SPY FINANZA/ I nuovi siluri contro l’Italia
Dall'Europa arrivano notizie che, dietro una patina positiva, nascondono delle brutte sorprese per l'Italia, che si prepara ad affrontare le elezioni. MAURO BOTTARELLI
E pensare che la giornata era anche iniziata bene. Stando a quanto emergeva dal primo rapporto messo a punto dalla Commissione Ue sulla base dei dati della Bce, l’Italia è tra gli Stati membri ad aver ottenuto i migliori risultati nella riduzione della propria quota di crediti deteriorati (Npl). In base alle tabelle pubblicate, in un anno l’Italia ha diminuito la quota del totale degli Npl del 24,6% – un quarto – passando dal 16,2% del giugno 2016 al 12,2% del giugno 2017. Meglio ha fatto solo la Slovenia, con un calo di 30,4%. Segue l’Irlanda -20,6%, mentre appare meno brillante la Grecia, -0,6%. Anche gli Npl nel settore privato sono diminuiti dal 20% del giugno 2016 al 15,9% nel giugno 2017. A fine giugno 2017 – evidenziava la Commissione – i dati rivelano alcune importanti vendite dei crediti deteriorati, che hanno avuto effetti sui bilanci delle banche. In particolare, viene fatto riferimento alla vendita di 17,7 miliardi di Npl da parte di Unicredit (completata a settembre 2017) e alla cartolarizzazione delle sofferenze da parte del Monte dei Paschi di Siena, per un valore contabile lordo di 26,1 miliardi, non ancora completato.
«Nel 2017 la cartolarizzazione dei crediti deteriorati si è sviluppata in un’importante strategia usata dalle banche per ripulire i propri bilanci», evidenzia Bruxelles, che indica come nel 2017 le banche abbiano «aumentato il loro ricorso alla Garanzia Cartolarizzazione Sofferenze (Gacs)». A questo riguardo – si osserva – «l’operazione del Monte dei Paschi costituisce la più grossa la cartolarizzazione di Npl del mercato italiano». E fin qui, c’erano pochi dubbi. Ma non basta. «I progressi fatti dall’Italia nella riduzione dei crediti deteriorati vengono ritenuti notevoli», stando a quanto si apprendeva da fonti a Bruxelles. Il Paese ha compiuto «un’inattesa accelerazione, con la riduzione di un quarto delle sue sofferenze in un anno, mentre la media degli altri Paesi è stata di un terzo. I rischi non sono finiti ma i risultati vengono definiti molto incoraggianti».
Ora, una cosa che va detta subito, visto che non abbiamo l’anello al naso da queste parti: se quegli Npl stanno andando via come il pane, manco fossero iPhone in saldo, è perché tanto puzzolenti e schifosi non sono, al netto della minaccia Bce dell’addendum e dell’esposizione al pubblico ludibrio del nostro sistema bancario da parte di competitor stranieri che puntano a fare incetta di filiali e quote di mercato ad altrettanto prezzo di saldo. In effetti, non stiamo facendo questo grande affare a vendere quegli Npl a 20-25 sull’euro, ma ci hanno stretto in un angolo, per l’ennesima volta e, mentre noi ci autosputtanavamo – scusate il termine ma quando ci vuole, ci vuole – con la Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, gli altri creavano le basi per l’assalto prossimo futuro (il che non vuol dire non perseguire chi ha sbagliato o nascondere l’immondizia sotto il tappeto, ma, come fanno i nostri partner, lavare i panni sporchi in famiglia). Tant’è, siamo Tafazzi nell’anima.
Il problema è che sempre ieri, in contemporanea con la notizia sugli Npl, ne arrivava un’altra a conferma di quanto vi dico da mesi: ovvero, trovata la quadra per la nuova Grosse Koalition che fungerà da panzer per la campagna europea 2018 del Napoleone 2.0, al secolo Emmanuel Macron, la ricreazione per i nostri conti pubblici e le nostre banche sta per finire. Abbiamo tempo fino al 4 marzo, poi i desiderata Ue comunicatici l’altro giorno da Pierre Moscovici dovranno trovare compimento. Altrimenti, ci penserà qualcun altro come nel 2011. E chi poteva partire lancia in resta, se non l’uomo che già pregusta la nuova fase dell’eurozona, quella post-Draghi?
«Un sistema comune di garanzia dei depositi in Europa è possibile solo se si pone un limite alla quota di titoli di Stato detenuta dalle banche». Questa la “precondizione” – bontà sua – fissata dal presidente della Bundesbank, Jens Weidmann: «Una precondizione per un sistema europeo di assicurazione dei depositi è che la dimensione dei portafogli di titoli di Stato che le banche detengono sui loro libri è limitata. Il credito ai governi non dovrebbe essere trattato diversamente dal credito alle imprese o ai privati». Per Weidmann, «il trattamento preferenziale del debito sovrano sui bilanci delle banche deve essere abolito in Europa per evitare una mutualizzazione dei rischi sovrani attraverso la porta di servizio. Il credito alle amministrazioni pubbliche non è privo di rischi, come la crisi del debito sovrano ci ha ricordato senza mezzi termini… Ci si dovrebbe assicurare che l’assicurazione non copra le perdite che si sono già verificate, come i crediti inesigibili già nei libri delle banche e che l’assicurazione non incoraggi un comportamento negligente nel futuro». Boom, altro siluro al sistema Italia e, in generale, al cosiddetto Club Med che ormai l’asse renano ha deciso di scaricare a vantaggio di un’Ue a doppia velocità, il cui nucleo core – quello del Nord che vedrà paradossalmente alla guida la Francia – sta già negoziando la sua Brexit personale, alla faccia delle trattative farsa in atto a Bruxelles.
Già, perché mentre in Italia ci preoccupiamo delle candidature-farsa dell’M5S o delle bizze per i collegi, l’Europa del futuro prende forma, delineata a tappe forzate dall’Eliseo. Ieri, infatti, si è tenuto un vertice fra Emmanuel Macron e la traballante premier britannica, Theresa May, la quale ha accettato tutte le condizioni poste da Parigi, pur di vedersi garantito lo scudo transalpino contro il rischio di golpe interno. Londra si appresta in particolare a inviare da subito nel Mali tre elicotteri Chinook e alcuni decine di militari in appoggio logistico delle forze francesi schierate nel Sahel, oltre all’annuncio di 50 milioni di sterline di nuovi aiuti umanitari e un programma di assistenza dell’Home Office ai Paesi “partner” del continente, impegnati nel contrasto del traffico criminale di migranti. In cambio, Parigi darà sostegno alla missione Nato a guida britannica dispiegata in Estonia ai confini con la Russia, come Washington desiderava.
Inoltre, alla faccia della cooperazione in tema di migrazione, la premier britannica Theresa May si prepara a versare altri 44,5 milioni di sterline (50 milioni di euro) a Parigi, affinché la Francia continui a fare da “gendarme” nei confronti dei migranti in arrivo a Calais anche dopo la Brexit, filtrando i tentativi di attraversare la Manica. Tutti atti bilaterali, casualmente fra Paesi del Nord e con l’Italia perennemente esclusa dal dialogo: non a caso, complimenti a parte, Macron non ha affatto affrontato il tema Ventimiglia-Mentone con Paolo Gentiloni nel loro incontro a Roma. Vale Dublino, quando fa comodo: quindi, chi arriva qui, ce lo teniamo, oltretutto con l’accordo con la Libia ormai saltato nei fatti.
E non basta. Parlando in chiusura della sessione plenaria a Strasburgo, relativamente alle conclusioni del vertice Ue dello scorso dicembre, cosa ha detto Donald Tusk, uomo forte dell’asse renano e della campagna anti-russa di Washington in seno all’Ue? «I cuori dell’Europa restano aperti a un eventuale dietrofront di Londra sulla Brexit, qualora ci fosse un cambiamento nel cuore dei britannici, anche perché noi altri, sul continente europeo, non abbiamo cambiato il nostro cuore». Roba da Bacio Perugina, ma ecco che, subito dopo, ecco arrivare il Pinotto del duo: «Spero che queste cose siano intese chiaramente a Londra», ha detto Jean-Claude Juncker.
Stanno preparando, per via parlamentare attraverso un voto blitz a Westminster reso possibile dall’ammutinamento di un mese fa di una pattuglia di deputati Tories e dei loro emendamenti, il grande ripensamento britannico, il Regrexit. Tutto nelle segrete stanze, tutto a colpi di magheggi, tutto in contrasto con la volontà popolare (come d’altronde Moscovici ha già annunciato che accadrà anche con il voto italiano). Oggi, poi, a Parigi arriverà una mai come oggi politicamente debole Angela Merkel, pronta a mettere in cantiere il nuovo Trattato dell’Eliseo, l’annunciatissima seconda edizione 55 anni dopo l’originale. La settimana prossima, il 22 gennaio, esattamente 55 anni dopo l’accordo concluso fra il presidente Charles de Gaulle e il cancelliere Konrad Adenauer, l’Assemblea Nazionale e il Bundestag approveranno infatti una risoluzione comune con le grandi linee di un nuovo trattato che rafforzerà la cooperazione fra i due governi e i due Parlamenti. Di fatto, il vero Europarlamento. Anzi, la vera Commissione.
Di fronte a tutto questo, una sola domanda: Italia, dove sei?
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