BORSA & FINANZA/ Le 10 “profezie maya” sui mercati per il 2013

- Mauro Bottarelli

MAURO BOTTARELLI ci presenta le previsioni di Saxo Bank per il 2013, dato che quest’anno tre di quelle avanzate dalla banca di investimenti a fine 2011 si sono avverate

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Visto che oggi, stando alle profezie Maya, dovrebbe finire il mondo, mi porto avanti e vi presento come ogni fine anno – ma con un po’ di anticipo -, le dieci “previsioni oltraggiose” di Saxo Bank per il 2013, dopo che quest’anno tre di quelle avanzate a fine 2011 si sono avverate. Lo sapete già, ma, per una questione deontologica, ve lo ripeto ancora: quelle che leggerete non sono proposte di investimento del sottoscritto, né suggerimenti, ma soltanto un articolo giornalistico a scopo meramente divulgativo. Se qualcuno di voi vorrà puntare sulle previsioni di Saxo Bank, lo fa per sua libera scelta e a suo rischio.

1) Il Dax cala del 33% a quota 5000 punti. Per Peter Garnry, l’azzardo è reso possibile dal seguente scenario. L’indice principale del mercato azionario tedesco, il Dax appunto, è stato uno dei performer migliori del 2012, grazie alla forza della Germania e nonostante la crisi nel’eurozona e il rallentamento dell’economia cinese. Questo però cambierà nel 2013, visto che la contrazione di Pechino continuerà, ponendo un freno all’espansione industriale tedesca. Questo produrrà un grosso calo del prezzo delle azioni del comparto industriale, a causa della stagnazione dei ricavi e del calo dei profitti dei principali gruppi come Siemens, Basf e Daimler. Questo stress sul mercato appiattirà la fiducia dei consumatori e la domanda interna, dato che sarà reso chiaro dal calo delle vendite al dettaglio. Con il peggioramento sul fronte interno, incapace di pareggiare l’export che si indebolisce, il consenso elettorale per Angela Merkel e il suo governo crollerà prima delle elezioni tedesche previste per settembre, mettendone a rischio la rielezione e facendo accompagnare alla crisi economica anche l’instabilità politica. Un mix che per Saxo Bank porterà il Dax a 5000 punti, giù del 33% sull’anno.

2) Sempre Peter Garnry avanza la seconda previsione, ovvero la nazionalizzazione delle principali aziende del comparto elettronico giapponese. Questo ramo industriale, un tempo la punta di diamante dell’economia e della ricerca nipponica, potrebbe entrare in una fase terminale a causa della concorrenza sempre più serrata del Sud Corea, con Samsung sugli scudi a livello globale. Il driver principale del declino di questa industria sarà l’approccio eccessivamente orientato verso la domanda interna, dato che ha portato a un innalzamento dei costi fissi anche a causa dello yen forte e del costo della vita estremamente alto. Con perdite combinate per 30 miliardi di dollari nei dodici mesi terminati il 30 settembre, Sharp, Panasonic e Sony e la capacità di ottenere credito che si deteriorerà in maniera netta, il governo punterà a un’operazione di nazionalizzazione simile a quella del salvataggio dell’industria dell’auto negli Usa. In assenza di crescita nominale del Pil in otto degli ultimi sedici anni e come conseguenza del salvataggio dell’industria elettronica, la Bank of Japan formalizzerà i target del Pil nominale ed espanderà il suo stato patrimoniale di almeno il 50% del Pil nominale, al fine di indebolire lo yen, che infatti arriva a 90 nel cross sul dollaro.

3) Per quanto riguarda le commodities, Ole Hansen prevede un aumento del 50% del prezzo dei semi di soia. A causa del cattivo tempo nel corso del 2012, anche la stagione di semina e raccolto per l’anno prossimo pagherà infatti dazio. Lo stock statunitense di semi di soia, nonostante un miglioramento sul finire del 2012, resta comunque in un limbo preoccupante di minimo da nove anni, quindi questa precarietà si fa sentire sia sui contratti futures gennaio 2014 del Chicago Board of Trade, sia sulle previsioni per l’anno nuovo, visto che ogni minimo evento atmosferico sfavorevole sia negli Usa che in Sud America (principale produttore mondiale) che in Cina (principale consumatore e importatore) può incidere pesantemente sulla commodity. Inoltre, la crescente domanda di biocarburanti, nel caso olio di semi di soia per coprire le necessità di diesel biologico, potrebbe giocare un ruolo nella variazione al rialzo dei prezzi, nel timore di scarsità di offerta sul mercato. Gli investitori speculativi, che hanno ridotto le loro posizioni sul settore della soia dei due terzi sul finire di quest’anno, saranno pronti a rientrare e questa combinazione di acquisti tecnici e fondamentali potrebbe portare il prezzo a salire fino al 50% in più.

4) Sempre Ole Hansen azzarda una sorpresa sul mercato delle commodities, spingendosi a predire che la forza della ripresa dell’economia Usa nel 2013 sorprenderà il mercato e soprattutto gli investitori finanziari in oro, i quali fino a oggi hanno dominato la scena rendendo il metallo prezioso molto sensibile alle aspettative rispetto ai tassi d’interesse a livello globale. Il mutato quadro macro degli Usa, combinato con la minor richiesta di oro fisico da parte di Cina e India, entrambe costrette a fronteggiare bassa crescita e crescente disoccupazione, porterà a un ciclo di liquidazione sull’oro. Scelta, quest’ultima, motivata anche dalla decisione della Fed, nel corso del 2013, di ridurre o cessare gli acquisti su bond del Tesoro e legati a mutui. A quel punto gli hedge funds sceglieranno l’opzione di vendita e una volta che sarà rotto il livello psicologico di 1500 dollari l’oncia, partirà la svendita a livello generale, soprattutto dagli iper-attivi investitori su Etf legati all’oro. In attesa che la banche centrali, soprattutto delle economie emergenti, entrino in gioco per acquistare a prezzi divenuti molto convenienti, l’oro scenderà fino a 1200 dollari l’oncia.

5) Altra commodity, altra previsione, questa volta legata al petrolio Wti crude che toccherà i 50 dollari al barile. Il mercato energetico Usa continuerà infatti a crescere oltre le aspettative, grazie all’incremento di nuove tecniche di produzione e nuovi giacimenti alternativi (di cui vi ho parlato in un articolo di qualche settimana fa) e questa realtà andrà a combinarsi con un continuo aumento della produzione di Wti, con le riserve ai massimi da trent’anni a questa parte e con opzioni di domanda export molto limitata, provocando un vero e proprio tonfo del prezzo a 50 dollari al barile, sotto il peso delle pressioni di vendita. La crescita globale meno intensa di quanto si pensasse, poi, potrebbe scatenare un effetto simile anche sul Brent, il benchmark globale. Dal lato dell’offerta, Opec e Russia reagiranno troppo tardi a questa sfida, ma esiteranno a ridurre la produzione, disperati per le entrate che dovranno pagare per ogni aumento della spesa pubblica, rendendo le forniture ancora più disponibili e i prezzi tendenzialmente in trend ribassista.

6) Per quanto riguarda il Giappone, argomento che abbiamo trattato ieri, John J. Hardy prevede che il partito Liberaldemocratico del premier Abe non riuscirà a forzare la mano nei confronti della Bank of Japan per ottenere manovre di stimolo illimitato, sia per l’opposizione parlamentare, sia per quella dello stesso istituto centrale: per l’analista di Saxo Bank, soltanto la metà delle misure proposte diverranno legge. Nonostante questo, il mercato muoverà le proprie forze in reazione alla perdita di entusiasmo per un possibile diluvio quantitativo e l’appetito per il rischio perderà forza, portando – a causa di carry trade e rimpatrio di investimenti – il cross tra yen e dollaro a quota 60 e quello con altre valute ancora più violentemente al ribasso. Ironicamente, l’incapacità del governo di portare avanti a pieno il suo piano di riforme e la conseguente reazione del mercato, spalancherà la strada al governo per rendere necessarie misure più drastiche per il deprezzamento della valuta.

7) Sempre John J. Hardy ritiene che la Cina, nel 2013, si muoverà in maniera più aggressiva per sganciarsi dal peg con il dollaro. Prima mossa in tal senso sarà l’unpeg del dollaro di Hong Kong dal biglietto verde, in favore di un cambio fisso nei confronti del renminbi. Inoltre, Pechino si muoverà in direzione di un aumento della convertibilità della sua moneta per aprire nuovi spazi nel commercio globale, al fine soprattutto di stabilire rapporti privilegiati con economie cosiddette di frontiera e paesi produttori di commodities. La volatilità del renminbi crescerà anche a causa dell’incapacità della Cina di gestire al meglio i movimenti della sua moneta, mentre Hong Kong diventerà rapidamente un hub finanziario a livello mondiale, soprattutto per il trading valutario.

8) Ed eccoci all’eurozona, trattata sempre da John J. Hardy, il quale vede per il 2013 un aggravamento del rischio sovrano a causa dell’esito incerto delle elezioni italiane o della natura dell’uscita della Grecia dalla zona euro e il rischio che Portogallo e Spagna la seguano. Questo scenario porterà per la seconda volta in breve tempo a un importante flusso di denaro verso la Svizzera, tanto che la Banca centrale di Berna abbandonerà temporaneamente il peg con l’euro per evitare che le riserve crescano ancora, dopo che tra il 2011 e 2012 queste sono cresciute per un importo pari a due terzi del Pil. Queste misure punitive e il controllo sul capitale potrebbero quindi bloccare l’apprezzamento del franco, ma non prima che il cross euro/franco abbia toccato il suo minimo sotto la parità a 0,95.

9) Sta tutta nella previsione di Steen Jakobsen il destino a breve termine della Spagna la quale per l’analista si troverà ad affrontare una situazione limite, con circa 1,8 milioni di persone costrette a vivere con uno stipendio inferiore ai 400 euro al mese e solo 17 milioni di persone su un popolazione totale di 47 che ha un impiego. Il tasso di disoccupazione è ormai al 25% e quello giovanile salirà sopra il 50% nel 2013: il tutto con un dato agghiacciante, ovvero il debito totale – pubblico e privato – che salirà a oltre il 400% del Pil, un dato che vede in posizione peggiore solo il Giappone. Jakobsen prevede il downgrade del debito sovrano spagnolo a junk e i tassi di interesse sul decennale, anche a causa del no di Madrid a ricette di tipo greco, salirà attorno al 10%, spalancando le porte a un default di fatto già prezzato.

10) Sempre Steen Jakobsen si occupa del debito Usa, in particolare del rendimento del Treasury trentennale, il quale oggi ha un ritorno reale dello 0,4% (2,8% di yield meno un break-even sull’inflazione del 2,4%), una situazione che per Saxo Bank non può durare in un mondo di inflazione forzata attraverso continue manovre di stimolo e con il rischio di un downgrade degli Usa in caso non si trovi l’accordo sul “fiscal cliff”. La Fed dovrebbe tenere i tassi bassissimi ancora per un po’, ma nel 2013 questa politica potrebbe scatenare una fuga degli investitori obbligazionari, stanchi di rendimenti pari a zero. Calcolando che il mercato globale dei bonds vale 157 triliardi di dollari e quello azionario solo 55 triliardi, abbiamo una situazione in base alla quale per ogni dollaro in equity abbiamo 3 dollari nel reddito fisso. Si potrebbe quindi verificare un’inversione di tendenza nei portafogli, ovvero un ritorno all’azionario a dispetto delle obbligazioni, con una riduzione del 10% da parte dei mutual funds che si tradurrebbe in un aumento del 30% di flusso monetario nell’azionario, fatto che porterebbe a un aumento dei tassi, in particolare un raddoppio del rendimento proprio del Treasury a 30 anni.

Personale previsione: quest’anno Saxo Bank ne azzeccherà 4 su 10. Quali, secondo voi?





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