BORSA E POLITICA/ Ecco perché la vittoria M5s non preoccupa i mercati

- Paolo Annoni

La vittoria del Movimento 5 Stelle alle amministrative dovrebbe essere teoricamente preoccupante per i mercati. Ma così non è. PAOLO ANNONI ci spiega perché

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La vittoria del Movimento 5 Stelle e la débâcle del Partito democratico alle elezioni amministrative concluse domenica non sembrano avere avuto conseguenze sulla “finanza” italiana. Dopo i risultati del ballottaggio la borsa di Milano ha confermato il trend dei giorni precedenti alle elezioni. Il tema borsistico di questi giorni è chiaramente il sospirone di sollievo dei mercati: le probabilità di una vittoria del sì al referendum sulla Brexit sembrano sempre più esigue. Ieri le probabilità erano al 23% contro il 43% di martedì scorso; il rischio si è sostanzialmente dimezzato.

È perfettamente possibile che i mezzi sconvolgimenti politici che si sono visti in Italia negli ultimi giorni siano rimasti in secondo o terzo piano. Almeno in linea teorica le elezioni locali, anche se coinvolgono le maggiori città italiane, non hanno un impatto diretto sul governo nazionale; anche da un punto di vista pratico e sostanziale sembra che nel breve non ci siano cambi a livello nazionale con l’appuntamento decisivo ancora fissato per il referendum sulla riforma costituzionale che si dovrebbe tenere in autunno.

Eppure la vittoria del Movimento 5 stelle dovrebbe “preoccupare” i mercati. È una constatazione che difficilmente si può evitare di condividere considerando le proposte di ristrutturazione del debito italiano (per non pagarlo tutto), di introduzione di un reddito di cittadinanza (in tempi di austerity e reprimende europee per gli “zero virgola” di deficit in più) e infine per le minacce di uscita dall’euro con apposito referendum. In teoria, indipendentemente da quello che si pensi su queste proposte, ci sarebbe abbastanza materiale per infiammare i mercati, soprattutto se si tratta di un super osservato speciale come l’Italia e non della Gran Bretagna.

In un editoriale pubblicato ieri il Financial Times ha commentato i risultati delle elezioni confermando la sua linea interpretativa. Il risultato di domenica non riguarda la politica nazionale e quindi Renzi ha, in teoria, ancora due anni per rilanciare la sua azione riformatrice e l’economia italiana. Il vero appuntamento, insiste l’FT, è quello del referendum; gli ultimi risultati fanno pensare che una sconfitta per Renzi sia assolutamente possibile. Questa eventualità sarebbe “dannosa per l’Italia”, ma il partito di Renzi “potrebbe sopravvivere alle sue dimissioni e rimanere al governo per un po’ anche se ci sarebbe una battuta d’arresto sulle politiche riformiste”. Il Movimento 5 stelle verrà testato sulle amministrazioni locali, ma “il successo alle amministrative non può controbilanciare i difetti sul programma” e il partito “non è nemmeno vicino a essere capace di gestire l’Italia”. Insomma, il Movimento 5 stelle “non è un contendente credibile”.

Cerchiamo di osservare le vicende politiche italiane da una certa distanza e di metterci nei panni di un investitore internazionale. L’Italia è un Paese di seconda-terza fascia di cui ogni tanto si sente parlare perché è comunque una parte importante dell’euro e perché ha tanto debito e un’economia stagnante. I problemi economici dell’Italia, quelli veri e quelli immaginati ad arte, sono stati curati con dose di austerity a cui l’Italia si è piegata praticamente senza opposizione; se non c’è l’austerity c’è la vendita dei gioielli di stato (persino le poste, persino il monopolio del controllo aereo). Le ambizioni commerciali internazionali vengono rintuzzate con estrema facilità.

Che i governi italiani facciano le riforme giuste o quelle sbagliate o non facciano niente per una “spending review” seria o per incentivare le regioni “sprecone” a imitare quelle virtuose è un problema degli italiani; l’importante è che la tassa “dell’Europa” sugli italiani che stanno ancora meglio di quello che si meriterebbero passi senza fiatare, che il debito rimanga a posto e che all’occorrenza facciano anche il capro espiatorio (perché le banche italiane subiscono quello che hanno subito e Deutsche Bank no?); soprattutto l’importante è che non venga posta seriamente una discussione sul cambiamento dell’economia e dell’assetto europeo che ha palesemente messo in un angolo l’Italia. L’ultimo che ci ha provato nel 2011 è andato a casa con qualche mese di pressioni.

In questo senso il Movimento 5 stelle è una minaccia spuntata. Le sue proposte – uscita dall’euro/reddito di cittadinanza/ristrutturazione del debito – sono talmente enormi e poste in modo così leggero che non spaventano nessuno. Abbiamo visto com’è finita la campagna per l’uscita dall’Europa della Gran Bretagna sotto la pressione dei mercati, dei giornali, degli intellettuali e dei capi di governo dei Paesi alleati. Al momento del dunque le proposte del Movimento 5 stelle espresse nei modi del Movimento 5 stelle si scioglierebbero come neve con gli italiani che premierebbero ipotesi più rassicuranti.

Renzi può fare il Jobs Act, la riforma delle popolari e vendere le partecipazioni statali continuando a non toccare l’apparato pubblico danneggiando l’Italia, può persino permettersi qualche regalia pre-elettorale, basti che non diventi una minaccia vera per lo schema “europeo” attuale. Il Movimento 5 stelle può essere contro le strade, la tav e le metropolitane e per la “decrescita felice” e ovviamente può vendere l’idea che non serva cambiare lo Stato e l’apparato burocratico perché basta ridurre lo stipendio dei “politici”, tutto a danno dell’economia italiana e indirettamente a favore dei nostri simpatici concorrenti europei, ma esattamente come Renzi non è una minaccia né per i mercati, né per gli “alleati” europei.

Il Movimento 5 stelle, quello del “no euro”, stravince? Per l’FT va tutto bene… E lo spread scende…





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