio. Negli Usa la vendita di debito europeo non-investment grade ha toccato il record quest’anno, scaricando 106,6 miliardi di dollari di debito corporate europeo, l’11% in più del 2012. Ancora più alto il dato di vendita di debito high-yield, salito del 67% per un controvalore di 28,8 miliardi di dollari. Insomma, i timori per un rialzo dei tassi di interesse sta non poco influenzando le scelte degli investitori, i quali mettono in preventivo un improvviso rialzo dei rendimenti governativi esattamente come accaduto nel 2011 e rischi connessi alle finestre di rifinanziamento per il debito corporate nel 2016 e 2017. Insomma, al netto della Bce, meglio tenere la guardia molto alta. Il pugile suonato, a volte, ha sempre un ultimo pugno che non ci aspettiamo.

 

P.S.: Ieri abbiamo scoperto, attraverso il sindaco di Siena, che ci sarebbe l’interesse di soggetti esteri per Monte dei Paschi (alla faccia della politica che deve stare fuori dalle questioni bancarie), che il ceo di Mps, Fabrizio Viola, si è detto pronto a cambiare il piano di riassetto e attende le indicazioni di Bruxelles sui Monti-bond, ma soprattutto che l’istituto senese non può fallire. E sapete perché? Basta leggere il rendiconto di bilancio reso noto mercoledì per scoprire che la banca di Rocca Salimbeni nel solo secondo trimestre di quest’anno ha comprato titoli di Stato italiani per 3 miliardi di euro e che le sue detenzioni di debito governativo sono oggi al massimo storico, 29 miliardi di euro, come ci dimostra il grafico qui sotto. Che Dio ci aiuti.

 







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