ALITALIA/ I manager francesi si prendono CAI e “lasciano” ai nostri la Legion d’Onore

- Guido Gazzoli

Mentre CAI si è accollata il peso di Air One, cresce la presenza di manager francesi al suo interno. Di italiano rimangono i debiti e il personale più qualificato estromesso, spiega GUIDO GAZZOLI

alitalia_airfrance_1R375_20ago08 Foto Ansa

Le ultime notizie su Alitalia (come d’altronde le precedenti da quando è nata CAI) paiono in sintonia con quanto dichiarato e scritto dal Presidente del Consiglio anche di recente nel libretto sull’operato del suo Governo: l’Alitalia, come Napoli e l’Abruzzo, è stata salvata dal suo provvidenziale intervento.

A dirla tutta pare proprio lapallissiano che sulla Compagnia non si possano attendere comunicati negativi da parte sia di chi la gestisce che di chi l’ha politicamente creata: non per nulla si continuano a nascondere le cause che l’hanno portata al fallimento, e si minimizza il fatto che chi l’ha comprata la deve ancora pagare e ha ricevuto una società libera dai debiti che continuano a gravare nelle tasche dei contribuenti.

Poi si possono tirare tutti i sospiri di sollievo e vedere il futuro roseo, ma pare che il più caro spot di campagna elettorale della Repubblica non sia quel successone che viene dipinto. L’attuale CAI è molto più piccola della vecchia AZ e nonostante questo e il carico di personale, non solo dimezzato nei numeri ma anche nel costo, come giustamente scrive Ugo Arrigo, i conti non tornano. Se poi ci mettiamo gli sgravi fiscali e le norme protezionistiche sul traffico nazionale il quadro non è allegro.

Tempo fa leggevo il libro pubblicato da Lucio Cillis intitolato Tutto quello che avreste voluto sapere su Alitalia e non avete mai osato chiedere e, a scapito del titolo, mi sono invece chiesto come mai un testo del genere, un campionario di copia-incolla che pare altresì scritto in tutta fretta, sia uscito dalla penna di un collaboratore di Repubblica, che tanto insorge contro le leggi bavaglio varie ma che non ha mai neanche lontanamente spiegato ai suoi lettori (e attraverso il libro continua a non farlo) non solo le cause della tragedia, ma anche la situazione di chi la cosa l’ha vissuta.

D’altronde la presentazione del testo nella sede della CISL, uno dei sindacati più favorevoli a tutta l’operazione CAI, e la presenza del ministro Sacconi, altro protagonista della vicenda, parlano chiaro: stendiamo quindi un velo pietoso, ma non dimentichiamoci che di professionismo informativo nella vicenda se ne è visto pochissimo e anche tutto l’arco partitico, “opposizione” compresa, si è vantato di aver aiutato la realizzazione della cosa.

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I conti quindi non sono rose e fiori e non si capisce ancora bene la strategia del vettore: dichiarazioni precedenti puntavano il business sul medio raggio (dove la concorrenza delle low cost è agguerrita e perdente per un vettore normale)  e invece di recente, con la presentazione dell’Airbus 330 a Malpensa, pare che il lungo raggio sia diventato il cardine dello sviluppo.

Ciò denota una navigazione a vista molto poco confortante se si pensa che i voli intercontinentali, cavallo di battaglia della vecchia Alitalia (quella per intenderci che faceva parte del G8 dei vettori globali) sono stati drasticamente ridotti nel network fin dall’epoca di Mengozzi (2002), cosa che di fatto ha tarpato le ali, è proprio il caso di dirlo, alla Compagnia di bandiera, consegnandola in pratica nelle mani dell’Air France dell’allora Ad Spinetta.

Non è un caso se nello stesso periodo dell’entrata in flotta di una macchina presentata al Salone Internazionale di Le Bourget nel 1987 (l’Airbus 330) ha fatto eco la quasi contemporanea presenza dei nuovissimi A380 sia da parte di Lufthansa (che però ha operato un solo volo dimostrativo, tenendosi ben alla larga dallo scalo varesino con i voli intercontinentali almeno finchè Linate sarà uno scalo internazionale) e la Compagnia degli Emirati Arabi Ethiad, che opererà un volo diretto con Dubai con questo nuovissimo mostro del cielo.

CAI prevede l’arrivo di soli altri 5 A330 ( dalle società di leasing appartenenti a Carlo Toto) per sostituire gli ormai superobsoleti Boeing 767, quindi non uno sviluppo della flotta ma uno svecchiamento che fa pensare al mantenimento di un network ridotto proprio nel mercato intercontinentale, dove i guadagni sono maggiori dovuti anche ad una mancanza di vettori lowcost.

I contratti di gestione di linee AZ da parte di Air Italy e della croata Dubrovnik Airlines (rispettivamente nel mercato intercontinentale e internazionale) ripropongono un vecchio problema che già assillò la vecchia Alitalia (con il progetti Team), che fu costretta ad una retromarcia dovuta alle contestazioni delle associazioni dei consumatori americane. Specie nel caso della compagnia dell’ex-Jugoslavia è prevista l’utilizazzione di aerei MD80 dello stesso modello (ed età) dismesso dalla vecchia AZ ed attualmente ancora in vendita da parte del Commissario Fantozzi, oltretutto con l’impiego di equipaggi croati con un solo assistente di volo italiano delegato agli annunci.

 

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Quale sia il senso della dismissione dei vetusti MD80 quando poi gli stessi rientrano dalla “finestra” di altri vettori, invece che di una riduzione progressiva per utilizzarli dove sono ancora utilissimi (ricordiamo che l’MD80 è una macchina completamente autosufficiente anche come struttura di scalo, dato che è dotata di una scala retrattile, strumento prezioso in molti aeroporti carenti di attrezzature) rimane un mistero, anche se la totale e improvvisa scomparsa dell’aeromobile più diffuso nella vecchia AZ oltre a ridurne notevolmente l’operatività (basti pensare alla marea di slot  Alitalia non sfruttati a Linate, fatto che ne ha drasticamente diminuido l’attività) ha di fatto duplicato (con una sola “eccellente” eccezione) il numero degli esuberi tra il personale di volo (e non solo).

E qui andiamo a toccare un altro tasto che però la stampa ufficiale si guarda bene dal mostrare: quello delle persone attualmente in CIGS e degli attuali dipendenti. Già qualcosa i lettori del sussidiario l’avevano intravisto nell’articolo del pilota intitolato “Le voci che tengono lontana Alitalia da Air France”, dove si scriveva apertamente di un non gradimento di tanti “interni” al riassorbimento dei colleghi in CIGS per paura di un calo del monte ore di volo (e di conseguenza delle retribuzioni) .

Quello che non si è mai capito è che la falcidia che ha estromesso dal lavoro ben 13.000 dipendenti (3.000 a contratto a tempo determinato e 10.000 impiegati stabilmente) ha di colpo fatto venir meno quello che è il bene più prezioso che una compagnia aerea possiede: il know-how e l’esperienza del personale.

Stiamo parlando di un settore dotato di altissima tecnología, dove l’esperienza ha spesso in passato tappato i buchi operativi  (e non)  di Alitalia. Questo “capitale umano”, costosissimo in termini di formazione ma altamente competitivo sia come preparazione che come costo del lavoro (ricordiamo che la vecchia AZ aveva un costo del personale decisamente più basso delle Compagnie di riferimento) è stato di colpo quasi totalmente buttato. È un pò come se si volesse far funzionare un computer senza memoria: i risultati si sono visti nella difficilissima partenza di CAI ma anche attualmente, visto che vi sono dei significativi vuoti di organico colmati con l’utilizzo delle risorse disponibili (aumentate con chiamate di personale a tempo determinato) al limite delle possibilità.

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È  quanto si evince anche da un interessantissimo articolo apparso sul quotidiano  Il Manifesto dove una tale Irene, hostess, confessa: «Adesso, se volo senza mai fermarmi, arrivo a guadagnare lo stipendio medio di prima. Hai giusto il tempo di tornare a casa, fare la spesa, controllare che in famiglia siano tutti vivi e ripartire». E continua: «Dei 45 giorni di ferie che avevo prima ne sono rimasti 30. A noi però non spettano le feste comandate come per gli altri lavoratori, così se voglio stare a casa a Natale sono giorni di vacanza che perdo. Anche i riposi non sono più inamovibili come prima, possono richiamarmi a lavoro quando vogliono. «Solo che – precisa Irene – il mio stipendio base è più basso con la Cai, così, anche se lavoro come una trottola, la mia pensione sarà più bassa». Un calcolo complicato, probabilmente vicino ai 1.200 euro al mese «dopo trentacinque anni di un mestiere usurante», commenta la giornalista che ha redatto la nota. C’è da precisare che i 30 giorni di ferie citati sono in realtà venti, perchè la postilla che riduce 1 giorno di riposo ogni 3 di ferie nell’arco dell’assegnazione non è stata cancellata.

Irene è insoddisfatta, come moltissimi altri, anche perchè era favorevole all’offerta di Air France: «Avrebbero investito, gli esuberi previsti erano 2.500, con la Cai sono stati seimila (in verità sono arrivate 10.000 lettere di CIGS, ndr). Abbiamo firmato un contratto capestro per il quale siamo diventati carne da macello però, in compenso, ci siamo accollati la Air One di Carlo Toto, un peso morto. Il risultato è che tutti quelli che venivano da una piccola compagnia locale decotta non hanno fatto un giorno di cassa integrazione, anzi hanno avuto una promozione e con dieci anni di esperienza su voli brevi fanno da capo cabina a me che posso insegnare loro il mestiere. La verità è che ci è rimasto dentro il senso di sconfitta come un peso. Non siamo riusciti a ottenere il rispetto che ci è dovuto, spero che non accada ancora ad altri lavoratori».

C’è da dire che il bacino della CIGS Alitalia conta a tutt’oggi di circa 5.500 unità, molte delle quali però alla fine del periodo di CIGS e mobilità non possiederanno i requisiti pensionistici minimi e di conseguenza si troveranno senza lavoro, nonostante le varie promesse fatte da politici vari ed anche dalle mutate strategie aziendali. Ma certo sostituirli con lavoratori stranieri, come nel caso sopra citato, non fornisce una bella immagine di un’azienda che la politica ha fatto credere a milioni di italiani di aver salvato quasi si tratasse, come è stata dipinta, di un’operazione ascrivibile al Risorgimento del nostro Paese.

La sempre più massiccia presenza di manager francesi all’interno di CAI fa pensare che ormai le cose stiano prendendo la piega che tutti sapevano, tanto che pure il quotidiano Il Giornale lo scrive senza tanti giri di parole.
Di italiano sono rimasti gli enormi debiti, il carico del personale estromesso e la flessibilità di quello operante: veramente patriottico, oserei dire meritevole. Sì, ma come già avvenuto in passato per l’ex Ad Mengozzi, della Legion D’Onore.





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