TASSE/ Saccomanni e quel taglio che può dare la svolta nel 2014

- int. Gilberto Muraro

Per GILBERTO MURARO, Il 2014 sarà l’anno della svolta come garantito dal ministro Saccomanni soltanto se i tagli alla spesa pubblica saranno efficaci con risparmi di ampio periodo

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«Il 2014 sarà l’anno della svolta come garantito da Saccomanni soltanto se i tagli alla spesa pubblica saranno efficaci. A contare non sono soprattutto i risparmi nel breve periodo, ma la capacità di attuare una riformulazione complessiva della macchina dello Stato». Lo afferma Gilberto Muraro, professore di Scienza delle finanze all’Università di Padova, dopo che nel corso di un’intervista al quotidiano La Repubblica il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha affermato che “il 2014 sarà l’anno della svolta. La ripresa si consoliderà e famiglie e imprese pagheranno meno tasse. Ma la precondizione è la stabilità politica, senza la quale l’Italia è a rischio”.

Professor Muraro, davvero il 2014 sarà l’anno della svolta come dice Saccomanni?

È un fatto possibile, anche se è presto per dirlo ancora con certezza. Apprendiamo con piacere la buona volontà del ministro di voler dare questa svolta, anche se siamo sempre ai livelli di guardia sia rispetto ai vincoli europei, sia nei confronti di quanto è previsto con la riforma dell’articolo 81 della Costituzione. Tutto riposa sulla capacità di diminuire la spesa, che continua a rappresentare un punto interrogativo. Per farlo occorre affidarsi alla buona volontà dei ministri di spesa, e non soltanto del ministro delle Finanze che da questo punto di vista segue e non precede.

Parlando della spending review, Saccomanni ha affermato: “Garantisco che interverremo su tutte le voci, a partire dagli sprechi”. Stiamo andando nella giusta direzione?

Senz’altro stiamo andando nella giusta direzione, anche se le aspettative sono state disattese in termini quantitativi in quanto erano eccessivamente ambiziose. Grazie alla mia esperienza di presidente della prima commissione creata da Padoa Schioppa, ho sempre sostenuto che la spending review deve proporsi di riformare in meglio la macchina dello Stato. L’obiettivo non deve essere quello di generare un risparmio nell’immediato, bensì nel lungo periodo. Il personale non è licenziabile, ma si innova nella macchina cambiando le strutture e alleggerendo le procedure e al momento opportuno il risparmio affluisce.

Saccomanni ha respinto la proposta di Renzi di tentare di convincere l’Ue ad allentare i vincoli di bilancio. Lei che cosa ne pensa?

Si tratta innanzitutto di una questione di credibilità. Se un mio debitore che ha dimostrato di essere affidabile mi chiede una proroga, io gliela concedo. Se invece non è affidabile, gli rispondo di no anche se la legge mi consentirebbe di fare il contrario. Se quindi lo Stato italiano mantiene fede ai patti di lungo periodo, sarà possibile ottenere qualche alleggerimento sui vincoli di bilancio. Se al contrario assumiamo un atteggiamento tale per cui noi siamo migliori degli altri e abbiamo diritto a sforare, questo è il modo peggiore per ottenere quanto chiediamo.

 

Sul Job Act di Renzi, Saccomanni si è detto d’accordo in quanto “dobbiamo superare la frammentazione delle normative e dei contratti”. Il contratto unico può essere la soluzione?

Sono pienamente d’accordo con la proposta del contratto unico, perché Renzi ha messo a nudo con lucidità due punti decisivi. Il primo è la necessità di andare verso un contratto unico, alleggerendo le garanzie nei confronti del lavoratore nei primi tre anni dopo l’assunzione. La seconda questione è la necessità di passare dalla cassa integrazione a carico delle imprese a un sistema di garanzia del reddito a carico dello Stato.

 

Perché ritiene che questo punto sia fondamentale?

Perché è il punto che manca a livello strutturale nella politica del lavoro italiano. Se si crea un ostacolo all’uscita perché non è possibile licenziare, in quanto l’impresa è tenuta a pagare anche con la cassa integrazione, a quel punto il datore di lavoro sarà molto più cauto prima di assumere. Qualsiasi ostacolo all’uscita dal lavoro è insomma anche un ostacolo all’entrata.

 

(Pietro Vernizzi)





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