IMU E BANCHE/ I nuovi indizi delle “mazzate” Ue all’Italia

- Sergio Luciano

Per l'Italia sono arrivate le raccomandazione della Commissione europea. Non si può dire che siano rose e fiori, anche perché si torna a parlare di Imu. Il commento di SERGIO LUCIANO

pier carlo padoan Pier Carlo Padoan (Lapresse)

In balia dell’Europa: nel bene, come nel male. Le “raccomandazioni specifiche” spedite dalla Commissione europea agli Stati membri sulla politica economica sono state, per l’Italia, relativamente morbide. Ma – a parte due o tre strali da non sottovalutare – hanno coinciso, se non altro temporalmente, con la linea dura o durissima della D.G Comp – la direzione per la competitività – che continua a non dare il via libera al governo italiano per spendere i 20 miliardi stanziati il 20 dicembre scorso come “ricapitalizzazioni precauzionali” del Monte dei Paschi di Siena, della Popolare Vicentina e di Veneto Banca. Insomma, l’Europa “ci ciacca e ci medica”, ci colpisce e ci blandisce. 

Ma intanto Mario Draghi, affermando che “la crisi è alle spalle”, ha implicitamente preannunciato anche l’imminente conclusione del “Quantitative easing”, indispensabile all’Italia per piazzare senza pathos i suoi titoli di Stato, in un mercato che nell’ultimo anno ha spostato su valori esteri circa 200 miliardi di risparmi; e ha anche fatto capire che oggi l’Italia, relativamente all’Europa, si trova come nel 2011 si trovava la Grecia: è “il” problema di Bruxelles, il problema numero uno. Visto che la crisi degli altri è “alle spalle”, mentre noi ben sappiamo di avercela ancora davanti, siamo diventati noi l’ultima ruota del carro. Un carro che la neonata asse Macron-Merkel, con il ritrovato peso politico del ministro Schauble e addirittura l’aperta candidatura dell’attuale presidente della Bundesbank, il “falco” Weidmann, al vertice della Bce nel dopo-Draghi, sono altrettante brutte, pessime notizie per il nostro Paese.

E dunque cerchiamo di capire. Certo, a Bruxelles il partito anti-austerity qualche passo avanti l’ha fatto. È stata rinviata all’autunno la polemica sull’ulteriore risanamento delle finanze pubbliche degli Stati, Italia compresa. Ma nel documento comunitario non mancano le avvisaglie delle future rampogne, a cominciare dalla valutazione sul “programma di riforme ambizioso”, ma privo dei “dettagli sull’attuazione”. Come dire: non vi crediamo più sulla parola, vogliamo capire la fattibilità dei vostri piani. Ed è in questo “mood” non così propizio che s’inserisce la stoccata contro l’indiscriminata esenzione dal pagamento dell’Imu sulla prima casa a favore di tutti i contribuenti, eliminata da Renzi dopo che Monti l’aveva ripristinata, cancellando un analogo sgravio disposto del governo Berlusconi.

Padoan ha subito replicano con relativa fermezza: “Le riforme fiscali vanno viste nel loro insieme”, ha detto, e “cambiare idea su una tassa che è stata appena cambiata da pochi mesi non è una buona idea”. E anche Renzi sarebbe fermo sulla linea del “no” a questo livello di interferenze. Peccato che altrettanta fermezza il governo Gentiloni e il suo “azionista di maggioranza”, cioè l’ex premier ed attuale segretario del Pd, non la dimostrino sul fronte bancario, dove i tre istituti decotti perdono clienti e raccolta di settimana in settimana, finendo sempre più fuori dall’equilibrio minimo del bilancio industriale ordinario, al di là delle non del tutto riassorbite sofferenze. Le due banche venete e il Montepaschi avrebbero bisogno dei soldi pubblici domattina, e invece da sei mesi è tutto fermo: sarà normale, una simile dilatorietà?

Per il resto, si affida al 2018 italiano uno “sforzo di bilancio sostanzioso”, non meglio quantificato, con politiche capaci di bilanciare gli interessi del boia con quelli dell’impiccato, ossia di “rafforzare la ripresa”, ma anche assicurare la “sostenibilità dei conti”, spostando “il carico fiscale dai fattori produttivi a tasse meno dannose per la crescita”. Come, appunto, “la tassa sulla prima casa per i redditi elevati”. E poi il copia-e-incolla delle solite raccomandazioni che Bruxelles ogni sei mesi ci rimanda dal 2011 in qua: “ridurre il numero e la portata delle spese fiscali”, aumentare l’obbligo di utilizzare “fatturazione e pagamenti elettronici”, “riformare il catasto e rafforzare lotta alla corruzione” e “ridurre la lunghezza dei processi della giustizia civile tramite un’efficace gestione dei casi e regole che assicurino la disciplina della procedura”. Non poteva mancare l’invito al “completamento della riforma del pubblico impiego” (ma gli ultimi decreti Madia?) e la rimozione degli “ostacoli alla concorrenza”…

Insomma, ahimè, la solita aria fritta, più o meno inattuabile nella prossima legge di bilancio, l’ultima che precederà le prossime elezioni politiche, che verranno giocate tutte – come impedirlo? – sul filo delle facili promesse agli elettori.





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