SPY FINANZA/ I guai “nascosti” dell’Europa

- Mauro Bottarelli

La situazione europea è tutt’altro che tranquilla e non possono bastare gli annunci di Mario Draghi o i bassi spread a cambiare la situazione. L’analisi di MAURO BOTTARELLI

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La giornata di lunedì scorso è stata davvero chiarificatrice della totale irrazionalità dei mercati. Dopo il meeting di Jackson Hole e il discorso di Mario Draghi, tutti attendevano la riapertura delle Borse europee per capire quale fosse il sentiment degli investitori nei confronti delle parole pronunciate dal numero uno dell’Eurotower. Come saprete, è stato un trionfo, indici tutti al rialzo ed euro ai minimi di 1,31 sul dollaro: insomma, superMario ha colpito ancora. Ciò che stona, però, è il contesto in cui si sono sviluppate queste notizie positive. In mattinata, infatti, giungeva la conferma che l’economia tedesca – ovvero la locomotiva dell’Ue – continuava a perdere colpi: ad agosto, infatti, l’indice Ifo sulla fiducia delle imprese è calato per il quarto mese consecutivo attestandosi a 106,3 punti, in diminuzione rispetto al dato di luglio a 108 punti e sotto i 107,1 punti attesi dagli economisti. A renderlo noto l’omonimo istituto di ricerca, aggiungendo che l’indicatore relativo alle condizioni attuali si è attestato a 111,1 punti e quello sulle aspettative a 101,7 punti.

Stando al giudizio di Klaus Wohlrabe, economista dell’Ifo, il Pil tedesco nel terzo trimestre avrà una crescita vicina allo zero, dopo il -0,2% del secondo trimestre. Nel 2014 la crescita tedesca dovrebbe attestarsi al +1,5%, contro un aumento atteso del 2%. Per Wolhrabe, comunque, l’economia tedesca resta ancora «lontana dalla recessione». Il calo è stato determinato dalle preoccupazioni legate alla crisi ucraina e all’impatto delle sanzioni contro la Russia che ha coinvolto in maniera determinante le imprese tedesche. Tuttavia, «il calo dell’ottimismo non si è ancora trasformato in panico», ha commentato l’economista di Ing Bank, Carsten Brzeski, sottolineando che sia la componente sulle condizioni attuali che quella sulle aspettative sono scese, ma che la prima è rimasta comunque su un livello “relativamente elevato” che dà speranze per il rimbalzo della crescita economica nel terzo trimestre.

In particolare, l’esperto ha precisato che il settore delle costruzioni è in buona salute, così come il mercato del lavoro e che complessivamente i numeri di lunedì hanno indicato che le imprese tedesche sono più realistiche degli operatori sui mercati finanziari: «Sia gli ultimi pmi che indici Ifo hanno fornito speranze sul fatto che la performance debole del secondo trimestre dell’anno non si tramuterà in un lungo periodo di delusione per ora», ha concluso Brzeski. Mah, il settore delle costruzioni sarà anche in buona salute, ma con i prezzi delle case in continuo aumento c’è il forte rischio di una trappola cinese, ovvero un surplus di offerta che se non accompagnato da dinamiche macro che permettano un calo dei costi degli immobili o un rialzo – pressoché impossibile – dei tassi da parte della Bce potrebbe trasformarsi in sabbie mobili per il comparto.

In Germania il fenomeno lo chiamano “betongold”, l’oro dal cemento, la ricchezza creata dal rialzo dei prezzi degli immobili. Il mercato delle grandi città (in particolare, oltre a Francoforte, Berlino, Monaco di Baviera, Amburgo, Düsseldorf) è quello che ha messo a segno i rincari maggiori: a Berlino, un altro caso a sé, sono molti anche gli investitori individuali provenienti dagli altri Paesi europei: i prezzi restano in genere molto bassi rispetto alle altre capitali del Vecchio continente, anche se stanno recuperando il divario.

La Bundesbank ritiene che, nelle sette principali città della Germania, le quotazioni siano ora sopravvalutate di un 25%. Due i fattori che dovrebbero contribuire, stando agli esperti del settore, a una continuazione del rialzo dei prezzi: i tassi molto bassi da parte della Bce, appunto, che dovrebbero incoraggiare anche una popolazione tradizionalmente poco incline ad acquistare la casa dove abita (la percentuale è di poco più del 40%, nettamente inferiore a Paesi come Italia e Gran Bretagna) e ancora meno incline a indebitarsi e l’ottima situazione del mercato del lavoro, con la disoccupazione molto bassa e i salari reali finalmente in crescita, anche se ora la frenata dell’economia potrebbe far rallentare questa dinamica virtuosa.

Certo, all’allarme bolla manca comunque una componente essenziale, ovvero il boom del credito facile che ha costituito l’elemento principale dello scoppio in Paesi come Spagna e Irlanda: stando ai dati della Bundesbank, anche in un anno di mercato favorevole come l’ultimo, l’aumento dei mutui in Germania è stato appena dell’1%. Insomma, non c’è da gridare al pericolo immediato, ma nemmeno da scommettere troppo sul settore come driver economico per uscire dalla recessione. Ma non importa, sono bastate le parole di Mario Draghi e di fatto l’impostazione totalmente neutrale e confusionaria della guidance della Fed offerta da Janet Yellen per compiere il miracolo: euforia sui mercati, la paura è finita, si torna a investire nel grande casinò.

Strano però, perché in un ambiente di questo genere il rendimento del Bund tedesco, un classico bene rifugio, non avrebbe dovuto ritoccare ancora il minimo storico allo 0,9440%, anche se gli acquisti hanno interessato anche i cosiddetti Paesi periferici e il rendimento del Btp decennale italiano è sceso sotto quota 2,50% (spread Btp/Bund a 156 punti base) e quello del decennale spagnolo scende sotto la soglia del 2,30% (136 centesimi il differenziale Bonos/Bund). Insomma, si compra Europa col badile nella speranza che Mario Draghi faccia veramente “whatever it takes” per tenere insieme con la colla un continente che più disarmonico di così non potrebbe essere e non solo in tema economico.

D’altronde, col Portogallo che in settembre potrebbe tornare sul mercato obbligazionario primario con la prima emissione a lungo termine da quando è entrato nel programma di salvataggio della troika, come non avere fiducia? Chi ha provato le cure di Ue, Bce e Fmi, d’altronde, scoppia di salute. Pensiamo a Cipro, la quale sempre lunedì ha inviato un messaggio di speranza ai suoi partner europei, dopo la grande paura del default e il primo caso di bail-in bancario, ovvero correntisti e obbligazionisti che pagano il conto della crisi al posto dei governi. Bene, la Banca centrale di Cipro ha comunicato – rullo di tamburi – che in giugno, il dato più recente a disposizione, il numero delle sofferenze bancarie per gli istituti dell’Isola è salito al 45% dal già folle 44,3% di maggio, numeri che parlano di un quasi raddoppio dal 23,6% del marzo 2013, quando l’intero sistema bancario collassò e si dovette intervenire (con un annetto di ritardo, a dire il vero, giusto il tempo per le banche tedesche di rimpatriare i soldi che avevano depositato con vincolo di un anno nelle banche cipriote al 7% di interesse).

A fondo pagina il grafico che ci mostra plasticamente questo capolavoro assoluto: in parole e percentuali molto povere, un prestito su due a Cipro è inesigibile o, se preferite, in default o quasi. Il problema però è generale: quando si affronterà seriamente la questione delle sofferenze (Npl, Non-perfoming loans) e degli incagli degli istituti bancari dell’area euro nel loro complesso? Volete farmi credere che a fare chiarezza saranno quella buffonata degli stress test, quelli che tre anni fa videro le banche spagnole primeggiare, salvo dover essere salvate l’anno dopo con 41 miliardi di fondi comunitari e quelle greche e cipriote tutte promosse?

Ma sono tante le cose che la retorica europeista non vi dice. Ad esempio, che pochi giorni fa in Spagna, precisamente a Granada, alcuni contadini hanno protestato contro la catena di supermercati Carrefour, accusandola di approfittarsi di questa situazione per pagare ancora di meno i prodotti agroalimentari acquistati dai contadini spagnoli, già piegati dalle assurde sanzioni verso la Russia. Secondo alcuni economisti, infatti, il costo vero dell’embargo di Mosca verso i prodotti europei sarebbe almeno 100 volte superiore ai 125 milioni di euro offerti dall’Ue e la situazione pare non poter che peggiorare, visto che il collasso dell’industria agroalimentare sicuramente ridurrà la crescita economica nell’area Ue e il dato del Pil del Paese iberico, un altro dei miracolati dalla ricetta della troika, stando alla vulgata corrente. Informatevi gente e non fatevi abbindolare.

 







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