ALITALIA/ Le domande “nascoste” dalla polemica sulle uniformi

- Guido Gazzoli

Sulle nuove uniformi di Alitalia è stata sollevata più di una polemica. Per GUIDO GAZZOLI ci si sarebbe dovuti scandalizzare per ben altre questioni sulla compagnia aerea italiana

Alitalia_ScalettaR439 Infophoto

Per vedere come l’Italia sia un Paese letteralmente alla deriva non occorre spostarsi all’estero, ma basta vivere la giornata. Si scoprirà una nazione che proclama rivoluzioni per una pagliuzza, ma che non vede l’oleodotto che gli penetra negli occhi. Una prova? Il can-can generato dalle nuove uniformi di Alitalia. Eppure basterebbe farsi delle domande per trovare risposte all’ondata (ma sarebbe meglio dire tsunami) di italianità “prêt-à-porter” che ha attraversato la penisola in lungo e in largo.

Invece di domandarsi come mai un’azienda in cui il capitale italiano detiene ufficialmente la maggioranza sia di fatto da un paio d’anni governata dall’aerolinea di un Paese che di tradizione nel campo non ne possiede, ci si scaglia contro le uniforme di hostess, steward e personale di terra (per i piloti non è cambiato nulla) sostenendo (forse a ragione) che di stile italiano non possiedono nulla, essendo la brutta copia delle uniformi della casa madre. E dai contro le “schifosissime” calze verdi, le scarpe e i guanti “inguardabili”, il made in Italy camuffato (sui capi compare la dicitura EU… forse in Italia ci hanno cucito i bottoni, dicono in tanti). 

Adesso tutti scoprono quello che era nell’aria da un bel po’: non siamo più capaci di costruire una compagnia aerea con criteri seri, o almeno i manager li abbiamo, ma preferiamo regalarli all’estero (vedasi il caso El-Al, compagnia israeliana salvata da un italiano) e le conseguenze si vedono ora in maniera chiarissima. 

E allora non prendetevela per queste uniformi, anzi è andata ancora bene che la A tricolore sia sopravvissuta sulle code degli aerei. Vi ricordate quando negli anni Novanta il progetto alleanza con Klm e apertura di Malpensa stava per proiettare Alitalia ai vertici del trasporto aereo europeo? Oppure quando Air France nel 2008 voleva comprarsela accollandosi i debiti? Chi fece crollare tutto? Chi ebbe “l’accortezza” quello stesso anno di far fuori 12.000 persone che detenevano il know-how per mettere in piedi una cosa, oltretutto partita senza debiti, costata a ogni italiano una bella manciata di euro, che alla fine ha continuato nel “miracolo” di registrare le perdite di quella statale?

E allora rallegratevi che i battenti non siano stati chiusi, invece di criticare! Ma sopratutto un consiglio, che estenderei pure al premier: alzate la testa dai pc e dagli smartphone e scoprite l’Italia che vi circonda, molto lontana dalla selva dei “Mi piace” o dalle interminabili discussioni, che spesso lasciano il tempo che trovano. Ma anche da quell’Italia che, a forza di sacrifici, uscita da un conflitto mondiale, seppe ricostruirsi fino a diventare l’ottava potenza mondiale, Paese di cui l’Alitalia era simbolo e che, purtroppo, non esiste più.







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