SPY FINANZA/ Così Draghi può bloccare le elezioni anticipate in Italia

- Mauro Bottarelli

La situazione economica in Europa non è certo florida, nonostante le politiche della Bce. Per MAURO BOTTARELLI, Draghi dovrà ora escogitare qualcosa di grosso

Draghi_Sorriso_Lapresse Mario Draghi (Lapresse)

Più passano i giorni, più Mario Draghi mi ricorda uno di quegli ipocondriaci che, nonostante siano consci che il proprio stato di salute non sia buono, negano l’evidenza ed evitano di fare degli esami. Lo sanno di non stare bene, ogni giorno i sintomi si aggravano, ma loro fanno finta di niente, il malessere passerà da solo. Come per magia. Il problema è che arriva sempre il giorno in cui si varca la linea rossa oltre la quale tornare indietro non è possibile, dopodiché si tenta il tutto per tutto, si mette in campo il whatever it takes: ma potrebbe non bastare, questa volta. Lunedì il numero uno della Bce ha parlato al Parlamento europeo e la sua indicazione, in estrema sintesi, è stata questa: la ripresa c’è, è solida, ma è assolutamente troppo presto per eliminare le misure di sostegno straordinario all’economia. Insomma, per restare nel parallelo medico con cui ho cominciato, è come se il dottore vi dicesse che vostro figlio sta molto meglio, ma vi invitasse a non smettere con i quattro antibiotici al giorno. Qualche dubbio, forse, vi verrebbe.

Mario Draghi ha voluto essere molto netto, parlando di fronte agli europarlamentari: chiunque dica che la questione del tapering, il ritiro degli acquisti obbligazionari, sarà sul tavolo della discussione il prossimo 8 giugno alla riunione del board prevista in trasferta a Tallin, mente. Parole che arrivavano in perfetta contemporanea con il tonfo della Borsa di Milano, trascinata al ribasso dai titoli bancari e dall’impennata dello spread: Pdd e M5S si erano incontrati a sorpresa sulla legge elettorale di stampo tedesco e l’incontro era stato definito “costruttivo” dai partecipanti. Boom! Il rischio di urne anticipate era subito prezzato dagli indici e dai rendimenti: il tutto, è bene sottolinearlo, in una giornata di bassi volumi e scambi, visto che erano chiuse per festività Londra, New York e Tokyo. Nulla da fare, nemmeno la rassicurazione di Mario Draghi aveva salvato il Ftse Mib dal calo, il listino milanese si era trasformato in una cartina di tornasole dell’instabilità politica incipiente. 

Il problema è che, anche in questo caso, per Mario Draghi vale il principio proverbiale del “chi è causa dl suo mal, pianga se stesso”. Chi è stato, infatti, non più tardi di due settimane fa, a dire che «la crisi dell’eurozona è ormai alle spalle e il tasso di disoccupazione continua a scendere» nel discorso tenuto all’università di Tel Aviv? E non è forse stato il suo alleato più fidato nel board, il francese Benoit Coeuré, intervistato il giorno seguente dalla Reuters, a confermare che era giunto il momento di entrare in una dinamica di rialzo dei tassi? Di più, fu proprio lui a dire che il tapering sarebbe stato sul tavolo della riunione dell’8 giugno: Draghi sconfessa il suo braccio destro? Insomma, come stanno davvero le cose? Quando finirà la recita a soggetto del capo dell’Eurotower? 

Il problema sta tutto nella percezione che sia di quanto sta accadendo a livello monetario in Europa. Il Qe, infatti, viene visto come una sorta di bazooka a difesa degli spread sovrani, un bancomat di prima e ultima istanza che consente alle Banche centrali di emettere debito a prezzi bassi, evitando quindi ogni reale percezione di rischio Paese, essendo il costo del servizio del debito artificialmente compresso. Ma non è così. Questa è solo la parte visibile dell’iceberg, quella che mantiene in riga i corsi azionari e in vita le banche zombie del Continente. La carne viva sta sotto il pelo dell’acqua: da quando la Bce ha cominciato a comprare anche bond corporate, senza stare tanto a guardare il rating, ha spalancato il vaso di Pandora, poiché ha di fatto aperto una linea di credito illimitata per le piccole, medie e – soprattutto – grandi imprese europee, capaci oggi di finanziarsi pressoché a costo zero emettendo debito che Francoforte compra a prescindere. Questo cosa implica? Minore stress per quei business, ma anche minore stress formale per il sistema bancario, visto che di questi tempi e nonostante la liquidità a pioggia, si sta attentissimi a far uscire attivi, tanto che si preferisce parcheggiare il contante overnight proprio alla Bce, pagando un prezzo, pur di non smobilizzarlo. Insomma, quantomeno l’economia reale che quelle imprese rappresentano, dovrebbe scoppiare di salute. E invece no, soprattutto le Pmi (Sme in inglese). 

Guardate questo grafico, il quale ci mostra il risultato del 2017 European Payment Report preparato, come ogni anno, dalla svedese Intrum Justitia AB. E cosa ci dice? Che nell’eurozona un sempre crescente numero di piccole e medie imprese lamenta un eccessivo aumento dei ritardi che deve affrontare per vedere pagati i propri servizi, addirittura con alcune componenti del settore che invocano leggi più dure a livello Ue. Come riporta Bloomberg, citando il rapporto, il 61% delle 10.468 piccole e medie imprese interpellate nello studio ha confermato di aver ricevuto richieste di dilazione dei pagamenti dalle loro controparti contrattuali: si tratta di un aumento del 30% in un solo anno, visto che nel 2016 il dato era al 46%. 

Per il Ceo di Intrum Justitia AB, Mikael Ericson, «questa dinamica porta con sé chiari e significativi effetti, sia sulla crescita che sugli investimenti delle aziende europee». Il tutto in un contesto che formalmente vede l’Europa in ripresa sostenuta, con il Pil in aumento, il tasso di disoccupazione in calo e tutti i sondaggi Pmi manifatturieri ai massimi storici, così come i livelli di fiducia di aziende e consumatori: a quale narrativa dobbiamo credere? Io credo ai numeri e alle percentuali. Tanto più che, per far fronte al problema, nel 2011 l’Ue aveva adottato la direttiva sui pagamenti ritardati, sottolineando come «l’intera economia europea è colpita negativamente da questa pratica, tanto che per le migliori Pmi, ogni criticità nel flusso di cassa può rappresentare la differenza tra solvibilità e bancarotta». 

Quindi, cosa si fa? Anche perché, a onor del vero, quel report ci mostra una dinamica ancora più preoccupante per l’economia reale europea. Come ci mostra questo grafico, nonostante il programma di stimolo abbia portato lo stato patrimoniale della Bce a essere il più grande del mondo, solo il 13% delle aziende interpellate ha dichiarato che i bassi tassi di interesse hanno portato a un incremento dei loro investimenti, mentre ben l’81% ha detto che il livello è rimasto invariato. Per Ericson, «il fatto che 4 aziende su 5 non abbiano visto un aumento degli investimenti, nonostante il regime di tassi a zero, ci dimostra come ora la priorità sia il flusso di cassa, tanto che oggi assicurare un cash-flow stabile è più importante di investire in crescita».

Insomma, al netto dello specchietto per le allodole rappresentato dallo spread sovrano, l’Europa vede la propria economia reale intenta ad affrontare – di fatto – una crisi di liquidità, pur trovandosi nella fase finale di un enorme programma di stimolo monetario. Il tutto, con un aumento dei pagamenti ritardati e uno stallo assoluto negli investimenti: dove vogliamo andare con dinamiche così? Dove sarebbe la ripresa tanto incensata da Mario Draghi? Siamo in piena crisi di liquidità e questo è il peggio che potesse accadere, perché significa che il meccanismo di trasmissione si è inceppato, lasciando spazio alla crescita delle criticità che ho appena elencato: qui non parliamo dei pezzi di carta della finanza, parliamo di chi crea prodotti ed eroga servizi, di chi assume e paga stipendi e tasse. Economia reale, concetto ormai oscuro. Come si può parlare di ripresa quando le Pmi, l’ossatura dell’eurozona, segnalano una crisi di cash-flow

Per questo, ritengo che giovedì prossimo Mario Draghi dirà qualcosa di forte, qualcosa capace di spiazzare: magari non la versione 2.0 del whatever it takes, ma nemmeno troppo distante. Qualcosa che, a occhio, potrebbe tirare un po’ il freno anche alla corsa verso il voto anticipato nel nostro Paese. Già, comincio a pensare che potrebbe essere la Bce il miglior alleato del governo Gentiloni per sperare di arrivare a fine mandato. Manca poco, poi lo scopriremo. 





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