SPY FINANZA/ I numeri che mettono sotto accusa banche e Bce

- Mauro Bottarelli

La deflazione è ormai una realtà conclamata e le banche continuano ad avere problemi in tutta Europa, rendendo la crisi più complicata. L’analisi di MAURO BOTTARELLI

euro-sos Infophoto

Ci siamo, la deflazione non è più sulla soglia di casa ma sta per accomodarsi in salotto. Il Portogallo ormai è oltre il livello di quella tecnica e sta conoscendo tassi senza precedenti, mentre l’Italia è ormai a tasso inflattivo zero (0,1%), un qualcosa che unito alla recessione ormai generalizzata dell’eurozona porta le dinamiche di debito verso una spirale senza via d’uscita. Se a questo uniamo il tonfo registrato martedì dall’indice Zew tedesco, possiamo tranquillamente dire che il peggior scenario possibile sta materializzandosi: «La Bce deve agire adesso», ha sentenziato Andrew Roberts, responsabile del credito a Rbs.

E non si tratta di esagerazioni. L’indice Hicp portoghese, quello che misura l’inflazione, a luglio ha toccato il -0,7% dal -0,2% del mese precedente, mentre le previsioni per la Spagna parlano già di un -0,3%. Per Lena Komileva di G+ Economics, «gli ultimi dati sull’inflazione sono un chiaro grido di aiuto affinché la Bce sfoderi il suo famoso bazooka. Stiamo assistendo alla giapponizzazione dell’Europa. La deflazione spinge verso l’alto le ratio di debito dei Paesi del Sud Europa e rende i compiti che sono chiamati ad eseguire ormai insormontabili». Ma la Bce cosa fa? Nulla, attende settembre e dicembre per dar vita alle nuove aste di rifinanziamento a lungo termine: «L’Europa sarà in deflazione totale prima che quelle aste abbiano inizio. La Bce non può aspettare i prossimi mesi di febbraio o marzo per cominciare a pensare a un programma di quantative easing», conclude Roberts.

Oggi verranno resi noti i dati del Pil tedesco e francese, ma Morgan Stanley ha già avvertito del fatto che nel secondo trimestre l’economia tedesca si è contratta dello 0,1%, un qualcosa che potrebbe accelerare il processo di recessione, viste anche le prime conseguenze dirette della crisi ucraina sull’economia: per Hans Redeker, capo del monetario della banca d’affari, «il momentum si è concretizzato tra maggio e giugno. È davvero difficile che l’eurozona possa proseguire sulla strada della ripresa senza credito. Le aziende stanno letteralmente divorando i loro cash flow per restare sul mercato».

E qui non si parla più solo della periferia dell’Ue: gli ordinativi industriali tedeschi verso il resto dell’eurozona sono calati del 10,4% a giugno, un dato che non si registrava dalla crisi Lehman, l’indice Dax di Francoforte ha ceduto il 10% il mese scorso, mentre il rendimento del Bund è al minimo storico dell’1,06%, segnale tipico di un rischio recessivo. L’Italia, poi, è nel pieno di una nuova ondata di crisi. Siamo nella cosiddetta recessione “triple dip”, abbiamo inflazione a zero e il debito pubblico appare sempre più fuori controllo. È proprio di ieri la notizia di un nuovo record nel mese di giugno, confermato dalla Banca d’Italia nel supplemento al bollettino statistico “Finanza pubblica, fabbisogno e debito”: il debito della Pubblica amministrazione si è attestato a 2.168,4 miliardi di euro rispetto ai 2.166,3 registrati a maggio. Nei primi sei mesi, invece, il debito pubblico è aumentato di 99,1 miliardi, riflettendo il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (36,2 miliardi) e l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (67,6 miliardi): calcolando, inoltre, che l’emissione di titoli sopra la pari, l’apprezzamento dell’euro e gli effetti della rivalutazione dei Btp indicizzati all’inflazione hanno contenuto l’incremento del debito per 4,8 miliardi.

Sul fabbisogno del primo semestre ha inciso poi per 4,3 miliardi il sostegno finanziario ai Paesi dell’area dell’euro: nel complesso, la quota di competenza italiana del sostegno finanziario ai Paesi dell’area era pari alla fine dello scorso giugno a 59,9 miliardi. Dulcis in fundo, sono inoltre calate del 7,7% le entrate tributarie a 42,7 miliardi di euro, contro i 46,2 miliardi del giugno 2013. Nei primi sei mesi dell’anno le entrate tributarie sono state pari a 188,2 miliardi di euro (-0,7%): ma «tenendo conto di una disomogeneità nella contabilizzazione di alcuni incassi – ha avvertito però Banca d’Italia -, la riduzione delle entrate tributarie sarebbe stata più pronunciata».

Inoltre, la deflazione è già realtà in dieci grandi città italiane. Sono infatti sei i capoluoghi di regione e quattro i grandi comuni dove i prezzi su base annua rilevati dall’Istat risultano in calo su base tendenziale: in particolare, il costo della vita è sceso dello 0,4% a Torino, dello 0,3% a Bari e Firenze, dello 0,2% a Roma e Trieste e dello 0,1% a Potenza. Per quanto riguarda i centri con più di 150mila abitanti non capoluoghi di regione, Livorno ha registrato una flessione su base annua dei prezzi dello 0,7% (più ampia di quella rilevata a giugno quando era pari a -0,5%), mentre Verona ha segnato, per la seconda volta consecutiva, un calo tendenziale dello 0,5%. In diminuzione su base annua anche i prezzi a Reggio nell’Emilia e Ravenna (per entrambe -0,1%). Ma tranquilli, siamo in buona compagnia. La ratio debito/Pil del Portogallo è salita dal 127,4% al 132,9%, miracoli dell’austerity e della troika, ed è destinata a salire ancora, vista la revisione del tasso di crescita previsto per quest’anno e la conclamata deflazione in cui versa il Paese, il quale potrebbe dover alzare bandiera bianca e in autunno salvare del tutto il Banco Espirito Santo prima che il contagio vada a infettare tutto il sistema bancario del Paese, molto esposto nei confronti dell’altrettanto traballante settore spagnolo.

Eh già, le banche, il motore immobile del capitalismo straccione fatto con soldi a costo zero, aiuti di Stato, trucchi contabili e altri magheggi pur di non sottostare alle uniche leggi che dovrebbero governare il settore, ovvero quelle di mercato. Guardate questi due grafici: il primo ci mostra l’aumento del market cap (il valore di mercato del capitale azionario di una società, derivante dal corso delle su azioni moltiplicato per il numero di azioni di capitale emesse dalla società) registrato lo scorso hanno dalle principali banche europee e il secondo i Paesi nei quali il settore bancario ha performato maggiormente. Come vedete, nel primo caso Intesa Sanpaolo e Unicredit sono rispettivamente seconda e terza in classifica, mentre per quanto riguarda l’altra categoria l’Italia con il suo comparto bancario è prima, tallonata guarda caso dalla Spagna, Paese che giova ricordare ha visto proprio il settore bancario salvato dall’Ue con 41 miliardi di euro.

Ora, al netto del deleverage per Basilea, delle sofferenze, degli acquisti obbligazionari sovrani con il badile per tenere a bada lo spread, ma anche dei bonus dei manager, non sarebbe il caso che anche le banche facessero la loro parte per spezzare il circolo vizioso in cui siano precipitati? Senza credito, la crisi può soltanto peggiorare. Anche se peggio di così, appare davvero dura.

 

 







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