GEOFINANZA/ E ora è il Portogallo a far tremare l’Europa

- Mauro Bottarelli

In attesa degli ultimi dettagli sullo swap greco, in Europa comincia a destare preoccupazione la situazione delle banche portoghesi. Ce ne parla MAURO BOTTARELLI

Portogallo_BandieraR400 Foto Imagoeconomica

In attesa che questa mattina alle 7 il governo greco ci sveli ufficialmente l’ennesimo trucco delle tre carte con cui, in collaborazione con Ue, Bce e Iif, ha dato comunque corso allo swap sul debito (alcune tornate elettorali in Zimbabwe e Bielorussia sono apparse più trasparenti di quanto accaduto nell’ultima settimana ad Atene), oggi parliamo un po’ della prossima Grecia: il Portogallo e le sue banche-zombie. Gli istituti lusitani, infatti, stanno prendendo a prestito circa 48 miliardi dai programmi a breve termine della Bce, soldi che non includono né le aste Ltro, né prestiti dalla Banca centrale portoghese, ma che includono quelli in Portogallo delle sussidiarie lusitane di banche estere.

Una bella cifra a fronte dei numeri delle principali banche del Paese: Banco Espirito Santo ha un market cap di 2,3 miliardi di euro e assets totali per 80 miliardi; Banco Comercial Portugues ha 1,2 miliardi di market cap e assets totali per 94 miliardi; Banco Bpi ha market cap di 0,5 miliardi di euro e assets totali per 43 miliardi; Banif ha market cap di 0,2 miliardi di euro e assets di 16 miliardi di euro. Insomma, il totale delle più grandi quattro banche portoghesi è di 4,2 miliardi di market cap e 233 miliardi in assets totali ed essendo questi istituti i pressoché unici beneficiari dei 48 miliardi di prestiti della Bce, ciò implica che il 20% del loro finanziamento è direttamente legato a programmi dell’Eurotower, Ltro escluso.

Uno scenario decisamente greco, a cui si unisce il fatto che, come per la Grecia, la Bce detiene molti bonds lusitani acquistati attraverso il programma Smp e che oggi come oggi viaggiano a prezzi da saldo rispetto al valore facciale, pur essendo per la gran parte denominati in diritto lusitano e non inglese. Esattamente come per la Grecia dello scorso agosto, oggi il bond decennale lusitano prezza circa 50 centesimi e paga un rendimento del 13% e proprio come per le banche greche, quelle lusitane sopravvivono grazie ai prestiti della Bce (e forse della propria Banca centrale attraverso l’Ela, sempre legati alla Bce).

La tensione sta salendo a Lisbona, con il ministro dell’Economia che lo scorso 1 marzo ha minacciato le dimissioni per la volontà di porre gli aiuti europei sotto la supervisione del ministero delle Finanze, primo passo di un commissariamento tecnocratico in stile Atene. Insomma, non abbiamo ancora patito il danno della vera ristrutturazione ellenica e già stiamo preparando le basi per quella lusitana, non male come risultato… Tanto più che se lo swap greco andrà a buon fine, magari senza nemmeno bisogno di attivare le clausole retroattive di class action (evitando quindi il pagamento dei cds), cosa vieterà al Portogallo di seguire la stessa strada? E all’Irlanda?

Una cosa è certa: swap o non swap, il caso greco ha creato un precedente in grado di minare alle basi l’eurozona. Anche perché il mercato obbligazionario rischia a breve un nuovo shock, visto che dopo l’asta Ltro del 29 febbraio, i depositi overnight presso la Bce hanno rotto un record dopo l’altro, segnale che le banche non hanno intenzione di dar vita a nuovo carry trade per comprimere gli spread sovrani. Ci sarà una terza asta Ltro, magari a maggio-giugno? Non ci sarebbe da escluderlo, affatto. Il problema è che non pare si voglia capire che l’unico, vero firewall è quello rappresentato da banche meglio capitalizzate e più forti, non impegnate in ogni modo a evitare la dieta e la pulizia dei bilanci, certe che dipendere come tossicodipendenti dai programmi della Bce porterà magicamente con sé la risoluzione di tutti problemi.

A oggi lo spread di circa 15-20 punti base di stigma tra titoli bancari che hanno usufruito del Ltro e titoli che si sono astenuti, ci dice che uno shock bancario potrebbe essere già in arrivo, fatto che renderebbe di fatto già prezzato dai mercati anche una terza asta Ltro. Per quanto si potrà andare avanti con il metadone di Francoforte? Non per molto, tanto più che nel silenzio generale la Bce ha cominciato ad alzare significativamente le margini calls sulle estensioni del credito verso le controparti (non solo il programma Ltro), ovvero la richiesta di maggior collaterale – sia esso cash o sotto forma di assets, attraverso vendite o dismissioni – verso le banche che hanno beneficiato dei programmi di finanziamento oppure il fatto che gli istituti debbano ripagare il prestito in parte. Insomma, siamo di fronte a un rapido deterioramento della qualità del collaterale e una netta accelerazione della voce “Deposits related to margin calls” nel bilancio patrimoniale della Bce, passata da 200 milioni di euro a 17 miliardi di euro da quando è iniziato il programma Ltro. Inoltre, l’aumento delle margin calls rischia di esacerbare lo stigma che il mercato ha già posto sugli istituti che hanno beneficiato del finanziamento della Bce.

Di più, l’assenza sul mercato di collaterale di qualità preclude di fatto la possibilità di una terza asta Ltro prima dell’estate, a meno che la situazione sia così disperata da far accettare all’Eurotower i bonds acquistati dalle banche con il denaro dei primi due programmi, una sorta di miasma reipotecario. Fate un attimo mente locale applicando questa logica alle banche portoghesi, le quali potranno far fronte alle margin calls solo attraverso la vendita di bonds in loro possesso, essendo talmente tanto a corto di collaterale da non aver praticamente partecipato al Ltro del 29 febbraio. Questa scelta obbligata, però, porterà maggiore pressione su un mercato già debole e a quel punto le banche dovranno dare in garanzia sempre più assets (svalutandosi il valore dei bond che detengono), subordinando i detentori di obbligazioni senior non assicurate, i quali a loro volta scapperanno a gambe levate dal mercato del debito, poiché spaventati da un trend che vedrà gli assets uscire dal free market e finire sotto l’ombrello subordinato per tutti della Bce.

Una volta partito il contagio dal Portogallo, l’effetto domino sarà rapido e difficilmente bloccabile. E con 1 triliardo di assets parte delle prime due aste del programma Ltro, anche un calo del 2% nel numero di assets posti a garanzia potrebbe richiedere alle banche un obbligo di fornire a garanzia ulteriori 20 miliardi di euro di collaterale. E che il Portogallo sia su una traiettoria ellenica lo dimostra la rinnovata attenzione dei mercati sulla Spagna, tornata nel mirino sia per le sue debolezze macro – l’indice Pmi disastroso della scorsa settimana e il tasso di disoccupazione infernale – sia per la sua esposizione monstre sul vicino lusitano. Non a caso, si è reinvertito il trend tra Btp italiani e Bonos spagnoli a dieci anni, con i nostri titoli che ieri sono scesi sotto quota 300 punti base mentre quelli iberici continuano a rimanere in area 5% di rendimento, uno spread di oltre 20 punti base.

Gli anelli della catena sono tornati nel loro ordine naturale, ma non per questo c’è da festeggiare: se non scatteranno i cds su debito greco ci sarà la fuga dall’obbligazionario sovrano periferico (senza strumenti di copertura e con un quadro europeo così fragile nella fondamenta, chi vorrà rischiare?), gli spread risaliranno, i prezzi dei bonds crolleranno e, nonostante la liquidità della Bce, il poco margine ottenuto con il carry trade dalla prima asta Ltro verrà eroso e i bilanci torneranno rapidamente in sofferenza. Terza asta d’emergenza? E con quale collaterale, la carta del salumiere? Non lo dico io, lo dice Juergen Stark, ex membro del Consiglio direttivo della Bce, che intervistato ieri dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung ha dichiarato che «lo stato patrimoniale dell’eurosistema non è solo gigantesco come misura, ma soprattutto sconvolgente come qualità». Ovvero, non saremo alla carta del salumiere, ma certamente a quella delle caramelle sì.

 

P.S. Due piccoli appunti su cui, se volete, riflettere nel fine settimana. Primo, stante il fatto che il premier spagnolo, Mariano Rajoy, ha annunciato a Bruxelles che non intende soggiacere alle nuove regole dell’Ue rispetto il limite del deficit – da portare quest’anno al 4,4% del Pil dall’8,5 % del 2011 -, definendo una “decisione sovrana” la scelta di porre il limite al 5,8%, il “Fiscal Compact” appena approvato, è ancora valido o è già carta straccia? La Spagna sarà forse espulsa dall’Ue per questa scelta? Subirà sanzioni, come imposto dalle teutoniche regole?

Secondo, occhio all’Ucraina. In un paio di settimane il Paese potrebbe precipitare nel caos a causa del prosciugamento delle riserve in valuta estera, letteralmente crollate a soli 31 miliardi di dollari, denaro sufficiente a finanziare l’importazione di beni e servizi per soli tre mesi e mezzo. Il problema è che con il prezzo dell’acciaio, la voce primaria su cui si basa l’economia del Paese, che continua a scendere e quello del gas da importare che continua a salire, entro quindici giorni – senza un aiuto esterno – la situazione potrebbe precipitare.





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