SPY FINANZA/ I numeri che mettono l’Europa sul baratro

- Mauro Bottarelli

Le previsioni dell’Ocse, la crescita di Alternativa per la Germania e i dubbi sulle misure della Bce sono fattori che hanno effetti sui mercati. MAURO BOTTARELLI ci spiega in che modo

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Teniamoci pure lo spread basso che ci garantirà di pagare meno interessi sul debito tra dieci anni, teniamoci le aste piene e i rendimenti al minimo, ma teniamoci anche uno scenario da depressione conclamata. Rispetto alle previsioni di maggio, infatti, l’Ocse ha rivisto al ribasso la stima sul Pil italiano del 2014 dal +0,5% al -0,4%: si tratta della maggiore revisione in negativo tra i Paesi analizzati. La revisione per il 2015 è ancora più ampia: si passa dal +1,1% la stima di maggio, al +0,1% di ieri: un punto percentuale secco. Nella “September Interim Forecast” dell’organizzazione parigina emerge che l’Italia sarà l’unica grande economia fra quelle analizzate a segnare quest’anno un andamento in negativo, considerando che gli Stati Uniti registreranno un Pil in crescita del 2,1% (dato ampiamente drogato ma che comunque, al netto dei magheggi, sarebbe ben superiore all’1%), la Germania dell’1,5%, la Francia dello 0,4% e la Gran Bretagna del 3,1%, mentre l’eurozona nel suo complesso crescerà dello 0,8%.

L’Ocse parla di un’economia globale che continua a crescere «a ritmi moderati e discontinui», con andamenti divergenti tra le varie aree. In particolare, se gli Usa si espandono a ritmi solidi (l’Ocse prevede più 2,1% quest’anno e +3,1% nel 2015), l’area euro evidenzia una congiuntura debole. Alla luce di questo, anche l’eurozona è stata rivista al ribasso per il 2014, dall’1,2% allo 0,8%, gli Stati Uniti dal 2,6% al 2,1%, la Germania dall’1,9% all’1,5%, la Francia dallo 0,9% allo 0,4%, e solo leggermente la Gran Bretagna dal 3,2% al 3,1%. Quanto al 2015, il Pil degli Stati Uniti si attesterà al 3,1% dal 3,5%, quello della Germania all’1,5% dal 2,1%, quello della Francia all’1% dall’1,5%, quello della Gran Bretagna al 2,8% dal 2,7%, mentre il Pil dell’eurozona l’anno prossimo salirà dell’1,1%, in rallentamento dall’1,7% di maggio.

L’unico Paese che il prossimo anno dovrebbe crescere più del previsto è la Gran Bretagna, guarda caso dove non c’è l’euro. Ed ecco la solita ricetta in arrivo: vista la debolezza della domanda, scrive l’Ocse, «ci vorrebbe flessibilità nelle regole europee per sostenere la crescita», ma allo stesso tempo «sono necessari sforzi ambiziosi sulla strada delle riforme». L’Ocse mette inoltre in guardia dai “crescenti rischi” che l’inflazione dell’area euro cali ancora o si mantenga «ben al di sotto degli obiettivi della Bce per un periodo di tempo più esteso».

Nel suo aggiornamento all’Economic Outlook, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico rileva che nell’area euro la dinamica dei prezzi ha continuato a indebolirsi per tre anni consecutivi: «L’inflazione troppo bassa rende più difficili gli aggiustamenti sui prezzi che restano necessari per riequilibrare la domanda dell’eurozona senza aggravare ulteriormente un già lungo periodo di crescita lenta accoppiato ad alta disoccupazione», afferma l’Ocse, a detta della quale «l’inflazione vicina a zero poi, aumenta i rischi di caduta in deflazione, che potrebbe perpetuare la stagnazione e aggravare il fardello dei debiti». Aumenta i rischi? Qualcuno dica all’Ocse che in deflazione ci siamo già e conclamata anche.

E attenzione, perché se da un lato i mercati sono spaventati per l’esito del referendum sull’indipendenza scozzese previsto giovedì, prezzando già – in caso di vittoria del sì – un possibile effetto domino in Catalunya, altre spinte politiche decisamente di rottura stanno cominciando a prendere consistenza e vigore. Alternative für Deutschland, il partito fondato nel febbraio 2013 da Bernd Lucke, si sta infatti sempre più imponendo alle elezioni tedesche. Di ispirazione conservatrice e anti-euro, l’AfD, ha confermato la sua forza alle elezioni regionali di domenica in due Laender dell’ex Germania-est, la Turingia e il Brandeburgo (la regione di Berlino), due settimane dopo il successo nel voto in Sassonia. E si è conquistato l’apertura dei giornali tedeschi, dalla Faz che ha titolato “I conservatori dell’unione chiedono un cambiamento di corso”, adHandelsblatt che riportava un virgolettato di Lucke («I cittadini sono assetati di rinnovamento politico»). Alternative fuer Deutschland ha ottenuto, secondo dati non ancora definitivi, il 10,6% in Turingia e il 12,2% in Brandeburgo: «Sono felicissimo di questa dimostrazione di fiducia», ha dichiarato Lucke.

Il segretario generale della Cdu, il partito cristiano-democratico alla guida del governo federale tedesco, Peter Tauber, considera la vittoria dell’AfD una “sfida per tutti i partiti” e ha escluso qualsiasi alleanza con gli antieuropeisti. Per ora la Csu resta il primo partito in Turingia col 33,5%, con al secondo posto la sinistra dei Linke (28,2%) e al terzo i socialisti della Spd (12,4%). Insomma, un quadro di instabilità politica e non solo economica che potrebbe tramutarsi in qualcosa di esplosivo nei mesi a venire se la situazione non dovesse migliorare, soprattutto grazie al piano operativo della Bce, piano sulla cui conclamata inefficacia mi sono già espresso la scorsa settimana.

Sempre giovedì, infatti, in contemporanea con il referendum scozzese, si terrà la prima tornata della Tltro, il programma di finanziamenti alle banche varato dalla Bce per far affluire risorse all’economia reale, cui si andranno ad affiancare il piano di acquisti di Abs (impossibile nei volumi preventivati da Draghi e con tempi biblici, a meno di non operare anche sul lato “cattivo” delle cartolarizzazioni e non solo sul cosiddetto “mezzanine”) e il taglio dei tassi decisi a inizio settembre dalla Banca centrale europea, il bazooka di Mario Draghi per combattere la deflazione e rilanciare l’economia europea. Gli analisti di Unicredit si aspettano richieste comprese tra 180 e 225 miliardi euro, provenienti principalmente dai paesi periferici, quindi un obiettivo ben lontano dal totale atteso per le due aste, sintomo che da un lato le banche sono poco invogliate a partecipare perché con i tassi sui depositi in negativo parcheggiare il denaro overnight alla Bce impone dei costi, mentre dall’altro segnalano proprio il loro disagio rispetto al piano di acquisti selettivi sugli Abs, un qualcosa che non serve a ripulire i loro bilanci e che quindi non le spinge a prestare denaro all’economia reale, poiché gli ammontare su cui possono contare in concreto sono poca cosa rispetto a incagli, sofferenze, necessità di deleverage in vista degli stress test e rischi di nuovi prestiti e mutui destinati a divenire inesigibili con l’aggravarsi, testimoniata anche dall’Ocse, della crisi.

Gli strategist della banca spiegano che «la periferia sembra essere in una posizione win-win, in quanto una partecipazione elevata sarebbe positiva grazie al conseguente miglioramento delle aspettative sulla crescita e alla maggiore liquidità a disposizione». Mentre, paradossalmente, allo stesso tempo, «una bassa accoglienza sarebbe ugualmente positiva per le maggiori aspettative sul quantitative easing».

Nelle due aste iniziali, quella di dopodomani e di dicembre, le banche potranno ottenere un finanziamento per un ammontare che non superi, in termini cumulati, il 7% dell’ammontare delle rispettive esposizioni al settore non finanziario (esclusi i prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni) al 30 aprile 2014, un plafond iniziale che è di circa 400 miliardi di euro. Una goccia nel mare, rispetto alle reali necessità, sia di finanziamento che di ripulitura dei bilanci dalle liabilities. Ma, soprattutto, un’aspirina rispetto alla situazione graficizzata qui sotto: nonostante l’austerity, anzi proprio a causa di questa, il debito italiano a luglio è salito a 2169 miliardi di euro dai 2168 di giugno, mentre quello spagnolo nel secondo trimestre di quest’anno è salito al record di 1010 dai 995,9 miliardi del primo trimestre, con una ratio debito/Pil salita al 89,9% dal 97,4% del primo trimestre. Attenti a quota psicologica, 100% di ratio debito/Pil per la Spagna: potrebbe essere l’acceleratore dell’incendio che nessuno si aspetta, altro che Scozia.

 







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