FINANZA/ 1. E se fosse una banca tedesca ad “affondare” l’Europa?

- Mauro Bottarelli

Le banche continuano ad avere un ruolo centrale nella crisi che stanno attraversando i debiti sovrani dell’eurozona. MAURO BOTTARELLI ci spiega perché

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And the winner is… Wolfgang Schauble. Ebbene sì, il vincitore del premio “battuta dell’anno 2011” va di diritto al ministro delle Finanze tedesco per questa perla, non sappiamo quanto inconsapevole:

«Sono certo che saremo in grado di gestire la crisi del debito in Europa grazie alle misure concordate per le riforme istituzionali dell’area euro». Insomma, cari amici, non avevamo capito proprio niente. Per risolvere una crisi NON causata da deficit fiscali (esclusa la Grecia, ovviamente, ma Spagna e Irlanda erano in surplus e l’Italia ha un avanzo primario), occorreva intervenire – come accaduto nella notte tra giovedì e venerdì scorsi a Bruxelles – esclusivamente sui deficit fiscali. E guarda caso, in soli due giorni dal taglio dei margini sul nostro debito da parte delle due clearing-house CC&G e LCH Clearnet, il nostro Btp decennale ha preso 100 punti base di rendimento e 110 di spread, mentre il cds addirittura 120 punti base (ricordate quest’ultimo dato, vi aiuterà a capire la parte finale dell’articolo): prepariamoci a un nuovo rialzo dei margini. Chissà come mai, poi, se la questione è tutta fiscale, la Germania si troverà costretta tra poche settimane, lo dice l’Eba (European banking authority) a dover salvare Commerzbank e altre tre banche (NordLB, Helaba e WestLB, tre Landesbanken): ma la crisi non era tutta incentrata e causata dai deficit fiscali? Ma come, un gigante come Commerzbank, sanissima stando ai giudizi dei banchieri tedeschi, non riesce a trovare sul mercato 5,3 miliardi di euro per rifinanziarsi? I 18 miliardi di euro già ricevuti dal governo nel 2008 e 2009 (lo Stato detiene un quarto della banca) non sono stati sufficienti a rimettere in ordine i bilanci? Cosa c’è sotto l’insondabile livello 3, nemmeno l’Eba vuole saperlo, della banca teutonica? E cosa rende Commerzbank così debole? L’esposizione obbligazionaria al debito spagnolo e italiano.

Eppure sempre l’Eba pare essere stata molto più clemente con le banche tedesche che con quelle italiane rispetto alle necessità di rifinanziamento, dovute proprio alla ridenominazione a “junk” del debito sovrano dei cosiddetti paesi Piigs. Non a caso, l’Abi, l’Associazione delle banche italiane, è pronta a intraprendere tutte le strade, comprese quelle legali, contro l’Eba e le sue richieste di aumenti di capitale fino a 15 miliardi. Per il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, gli stress test dell’Eba sono «un esercizio sbagliato nel merito e nel metodo che non tiene conto delle specificità delle banche italiane, anzi le offende profondamente. Fare riferimento ai cds per valutare la stabilità dell’emittente è come dire al lupo di badare alle pecore. È un evidente ingiustizia, chi scrive le regole deve esercitare l’arte del discernimento e della conoscenza prima della tecnica».

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Così parlò Mussari, ma a noi interessa la situazione reale del sistema bancario dell’eurozona, dove gli istituti hanno tagliato le loro detenzioni di debito sovrano Piigs di 65 miliardi di euro in soli nove mesi, vendendoli alla Bce (che acquista con soldi anche nostri) e a qualche hedge fund. Una mole che rappresenta il 13% di tutte le detenzioni bancarie e che porta l’esposizione totale verso Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna a 513 miliardi di euro. Questi dati li ha forniti proprio l’Eba giovedì scorso, contestualmente ai risultati dei nuovi stress tests e alle necessità di ricapitalizzazione. Ma questi dati rischiano di essere ottimistici. La sola Bnp Paribas, alla fine di settembre, aveva tagliato le sue detenzioni di debito Piigs di 7 miliardi, arrivando a quota 28,7 miliardi. Deutsche Bank, con i suoi 6 miliardi, ha tagliato la detenzione del 66%, arrivando a un totale di 3,2 miliardi di euro di esposizione al debito Piigs. Ma c’è dell’altro nel documento dell’Eba.

Delle 65 banche europee prese in esame, infatti, 55 hanno tagliato le loro esposizioni di debito Piigs ma, inaspettatamente, 10 le hanno incrementate. E chi sono questi “capitani coraggiosi”? A guidare la pattuglia è la spagnola Bankia, acquirente di un combinato da 4,9 miliardi di debito iberico e italiano, ma anche la big spagnola Bbva ha comprato oltre 1 miliardi di debito del suo Paese. Ma poi si scopre la cosa più originale e sconvolgente: a comprarsi 3,7 miliardi di debito italiano, spagnolo e portoghese è stata la Landesbank tedesca del Baden-Wurttemberg, la quale, insieme alle già citate e inguaiate WestLB e NordLB, è anche al top degli acquirenti di credit default swaps: di più, questi tre istituti, oltre all’austriaca Volksbank, sono i player maggiori nel mercato dei derivati di protezione rispetto alle loro basi di capitale. Insomma, si comportano come hedge funds (ma come, non erano gli inglesi brutti e cattivi, quelli che facevano queste cose?). Com’è o come non è, da quando l’Eba ha fatto capire che meno debito Piigs si ha in pancia, meno si viene penalizzati a livello di capitalizzazione, è partita la sell-off e la danza macabra degli spread.

Ora però questa dinamica potrebbe cambiare radicalmente, grazie anche alla decisione della Bce di estendere la durata dei suoi prestiti alle banche fino a 3 anni. O, almeno, questa è l’azzardata scommessa fatta da Merkel e Sarkozy a Bruxelles: insomma, Cip e Ciop pensano che saranno le banche a ricomprare debito Piigs per risolvere la situazione. Il Napoleone in sedicesimi lo ha detto chiaro e tondo venerdì, nonostante la stampa italiana abbia bellamente ignorato la notizia, concentrandosi sulla mancata stretta di mano con David Cameron: «Le banche italiane possono prendere a prestito denaro (dalla Bce) all’1%, mentre lo Stato italiano al 6-7%. Non ci vuole uno specialista in finanza per vedere che lo Stato italiano sarà in grado di chiedere alle banche di finanziare parte del debito governativo a un tasso più basso». Ma le banche accetteranno questo ruolo di arbitraggio tra i tassi della Bce e rendimenti delle obbligazioni? Io non ci credo e lascio questa speranza a Sarkozy.

Il perché è presto detto: a fronte di un credito interbancario completamente congelato, di necessità di rifinanziamento, di depositi overnight presso l’Eurotower a livello post-Lehman, le banche incasseranno e creeranno riserve. Tanto più che in uno studio recente Ubs stima che nei prossimi tre anni le banche dell’eurozona dovranno vendere assets per un ammontare compreso tra i 3,7 e 4,5 triliardi di euro. Anche perché quella dei prestiti della Bce per acquistare bonds sovrano non è una strategia sostenibile né per le banche, né per gli Stati stessi, poiché, tra l’altro, così facendo si rafforza il legame tra banche e Stati, la vera ragione della crisi, altro che le panzane fiscali di Schauble. Moltissimi analisti, infatti, hanno detto chiaramente che le autorità europee non hanno un potere di fuoco sufficiente ad affrontare i problemi delle banche: Barclays Capital ha calcolato che se anche i vari fondi di salvataggio europei arrivassero a raccogliere fino a 1 triliardo di euro, questa cifra sarebbe sufficiente solo a far fronte ai problemi sovrani italiani e spagnolo e delle loro banche. Inoltre, se questa logica Bce-banche-Stati può essere utile nel breve periodo (e io ne dubito), sul medio-lungo periodo renderebbe banche e Stati più vulnerabili a futuri shock.

Una speranza, a livello teorico, viene da un’altra decisione presa al summit della scorsa settimana, ovvero escludere in futuro i creditori privati dal coinvolgimento in salvataggi come accaduto per la Grecia (il famoso vaso di Pandora aperto a luglio da Merkel e Sarkozy che ha dato vita agli spread impazziti). Basterà togliere dal tavolo l’ipotesi di haircuts per riportare i soggetti finanziari sul mercato obbligazionario sovrano? Anche in questo caso, ne dubito. In compenso sono certo di una cosa: non rispondendo seriamente al vero tema in questione, ovvero quello bancario, il meeting europeo sta aprendo la strada a un crunch sul collaterale, questione di cui vi ho parlato venerdì nella rubrica dedicata al cosiddetto “shadow banking system” e alle re-hyphotecations. Entro poche settimane, infatti, una grossa banca francese potrebbe fallire: segnali giunti proprio venerdì in tal senso fanno venire i brividi.

Il collaterale esigibile, come Treasuries Usa e altre securities liquide, sta finendo – e per molti istituti, è già finito – e per finanziare i prestiti a breve, alcuni soggetti hanno messo in campo le riserve auree per mantenere l’accesso al finanziamento in dollari. Non contento di questo, il sistema bancario dell’eurozona nel suo insieme si è tramutato in un’enorme Aig. Bnp Paribas, infatti, ha venduto 1,5 miliardi di euro di cds sovrani francesi, mentre Unicredit e Monte dei Paschi sono entrambi assicuratori netti di oltre 500 milioni di euro di bonds governativi italiani e l’austriaca e già citata Volksbanken AG, già costretta a pagare gli interessi sul prestito governativo da 1 miliardo di euro del 2009, ha garantito 839 miliardi di debito nazionale. Tutti dati Eba, quindi facilmente al ribasso rispetto alla realtà spettrale che sta sotto il livello 3, la terra di nessuno bancaria.

Evvai, per generare cash-flow si vendono cds sul proprio Paese come se piovesse, la ricetta esatta che ha mandato a zampe per aria Aig. E cosa ha fatto notare inascoltata l’Eba nel suo report al riguardo? Che per far collassare le banche europee non serve il default reale di un Paese, visto che vendere cds effettivamente è un modo senza margine di andare lunghi su una security sottostante, insomma un naked long. E nemmeno i tentativi dell’Isda di mettere fuori legge il mercato dei cds sovrani potrà fare molto, visto che per andare incontro ai guai non occorre il default reale di una nazione: per l’Eba, le banche moriranno comunque per dissanguamento dovuto alla variazione quotidiana dei margini che richiederà più e più cash ogni giorno in caso di continuo allargamento degli spreads. E le variazioni dei margini devono essere postate e le posizioni portate a profitto alla fine di ogni giornata di contrattazioni: quindi, un trading all’infinito di cds (o il fatto che il bond sottostante sia trattato a zero) porterà il venditore di questo prodotto all’insolvenza, anche senza l’evento di default.

Se poi questo evento, peregrino quanto volete, dovesse accadere per un Paese della grandezza di Francia o Italia, ecco cosa ha prospettato a Bloomberg il capo del reddito fisso di Evolution Securities, Gary Jenkins: «Alcuni di quei contratti cds sono puro trading, più che mosse difensive. Se per caso una nazione della grandezza di Francia o Italia dovesse davvero fare default e attivare le clausole dei cds, ci sarebbe una carneficina totale, il caos. Sarebbe la fine del mondo e a quel livello penso che il rischio di controparte sarebbe l’ultima delle tue preoccupazioni».

E ancora: «Il tempo sta scadendo: per avere una soluzione convincente alla crisi del debito dell’area euro, probabilmente servirà un’altro shock prima che i governi si rendano conto della situazione e trovino un accordo. Una grossa difficoltà di una banca tedesca sui mercati, una possibilità concreta nel breve termine, potrebbe far capire che sono tutti sulla stessa barca», parole e musica di Jean-Michel Six, capo economista di Standard&Poor’s.

Il più classico caso di profezia che si autogenera e si autoalimenta. Allacciate le cinture.







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