TELECOM ITALIA/ La “trappola” di Bollorè da evitare dopo la Golden Power

- Sergio Luciano

Il Governo ha deciso di esercitare la Golden Power su Telecom Italia. E Bollorè sembra voler per la rete una cifra non congrua rispetto al valore dell'infrastruttura. SERGIO LUCIANO

Bollore_Vincent_lapresse Vincent Bollorè (LaPresse)

Il Bretone, per cederla, vuole almeno 13 miliardi di euro: neanche Franco Bernabè era arrivato a pretendere tanto, e sì che tre anni fa – prima dell’avvio del progetto Open Fiber – la rete di Telecom Italia valeva di più. Ma oggi Vincent Bollorè, appunto il Bretone, non può che continuare il suo poker, un’altra mano, un altro giro di posta, sperando che il vento cambi, dopo una serie clamorosa di forzature commesse con leggerezza che lo hanno fatto finire nell’angolo.

Già, perché il governo italiano, attivando legittimamente la “golden power”, ha messo in scacco la governance del gruppo telefonico. Niente di “disrupted”- per usare un termine caro ai nerd – ma molto di concretamente regolatorio. Telecom dovrà nominare nei consigli di Tim e delle controllate Sparkle (cavi sottomarini internazionali) e Telsy (apparati e terminali di sicurezza Ict) un esponente indicato dall’esecutivo dotandolo – attraverso un’apposita “organizzazione di sicurezza” – di poteri di controllo su tutte le decisioni riguardanti “le attività strategiche e la rete” e che dovrà, tra l’altro, supervisionare tutte le attività “svolte nei diversi ambiti aziendali e attinenti alla gestione degli asset rilevanti ai fini della difesa e della sicurezza nazionale”. In pratica, un vigilante. Dura lavorare così.

Ma è esattamente ciò che Vivendi ha reso indispensabile dopo essersi comportata come ha fatto, cioè scalando Telecom senza dichiararlo. E contemporaneamente – ma le due cose, come si vedrà, non c’entrano – scalando Mediaset, e in un modo che grida vendetta.

Andiamo con ordine. Le mosse di Vivendi in Italia sono state clamorose. Dapprima ha scalato Telecom, partendo da un pacchetto dell’8% ereditato quasi per caso da Telefonica; e poi si è seduta a cassetta, a tutti gli effetti, licenziando il vecchio capo azienda Flavio Cattaneo e assumendone uno di proprio gradimento. Il tutto senza ottemperare agli obblighi formali di comunicazione preventiva alle autorità: un cavillo, certo, ma in fondo càpitano, nella storia del diritto. Anche Al Capone venne arrestato soltanto per evasione fiscale: ma non uscì più.

I dietrologi d’accatto ricamano un film che esiste solo nelle loro fantasie. Racconta che Bollorè, avendo osato sfidare Berlusconi in casa sua accumulando il 29% del capitale di Mediaset, è stato punito da un governo amico – amico perché si ritiene che l’ex Cavaliere e Matteo Renzi siano già d’accordo perfino su come spartirsi le poltrone del prossimo governo di sicurezza nazionale – per fare un favore appunto a Berlusconi. Ma non c’entra. Se le mosse di Bollorè su Telecom sono state avventate, quelle su Mediaset addirittura spudorate. Tanto da condannarsi da sole. Ricordiamole. 

Il 26 luglio del 2016 Vivendi annuncia di non voler più dare seguito all’accordo preliminare per l’acquisto di Mediaset Premium non avendo riscontrato all’esame dei conti le premesse da cui era partita. Tradotto, significa che i francesi affermano urbi et orbi che c’è del marcio in quei conti. Non l’hanno mai detto testualmente, ma l’hanno fatto capire in tutti i modi. Non a caso il titolo Mediaset, dopo l’annuncio, perde il 20% in Borsa. E continua a perdere fino a fine novembre 2016. Però tra il primo e il 9 dicembre Vivendi compra in Borsa a poco prezzo titoli Mediaset. Il 12 dicembre dichiara di avere il 3%. E continua a salire di quota. La Procura di Milano apre un’indagine a carico di ignoti per manipolazione del mercato in seguito a un esposto presentato da Fininvest contro il gruppo francese. In sette sedute Mediaset riguadagna il 67%. Dell’inchiesta – manco a dirlo – non si sa più nulla dal gennaio scorso: ma, come suol dirsi, c’è poco da indagare essendo tutto fin troppo evidente.

Ora: mentre opportunamente l’Agcom pone la questione se Vivendi possa o meno detenere sia la quota di controllo di Telecom (23,9%), sia quella comprata in Mediaset, tutto s’impantana, fino a ieri. Quando la golden power rimette Telecom sotto la bandiera italiana, mentre Mediaset è alla fin fine saldamente nelle mani della Fininvest. Dove sia la proverbiale scaltrezza di Bollorè è tutto da capire. E allora gli sherpa avviano le trattative: sul fronte Fininvest-Mediaset affinché Bollorè se ne esca portandosi via Premium: fatti loro, è possibile che tra ex-amici un accordo prima o poi si trovi. E trattano anche sul fronte Telecom, per ottenere che a questo punto il governo acquisti mediante la Cassa depositi e prestiti il controllo della rete Telecom. Ipotesi per la quale, c’è da scommetterlo, Bollorè gongola: ma poi, fedele al suo istinto, alza il prezzo. La domanda è: qualcuno lo starà a sentire? E perché mai dovrebbe?

Con la golden power, in fatto di rete, Telecom non può più fare quel che le dice il suo azionista di riferimento senza il permesso dello Stato. È un’azienda a sovranità limitata, legittimamente. Lo Stato, in teoria, potrebbe anche avere interesse a integrare la galoppante nuova rete in fibra che sta costruendo Open Fiber con quella di Telecom. Ma la qualità della prima, interamente in fibra, surclassa quella della seconda, che viaggia sì in fibra, ma poi entra negli edifici con l’ethernet, quindi trasferendo i segnali dalla fibra ottica al rame, sia pure eccellente, con un inevitabile degrado della qualità. Può mai essere che questa rete valga quanto (anzi di più) di quel che valeva prima, quando era l’unica infrastruttura del genere sul mercato, e anche quella con la migliore tecnologia?

Erano anni che un gruppo straniero sceso in Italia per effettuare una doppia scorreria finanziaria non finiva così sonoramente bastonato e incastrato. Di solito siamo noi a prenderne tante, in giro per il mondo. Per una volta, accade il contrario. Basta attendere senza pagare, prima o poi Bollorè mollerà.

Vi ricordate quante volte si è detto e scritto che fosse entrato in Mediobanca solo per propiziare le nozze di Generali con i suoi amici di Axa? O quando si diceva ci fosse lui, sempre dalla cabina di regia di Mediobanca, a star pilotando Fonsai nelle braccia di Groupama? Ecco: quelle cose sarebbero state verosimili. Ma non si sono ma verificate, e sì che le premesse erano migliori.





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