SPILLO/ E Wall Street “usa e getta” Obama

- Gianni Credit

Goldman Sachs, come anche tutta Wall Street, non ha tolto la fiducia a Barack Obama perché ha “sgarrato” nel primo quadriennio, ma per la ragione opposta. Il punto di GIANNI CREDIT

Obama_PensierosoR400 Barack Obama (Infophoto)

Goldman Sachs – e tutta Wall Street – non ha tolto la fiducia a Barack Obama perché ha “sgarrato” nel primo quadriennio, ma per la ragione opposta: perché probabilmente non serve più; oppure perché il “primo presidente afroamericano” dal 1776 non sia tentato da “sgarri” dopo una rielezione che d’altronde non sembra più certa.

Il “primo presidente afroamericano” dal 1776 ha finora compiuto la sua missione: non ha né rimesso in riga, né tanto meno sanzionato l’oligopolio bancario dopo l’implosione distruttiva dei mercati. Ha assecondato la politica monetaria espansiva della Fed che – sulla carta – era finalizzata allo stimolo economico; nei fatti ha garantito al sistema bancario una liquidità di tutta sicurezza per i propri conti acciaccati e per i mercati inariditi di benzina speculativa. Non da ultimo: non ha mai cercato intese con l’Europa germanocentrica per una gestione davvero coordinata dell’exit strategy, in nome di un ritorno di leadership politica globale contro l’esuberanza irrazionale e degenerata dei mercati. Ha lasciato che le turbolenze dell’euro fossero il miglior diversivo politico-finanziario sulle responsabilità della crisi e il miglior propellente per la speculazione negli ultimi due anni.

Non stupisce che il presidente ricandidato e lo sfidante Mitt Romney siano da mesi testa a testa nel “fundraising” elettorale: in fondo è sintomo di normalità democratica in un Paese dal bipartitismo granitico. Ma allora – è ancora passato prossimo – perché nella campagna 2008 Obama raccolse (ufficialmente) 640 milioni di dollari, addirittura 400 in più del repubblicano George McCain? Il senatore democratico di Chicago si potè perfino permettere di rifiutare 84 milioni di finanziamento pubblico: non per questo, due sere prima del voto, dovette rinunciare a uno spot di 45 minuti in “prime time” contemporaneo sui maggiori network.  

Lehman Brothers era fallita da sei settimane e tutti, in America, erano terrorizzati: che andasse pure avanti un giovane pochissimo esperto di Washington, un americano “di tutti” a cominciare dalla più classica delle “minoranze”; disposto – anzitutto – a tenere ai posti di comando i “tecnici” cui già George W. Bush aveva chiamato sentendo scricchiolare la finanza di carta: a cominciare da Tim Geithner, l’ex capo della Fed di New York catapultato al Tesoro e lì tuttora blindato.

La sconfitta di McCain venne così certificata in anticipo dal solito mix di dollari e media: lo stesso che oggi lancia a Obama un pesante preavviso di sfratto dalla Casa Bianca. Può darsi che, a  dispetto dell’esito deludente del primo duello televisivo, il presidente rimanga nello Studio Ovale: ma i “polls” dicono già che sarebbe una vittoria risicata. E in ogni caso Obama è avvertito dal “Giornale di Wall Street”: niente grilli per la testa in un eventuale “second term”; niente “politiche per entrare nei libri di storia”. Le riforme possono attendere: almeno fino a quando la crisi sarà un ricordo. I “fat cats” di Wall Street da Lloyd Blankfein (Goldman Sachs) a Jamie Dimon (JPMorgan Chase) sono intanto ancora tutti ai loro posti. Da allora.







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