RIPRESA?/ Le distrazioni che appesantiscono l’Italia

- Alfonso Ruffo

Il Pil dell’Italia è cresciuto dell’1%, ma restano ancora da recuperare sette punti per poter tornare ai livelli pre-crisi del 2008. Il commento di ALFONSO RUFFO

operaio_lavoro_edileR439 Immagine di repertorio (Foto: LaPresse)

C’è ancora tanta strada da fare, dice il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia commentando a margine di un convegno i dati dell’Istat sull’aumento del Pil che in sostanza confermano i risultati del Centro studi dell’associazione imprenditoriale esposti nell’ultimo bollettino. E cioè: il Paese si è rimesso in moto, ma troppo lentamente perché gli italiani se ne possano accorgere con una crescita della ricchezza del 2016 sul 2015 di un modesto 1 per cento e una distanza sull’ultimo anno prima della crisi, il 2008, di un sonoro e consistente 7 per cento.

Certo, tutti gli indicatori segnalano che il sistema industriale nazionale sta recuperando competitività come il record nelle esportazioni e il lusinghiero saldo della bilancia dei pagamenti dimostrano, ma dal 2011 al 2014 sono venute a mancare 194mila imprese e questo non è buono. Soprattutto, questa ripartenza sbilenca – con aziende che corrono, altre che arrancano e altre ancora che si sono sedute – lascia sul terreno 800mila posti di lavoro stentando ad avanzare, in assenza di ricette miracolose, nel campo minato dell’occupazione nonostante sforzi e buone intenzioni. E allora ecco la strada lunga che dobbiamo avere il coraggio di percorrere evitando scorciatoie traditrici che, l’esperienza insegna, portano fuori rotta. Tanto più che i colleghi e concorrenti europei marciano più velocemente di noi avendo già recuperato se non addirittura superato le posizioni perdute.

Tutte le informazioni indicano che l’Italia ha grandi potenzialità, non sfruttate per diversi motivi che vanno dall’insidiosità dei vincoli che tanto liberamente quanto stupidamente si è data all’atteggiamento sciatto e distratto che troppi dei suoi dirigenti ha deciso di darsi. L’Europa ha tante colpe, ha ereditato molti difetti nazionali aggiungendone di propri, ma (non) funziona allo stesso modo in tutto il Continente e non si capisce perché da noi le difficoltà sopravanzino in maniera così marcata le opportunità che pure (vedi alla voce tassi d’interesse) ci sono.

Insomma, l’impressione è che i problemi tanti e complessi che il Paese si trova a fronteggiare in un periodo d’incertezze e cambiamenti come quello che ci troviamo a vivere non siano affrontati con la dovuta attenzione e preparazione. In molti casi manca anche la buona volontà. Eppure il futuro è nelle decisioni che sapremo prendere oggi per assicurarci un domani che sia degno del nostro passato di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori com’è scritto a grandi lettere sul Palazzo della Civiltà del Lavoro a Roma.

Va bene, tanta enfasi può essere fuori posto e perfino far sorridere per la sua ingenua ridondanza. Ma se non ci diamo obiettivi ambiziosi difficilmente potremo compiere azioni degne di essere apprezzate. Invece che continuare a sorvegliare i piedi per calpestarceli l’un l’altro sarebbe ora di alzare lo sguardo. Se davvero vogliamo percorrere quella strada che abbiamo davanti.





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