DALLA GRECIA/ La verità scomoda (per Tsipras) sull’accordo con l’Europa

- Sergio Coggiola

La Grecia ha raggiunto un accordo con i creditori per avere altri 4 mesi di prestiti. Una vittoria o una sconfitta per Tsipras? Il commento da Atene di SERGIO COGGIOLA

tsipras_zoom_discorsoR439 Alexis Tsipras (Infophoto)

ATENE — Otto greci su dieci sono a favore del governo Tsipras. Gli altri due sono di sinistra. Era la battuta che circolava l’altra sera nei corridoi del Parlamento, durante la seduta fiume – durata undici ore – del gruppo parlamentare di Syriza, riunito per discutere l’accordo con Bruxelles. Molti malumori, alcune prevedibili contestazioni, alla fine votazione e approvazione della linea del governo. 

Già, ma quale linea? Quella delle buone intenzioni, o quella del realismo? La proroga di quattro mesi non lascia al governo neppure il tempo di un pausa di riflessione. Perché di riflessione avrebbe ora bisogno Tsipras per rimodellare una strategia politica e decidere di stabilire se l’accordo raggiunto è una “sconfitta” o una “vittoria” o qualcosa d’altro. Tre giorni dopo l’invio della lista a Bruxelles, il ministero dell’economia si ritrova con un buco di 5,7 miliardi di euro. Colpa del periodo elettorale, colpa di chi ha smesso di pagare il dovuto in attesa che le promesse di Syriza si avverassero, colpa di un meccanismo burocratico inefficiente, colpa di Syriza stessa. È alquanto buffo sentire dalla bocca del vice ministro dell’Economia, la signora Valavani, l’appello: “Pagare le tasse è un dovere nazionale”, quando la stessa signora, poco tempo addietro, era una delle capofila del movimento “Non pago le tasse!”. 

Esaurito il tempo delle parole, adesso il governo si deve confrontare con altri numeri, oltre a quelli usciti dalle elezioni e della percentuale di sostenitori dell’azione di governo durante le trattative. Quelli della situazione finanziaria segnano negativo. Soltanto a gennaio le entrate sono diminuite di circa un miliardo. E nei prossimi mesi lo Stato avrà bisogno di 5-7 miliardi. Lo stesso ministro delle finanze, Yanis Varufakis, ha ammesso che ci saranno difficoltà a pagare gli interessi al Fmi e alla Banca centrale europea. Che fare? Probabilmente bussare alla porta di Mario Daghi per chiedere l’approvazione di poter emettere Buoni del Tesoro per 5 miliardi e raschiare il fondo del barile di fondi pensioni che dispongono di almeno 2,5 miliardi. 

Dunque “al tempo, compagni!”. Forse si dovrebbe risolvere la dicotomia parole e fatti, intenzioni e obblighi, verità e menzogna. “La verità è rivoluzionaria”, diceva un noto rivoluzionario. Ma ad Atene, vuoi per tradizione vuoi per convenienza, la verità è un oggetto smarrito. “Presentare una sconfitta come un successo è forse peggio della sconfitta stessa”. “Da una parte perché si trasforma il discorso del governo in politichese, in una serie di luoghi comuni e banalità che hanno semplicemente lo scopo di legittimare a posteriori qualsiasi decisione, trasformando il nero in bianco; e dall’altra perché prepara il terreno, ineluttabilmente, per le prossime, più definitive, sconfitte, perché confonde i criteri attraverso i quali il successo può essere distinto da una sconfitta”, scrive Statis Kuvelathis, professore di scienze politiche al King’s College di Londra, del comitato centrale di Syriza. Invece è bastato armare il senso di “dignità” e di “orgoglio” – sono due parole che sono state usate sia dalla destra che dalla sinistra – per sopire la frustrazione di una società che ancora non ha ben capito che cosa gli sta succedendo, che non sa decodificare, se non per grandi linee, ciò che ha subìto, che non conosce il suo futuro, ma soprattutto che non riconosce più se stessa. 

In questi ultimi mesi la sua identità si specchiava nell’avversione al governo Samaras e alle misure economiche che assottigliavano il conto in banca. Oggi, dopo l’accordo resta in attesa di sapere se pagherà meno tasse. Magra prospettiva per chi resta. I giovani, i più coraggiosi, hanno già deciso: via da questo Paese. Sono in duecentomila.

Le elezioni sono state una valvola di sfogo. La sbornia è terminata, la trattativa con Bruxelles è conclusa. E adesso? Adesso, e nei prossimi quattro mesi si dovrebbe rivoltare come un calzino quasi l’intera architettura dello Stato. Serve una strategia per definire che cosa sarà la Grecia nel futuro. Servono nuove leggi che il Parlamento dovrà approvare. Già ma quali leggi? Quelle promesse in campagna elettorale o quelle “suggerite” dalla Troika (o Istituzioni)? E sappiamo che senza l’approvazioni di alcune norme, l’Europa non concederà altri finanziamenti. 

Spesso i “syrizei” (come qui identificano i ministri di Syriza) usano la seguente definizione: “Il governo di Syriza”, dimenticando che il governo è il risultato di un’alleanza politica tra due partiti: Syrizia appunto e Anel (Greci Indipendenti). Si aggiunga che questa alleanza atipica tra destra nazionalista e sinistra contiene al suo interno anche una minoranza di “duri e puri” ex comunisti, i quali hanno già fatto sentire la loro voce di dissenso. Dunque quando si dovranno votare misure sia di politica economica che di politica sociale, il governo potrebbe perdere pezzi sia da sinistra che da destra. Ma questo è un gioco teorico – forse si dovrebbe chiedere un pronostico al ministro delle Finanze. Si tratta di prevedere che cosa sceglierà il governo: il pane o il principio?







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