SPY FINANZA/ Le domande che smontano il fenomeno Macron

- Mauro Bottarelli

Su Emmanuel Macron si stanno concentrando molte speranze, soprattutto per risolvere i problemi dell'Europa. Per MAURO BOTTARELLI è meglio non farsi illusioni al riguardo

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La vita in un giorno. Come descrivere altrimenti la giornata di lunedì vissuta dal neo-eletto presidente francese, Emmanuel Macron. Al mattino il primo debutto protocollare, al fianco del suo predecessore, Francois Hollande, alla parata dell’8 maggio, nel pomeriggio il primo sciopero (preventivo) contro le politiche che adotterà, indetto da sindacati e studenti (con annesse tensioni con la polizia) e in tarda serata un bel blitz della forze speciali, dopo la segnalazione di tre sospetti a bordo di un treno in partenza dalla stazione della Gare du Nord. Tutto ciò che lo attende nei prossimi cinque anni, condensato in 24 ore: ruolo istituzionale, protesta di piazza ed emergenza terrorismo. Ma davvero Emmanuel Macron e il suo scompaginare le carte post-ideologico, capace di terremotare i partiti tradizionali e di ridimensionare il populismo del Front National, è la risposta ai problemi attuali, principalmente dell’Europa? 

Non mi interessa tanto il lato meramente politico, sfruttato subito da Silvio Berlusconi per depotenziare Matteo Salvini in vista della probabile alleanza elettorale, quanto quello economico: non staremo facendo un errore madornale incarnando in Macron lo stigma dell’uomo nuovo e della nuova politica, quando invece è solo la faccia pulita e sbarbata dagli errori passati dell’elite globale, in primis l’austerity, il famoso establishment contro cui si sono rivoltati nelle urne i cittadini britannici e statunitensi? Lo dico perché finché a fare le pulci alla classe dirigente, soprattutto finanziaria, è una persona come me, tutto rientra nel novero della normalità: lavoratore, senza rendite, né patrimoni, figlio di un operaio e di una casalinga, istruito, ma certo non addentro a certi circoli o consorterie socio-culturali. Quando però sono dei pari grado a muovere critiche, pesanti, ai colleghi, allora forse c’è da porsi qualche domanda in più, salvo evitare di farlo e pagarne il prezzo sul medio-lungo termine. 

Io cominciai a ragionare così quando l’allora presidente di Ubs, Peter Kurer, dichiarò candidamente che «per le elites, l’Ue è un mezzo per diventare ricchi in fretta ed esportare i loro problemi», ma dall’altro giorno mi è sorto il dubbio che la banca svizzera sia, in realtà, una fucina di pensiero critico, più consona a un convegno di sovranisti che a un simposio di globalisti alla Davos. L’attuale presidente di Ubs, Axel Weber, infatti, ha così salutato l’elezione di Emmanuel Macron e le troppe aspettative che la contornano, soprattutto rispetto ai rischi sistemici dell’eurozona, anche in vista del Brexit, parlando a un convegno a Tokyo, come riportato dal Financial Times: «I rischi politici in Europa rimangono parecchio alti, anche se abbiamo visto il centro mantenere il potere in Francia con la vittoria di Macron sulla Le Pen e se c’è crescente confidenza sul fatto che anche alle elezioni tedesche di settembre sarà l’opzione centrista a prevalere. Questo non significa affatto che l’Europa è fuori dai guai, perché c’è l’Italia, dove non esiste affatto la certezza che una coalizione di centro possa guidare la nazione dopo le prossime elezioni. E poi c’è sempre la Grecia. Certo, si possono vedere alcuni bicchieri mezzi pieni, ma ci sono anche dei rischi al ribasso che non sono ancora stati prezzati nei mercati e che possono far deragliare l’Europa». 

Ad esempio? «Il Brexit è una bomba a orologeria e il conto alla rovescia è cominciato. Mancano due anni da oggi, ma se davvero i britannici lasceranno l’unione doganale e il mercato unico, potrebbe davvero esserci molta volatilità, destinata a impattare sull’economia globale». E attenzione, perché le previsioni di Axel Weber tendono ad avversarsi, basti pensare a quanto denunciato lo scorso anno ai meeting di Banca Mondiale e Fmi, quando disse chiaro e tondo che l’interventismo monetario delle Banche centrali stava causando spillovers internazionali e turbolenze notevoli sui mercati globali. Ecco le sue parole: «Le Banche centrali hanno ingaggiato interventi massimi sui mercati, tanto che si può dire che siano ormai la controparte centrale in molti mercati, essendo il compratore di ultima istanza. Gli investitori sono stati trascinati in investimenti dei quali hanno poca contezza rispetto a cosa ci sia veramente sul piatto e questo, per quanto mi riguarda, è un promemoria per ricordare dove eravamo, seppur in una differente asset class, nel 2007». E ancora: «Per questo, penso che i banchieri centrali abbiano bisogno di essere molto attenti al fatto che non devono continuare a produrre turbolenze sui mercati, visto che, dal mio punto di vista, la percezione in base alla quale gli impatti sottostanti delle politiche monetarie superano il potenziale degli effetti collaterali, comincia a rivelarsi errata». 

E ricordate una cosa: prima di presiedere Ubs, Axel Weber era governatore della Bundesbank. Le sue ultime parole al riguardo? «Io non sono certo che un singolo trader al mondo sia in grado di dirti quale sia il prezzo appropriato di un asset che sta comprando, se togliamo dal tavolo l’effetto distorsivo di tutto questo intervento delle Banche centrali». E cosa unisce queste parole di Weber all’eccessivo entusiasmo attorno all’elezione di Macron, quasi fosse l’architrave di una nuova Europa post-ideologica? Primo, intervistato dall’Huffington Post, Mario Monti ha così descritto quali potrebbero essere gli scenari: «Il programma di Macron potrebbe essere lo stesso esperimento, su più larga scala, del mio governo». Leggi, austerity a oltranza. Secondo, a poche ore dai risultati dei seggi francesi, attraverso il quotidiano belga Le Soir, ecco che il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, parve dettare la linea: «I francesi spendono troppo e per le cose sbagliate. Questo non può funzionare a lungo». Per finire così: «La Francia deve raggiungere un accordo con gli altri, la Germania non è sola nel chiedere una politica di stabilità». Terzo, il falco dei sindacati francesi, Philippe Martinez della potente Cgt è stato chiaro fin da subito: «Se tocca i lavoratori, lo fermeremo di nuovo», chiaro riferimento al Jobs Act francese e agli scioperi infiniti contro la sua entrata in vigore, proprio quando Emmanuel Macron era ministro dell’Economia. 

Ora, guardate questa tabella contenuta nel report sulle elezioni francesi preparato da Deutsche Bank: se il grafico a sinistra ci mostra come a pesare sugli equilibri, negli ultimi 15 anni, non sia stata tanto la crescita del Front National, quanto l’erosione di consensi dei due partiti tradizionali, quello a destra ci mostra come molti più elettori di sinistra, il bacino di Jean-Luc Mélenchon, abbiano votato per Emmanuel Macron al ballottaggio rispetto a quelli di centrodestra di Francois Fillon. Insomma, quella che un tempo avremmo chiamato classe operaia, ha dato fiducia al centro, magari anche soltanto per sbarrare la strada alla destra. Ma se davvero Macron farà ciò che prevede Monti e ordina già oggi Juncker, cosa succederà al fragile patto sociale sancito domenica scorsa? Il tutto, poi, con la spada di Damocle di Brexit e potenziali turbolenze sui mercati evocata da Axel Weber. Rifletteteci bene. 







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