SPY FINANZA/ Il terremoto tedesco pronto a far uscire M5s dal Governo

- Mauro Bottarelli

La Germania traballa e da una crisi tedesca potrebbe arrivare una scossa in grado di sconvolgere la politica italiana con la creazione di un nuovo Governo. MAURO BOTTARELLI

angela_merkel_zoom2_lapresse_2017 Angela Merkel (Lapresse)

Cosa vi avevo detto in chiusura del mio articolo di sabato, riferendomi alle reazione dei mercati al Def? Di non avere paura di chi sta vendendo il nostro debito ma di essere terrorizzati rispetto a chi lo sta comprando. Ieri la Borsa ha rimbalzato e c’erano pochi dubbi, per una serie di ragioni. Primo, la pantomima destabilizzante trumpiana ha aggiunto un nuovo tassello al suo mosaico, il raggiungimento al limite sulla deadline della mezzanotte di domenica dell’accordo commerciale con Messico e Canada (Usmca), un qualcosa di assolutamente inutile, visto che il Congresso lo tramuterà in legge non prima del 2019, spazio temporale prima del quale ci saranno le elezioni di mid-term e la disputa sui dazi sarà entrata nel vivo a livello di ricasco globale sull’export. Quindi, un mondo potenzialmente differente da quello attuale. E con un presidente che cambia idea ogni mezz’ora. Ma si sa, quando serve, il mercato sa ancora agire come il cane di Pavlov. 

Restando più strettamente sull’ambito italiano, poi, c’è da registrare il grande disvelamento, ovvero il fatto che il mercato se ne frega bellamente del Def – che resta una porcheria senza redenzione, nella sua prima versione -, per il semplice fatto che la manovra sarà altro e che, soprattutto, i 5 Stelle hanno i giorni contati. Non a caso, dopo essersi chiamato fuori da ogni tipo di patetica celebrazione su balconi e affini, il solitamente ultra-comunicativo ministro Salvini ha alzato pesantemente il tiro contro l’Europa, dicendo che se Bruxelles boccerà la manovra, lui se ne frega. Stranamente, nelle stesse ore un rinsavito ministro del Lavoro sottolineava come non ci fosse invece alcuna intenzione di arrivare a uno scontro con le autorità europee, tipico atteggiamento di chi sa che ha tirato troppo la corda a livello di propaganda e ora deve darsi una bella regolata. Per il semplice fatto che il tempo degli annunci spot è finito: già ieri il ministro Tria era a rapporto dai Commissari Ue (preparatevi, il giochino del poliziotto buono e quello cattivo sui nostri conti, andrà avanti strumentalmente per un po’) e la stessa Confindustria si è resa conto di aver esagerato, nella figura del suo presidente, Vincenzo Boccia, lasciandosi andare a quell’endorsement così pacchiano della Lega (leggi del pragmatismo sui conti di Giorgetti) in chiave non certo anti-Pd (il buon Calenda ha un po’ troppa considerazione di se stesso, rispetto alla realtà, gli inglesi direbbero che si tratta di qualcuno che punches above his weight), bensì anti-grillina, intesa come bocciatura del reddito di cittadinanza e dei suoi 10 miliardi di stanziamento. 

Guarda caso, con tempismo che più perfetto non si può, salta fuori un altro audio dei quell’Alaistar Campbell dei poveri di Rocco Casalino, il quale dopo aver minacciato strame dei tecnici del Mef, questa volta la fa davvero grossa. Perché a fronte della sfilata governativa ai funerali delle vittime del Ponte Morandi a Genova, il nostro si lamentava con i giornalisti del fatto che il crollo gli avesse già fatto saltare i piani per il Ferragosto e che questo lo avesse stressato a sufficienza. Attenzione, i grillini campano di demagogia e populismo allo stato puro, campano di gente talmente esasperata dalla vecchia politica da credere a tutto: ma proprio per questo, se le minacce ai burocrati ministeriali sono quasi una medaglia da appuntarsi sul petto, mancare di rispetto ai morti di Genova potrebbe rivelarsi una bruttissima gatta da pelare, per chi si vanta di aver dato vita alla “manovra del popolo”. E, questione tutt’altro che collaterale, trattasi in maniera palese di un calcio negli stinchi non da poco anche a Giuseppe Conte, dopo la sua difesa a oltranza e la conferma della fiducia totale nello stesso Casalino dopo il primo audio incriminato finito sui giornali. Tu guarda, proprio ora. 

E pensate che il mercato non abbia soppesato tutto questo ieri, quando ha cancellato i rossi di venerdì e portato Piazza Affari a essere la migliore d’Europa in mattinata? E che non abbia soppesato il pesantissimo, ancorché come sempre misurato nei toni, intervento sulla necessità della stabilità dei conti – sancita dalla Costituzione – fatto dal presidente Mattarella, a mercati chiusi? Il mercato sa essere Pavlov, ma sa essere anche scacchista: un concetto però troppo complesso per i Cinque Stelle. Di quel Def, diventerà realtà un quarto. Forse meno. E tutto in direzione molto establishment, come ha tradito l’uscita improvvida nei toni e nei tempi di Confindustria. 

Pensate che conti Tria? O Savona con i suoi piani B? Conta solo Giorgetti. L’unico che il Quirinale ascolta e l’unico che, soprattutto, chiama Draghi per nome, dandogli del tu. Eh già, perché da ieri la Bce compra solo 15 miliardi al mese di debito sovrano, la metà rispetto a settembre. E solo per altri tre mesi, poi il Qe sarà finito. Non è vero, ve lo dico fin da ora, ma, formalmente, noi dobbiamo ancora ragionare solo in base all’ufficialità. Lo spread ieri mattina è rimasto a livello interlocutorio, in leggero rialzo dai 267 punti base della chiusura di venerdì, ma non oltre quota 280: sintomo che si attende. Cosa, che la manovra prenda forma, come una farfalla che nasce dal bozzolo del Def? No, si attende di capire il destino del governo tedesco, oggi come non mai in bilico. 

La scorsa settimana, infatti, con voto di sfiducia a sorpresa e senza precedenti, il potente capogruppo della Cdu al Bundestag, uomo di fiducia e fedelissimo della Merkel, è stato bocciato e sostituito da un esponente dell’opposizione interna alla Cancelliera. Segnale pesantissimo politicamente, non fosse altro perché fra due domeniche si vota in Baviera, con Alternative fur Deutschland in continua e costante ascesa. E con l’Spd che comincia a fare i conti e soppesare seriamente pro e contro della sua alleanza a Berlino con una Cancelliera che ormai pare avviata, a passi sempre più rapidi, sul viale del tramonto politico. Il tutto, mentre le voci di una fusione obbligata fra Deutsche Bank e Commerzbank si fanno sempre più insistenti, un combinato devastante per il peso politico e la reputazione di caposaldo della stabilità europea della Germania: i due principali istituti bancari, uno dei quali già salvato dalla Stato, costretti a fondersi per stare a galla, probabilmente nel pieno di una crisi politica senza precedenti al Bundestag. 

Avete idea cosa accadrebbe sui mercati? Due cose: primo, un rischio immediato per il nostro spread, nonostante l’instabilità tedesca dovrebbe formalmente aggravare il rischio Paese di Berlino, venendo incontro al nostro differenziale. E invece no, perché questa tabella ci mostra come Commerzbank – stando a dati Bce del giugno 2017 – avesse in pancia circa 10 miliardi di euro di controvalore in Btp. Mettiamo anche che sia scesa, nel frattempo, a 8. Anche a 7. Addirittura, abbia dimezzato, a 5 miliardi. Se devi fonderti con Deutsche Bank e vuoi essere credibile, al netto del danno reputazionale già occorso per entrambi gli istituti, il bilancio fa ripulito: e quale assets scaricare, al netto del circo Barnum messo in piedi dai 5 Stelle al Governo, se non il debito italiano sempre più soggetto a pericolose oscillazioni politiche e strutturali (vedi i 325 miliardi di debito detenuto dalla nostre banche al maggio scorso, oggi ormai in area 380)? 

 

Anche perché, così facendo, si sposta l’attenzione altrove o, quantomeno, si generalizza una crisi che invece rischia di avere come epicentro Berlino e fare danni enormi in patria, prima che nell’intera eurozona, proprio mentre manifattura e siderurgia già pagano a livello di export i dazi Usa. E, state certi che di questa evenienza, a Parigi nessuno piangerebbe. Una bella crisi dell’eurozona scatenata, udite udite, nientemeno che dalla Germania? E perché no, se serve che la Bce vada avanti a salvare la ghirba a tutti, aziende francesi e tedesche in testa? E con una crisi in atto, pensate che le ricette da Dottor Stranamore in ambito economico dei 5 Stelle reggeranno alla pressione dei mercati e del Palazzo? A quel punto, il rischio che la compagine di Di Maio si sfili, onde evitare di perdere ulteriore consenso elettorale, si farebbe alto. 

Ed ecco che potrebbe nascere un altro Governo, con la Lega “neutrale” a rappresentare maggioritariamente le istanze di centrodestra ma con un equilibrio europeista garantito dal Colle. D’altronde, a maggio ci sono le europee, chi ha voglia di fare salti nel buio? E poi, signori, c’è la partita delle partita da portare a termine, sempre e comunque lontano dai riflettori, come già sta accadendo: Generali. E sapete, dopo l’uscita strategica di Bollorè, chi è in testa nella corsa al controllo de facto del Leone di Trieste, la vera cassaforte del Paese? Caltagirone, un vero outsider! Ma anche i Benetton, gli stessi di Autostrade e del Ponte Morandi, gli stessi che i 5 Stelle vi dicono di voler punire, togliendo la concessione ed estromettendo dalla ricostruzione ma contro cui non emettono un fiato, quando c’è da scalare il nodo strategico dell’intero Paese, sistema bancario e controllo del debito in testa. 

Questo weekend ha detto molto di quanto accadrà, pur non avendo ufficialmente detto quasi nulla. E, sinceramente, mi sento più tranquillo. Non molto, anzi, perché una crisi sistemica tedesca è ciò che vogliono gli Usa e la Cina per tramutarci in terreno di conquista definitivo. Ma un pochino più tranquillo, sì. Cacciare i 5 Stelle dalle stanze in cui possono fare danni anche solo respirando è prioritario, per una ragione semplice: loro, come Conte, non stanno ai patti. Ovvero, non si limitano a recitare il ruolo in commedia che questo Governo doveva avere, ovvero camera di compensazione per la grande riappacificazione fra opinione pubblica/elettorato e politica tradizionale. Ci hanno presso gusto e vogliono recitare a soggetto. Pessima idea. In tal senso, audio di Rocco Casalino a parte, vi pare un caso che sempre ieri il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, abbia dato annuncio dell’ufficializzazione da parte del Coni della candidatura di Milano e Cortina per le Olimpiadi invernali 2026, di fatto due Regioni a guida leghista/centrodestra e dopo aver “fatto fuori” la Torino grillina di Chiara Appendino? 

Dai, su, è talmente semplice che è quasi scontato. Tanto poi, piaccia o meno, le cose davvero serie dipenderanno tutte da Mario Draghi. Il resto, è contorno. Nel caso dei grillini, addirittura folklore. 





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