ACCORDO M5S-LEGA/ Nomi, conti, Europa: Di Maio e Salvini rischiano il baratro

- int. Francesco Forte

La pretesa di avere un presidente del Consiglio semplice esecutore del programma è anticostituzionale, avverte FRANCESCO FORTE. E sui temi economici mancano figure autorevoli e competenti

matteo_salvini_luigi_dimaio_lega_m5s_governo_lapresse_2018 Luigi Di Maio e Matteo Salvini (LaPresse)

Dopo il nulla di fatto, lunedì, dei colloqui con il presidente Mattarella, a cui è stato chiesto altro tempo, ieri sono ripresi alla Camera gli incontri tecnici tra le delegazioni di Movimento 5 Stelle e Lega per provare a completare l’accordo di programma per il governo del cambiamento. A dividere le due forze sono temi chiave come Europa, immigrati, giustizia e infrastrutture. E a complicare il quadro sono arrivati i richiami della Ue affinchè l’Italia non cambi linea su conti pubblici e migranti. Tra Cinque stelle e Lega, poi, non c’è ancora l’intesa sul nome del possibile candidato alla poltrona di presidente del Consiglio da proporre al Capo dello Stato. Insomma, a quasi 80 giorni dal voto del 4 marzo la matassa sembra ancora più ingarbugliata. Anzi, secondo Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, “questo governo del cambiamento sta precipitando in un baratro ancor prima di nascere”.

M5s e Lega continuano a dire che di nomi non si parla, finchè non si è completato l’accordo di programma…

Il problema è che non hanno il nome giusto, accettabile, rispetto ai tre requisiti richiesti da Mattarella: nessuna concessione a modifiche su bilancio europeo, trattati Ue e politiche internazionali. Una posizione riaffermata dal capo dello Stato nelle due visite, sabato, a Dogliani, dove ha ribadito la linea di Einaudi sulle prerogative presidenziali, e domenica al raduno nazionale degli alpini a Trento, con la quale ha simbolicamente ricordato l’appartenenza dell’Italia all’Occidente e all’Alleanza atlantica.

Con Salvini e Di Maio al governo che cosa può succedere?

Il M5s, che pure si è affrettato negli ultimi tempi a fornire garanzie atlantiste, e la Lega, che si è spostata troppo su posizioni filorusse, sono formazioni “pacifiste”, nel senso che mai manderebbero le nostre Forze armate nelle missioni internazionali di pace dove ci sono teatri di guerra. Un pacifismo, insomma, deresponsabile e rinunciatario. E poi Salvini ha idee chiare sulla sicurezza nazionale, mentre la sua politica estera mi sembra alquanto misteriosa.

A questo punto, cosa dobbiamo aspettarci?

Premesso che Salvini, che vuole una cosa, e Di Maio, che ne vuole un’altra, hanno finora perso tempo pensando soprattutto a compiacere il proprio elettorato, Mattarella ha una sua linea, consapevole che mettere insieme due che possono fare disastri è un’operazione fragile, che rischia di non durare. Secondo me, in questo momento più che una figura di mediazione, alla Leone, ci vorrebbe un tipo alla Fanfani, un presidente del Consiglio che comanda. Non abbiamo certo bisogno di un presidente balneare.

Tocca al presidente del Consiglio proporre i nomi degli altri ministri…

Pensi solo al ministero dell’Economia: M5s e Lega non hanno nessuno con competenze economiche e l’esperienza necessaria per occuparsi di conti pubblici. Serve gente autorevole, che sappia discutere con la Commissione, con la Bce. Il M5s ha stilato prima delle elezioni una lista, assurda, di possibili ministri e non hanno tecnici d’area; la Lega, invece, potrebbe averli ma solo se si sposta su Forza Italia, cioè su figure di ispirazione liberale moderata e competente. Ignazio Visco, l’attuale governatore di Banca d’Italia, sarebbe un ministro vero, ma solo Mattarella può indicare un nome così, non certo Cinque stelle e Lega.

Di Maio e Salvini sono divisi anche sui temi: Europa, giustizia, infrastrutture. Temi delicati e decisivi, non le pare?

Certo, è una divisione molto evidente. Ma l’aspetto che più li divide da Mattarella è il fatto assurdo che sia Di Maio che Salvini vogliono un premier semplicemente esecutore, così che i due capi, e nel caso di Di Maio con un Casaleggio dietro, possano disporre a proprio piacimento dei comportamenti del presidente del Consiglio, di fatto succube dei due vicepremier. E questo è profondamente anticostituzionale, in una democrazia parlamentare. Qui siamo a una specie di democrazia popolare, una sorta di neo-comunismo dove c’è un partito-guida. Una pretesa inaccettabile.

Lo si è visto anche con la candidatura, poi bruciata, di Giulio Sapelli?

Giustamente Sapelli ha chiesto di poter scegliere i ministri, era il minimo che potesse fare, ma evidentemente non era cosa gradita. Così i possibili candidati di serie A vengono scartati perché considerati troppo autonomi e quelli di serie B restano nomi che non hanno senso, se pensiamo che dovranno andare a occupare caselle importanti come i dicasteri di Economia, Difesa, Esteri o Attività produttive. Non si può pretendere che il presidente del Consiglio sia eterogestito.

Qual è la sua previsione?

Che questo governo del cambiamento sta precipitando in un baratro ancor prima di nascere. E anche qualora dovesse trovare una quadra sui temi oggi divisivi, dopo poco tempo il Paese si troverebbe in una situazione caotica, simile a quella della Grecia e con lo spread alle stelle. In Grecia i problemi erano veramente difficili da risolvere, visto che era entrata nell’euro senza avere i requisiti necessari, in Italia si fa tanta demogogia, chiedendo aumenti della spesa e riduzione di tasse, altro che flat tax!

Ci sarebbero infatti seri problemi di coperture?

Si è parlato anche di un condono, che non sarebbe disprezzabile, a patto però che serva a sanare precedenti leggi sbagliate e a dar vita a una nuova politica tributaria, come a suo tempo facemmo io e Formica, quando varammo un condono fiscale ma introducendo i registratori di cassa e le ritenute alla fonte. Oggi invece M5s e Lega propongono solo di ridurre le aliquote.

Ma Di Maio ha detto che c’è l’accordo per introdurre la pena del carcere contro gli evasori. Che ne pensa?

È una stupidaggine, non esiste una cosa del genere in nessun Paese d’Europa. È pura demagogia in un Paese dove l’evasione è molto diffusa ed è un concetto molto labile, creerebbe un rapporto squilibrato tra fisco e contribuente. Il pagamento delle tasse è un contratto e se uno viene meno a questo contratto gli si chiede di pagare una sanzione, non lo si manda in galera. Verrebbe meno il principio di Beccaria sulla certezza della pena, perché in carcere ci finirebbe solo qualcuno pescato a caso. Ricorrere alla ghigliottina per far rispettare le regole è sbagliato, bisogna puntare sull’efficienza della macchina operativa. E poi è un principio di difficile applicazione: in una Spa chi è il responsabile? E se i responsabili sono più di uno si prefigura il reato di associazione a delinquere? E se uno si dimentica di pagare? Qual è il livello di evasione in cui può scattare il processo penale? Ricorrere a un’attività giudiziaria crudele peggiora la situazione, è una scelta da bamboccioni. Anche perché le soluzioni per contrastare l’evasione fiscale non mancano, dagli schedari elettronici all’adozione delle cedolari secche. Bisogna trovare soluzioni praticabili, non rimedi grotteschi.

Perché i tedeschi possono opporsi agli Eurobond e noi non possiamo dire no alle politiche di austerità? Che cosa dovremmo offrire in cambio, come garanzia che abbiamo intenzione di fare sul serio per rimettere i conti in ordine?

La domanda mi sembra mal posta. Nella nostra Costituzione c’è l’articolo 81 che stabilisce il principio del pareggio di bilancio, salvo correzione del ciclo, che comunque non durerà ancora a lungo. Non possiamo cambiare regole che sono contrarie alla nostra Costituzione. E ammettendo anche che queste regole stringenti non ci siano, avendo un debito vicino al 132%, destinato a crescere più che a calare come confermato ieri dalla Banca d’Italia, e avendo politiche di bilancio non del tutto sotto controllo, i mercati venderebbero subito i titoli di Stato italiani. I comportamenti dei mercati contano. La Germania, con bilanci in ordine e un forte avanzo, può chiedere di non avere gli Eurobond, mentre noi li chiediamo per dare un po’ del nostro debito agli altri. Gli Eurobond, comunque, sono uno strumento di cui diffido, perché mettendo insieme debiti diversi, da quelli del Portogallo a quelli della Francia, chi li compra in realtà acquista un derivato, uno strumento finanziario difficile da gestire e che può dare origine a bolle.

Se il tentativo di M5s e Lega di arrivare a un governo dovesse fallire, cosa dovrebbe fare Mattarella?

Una volta appurato che il governo non si riesce a formare, Mattarella deve seguire le regole che ha seguito finora, stabilendo paletti precisi su esteri, politiche europee e difesa, utilizzando i suoi poteri rispetto a programmi che non hanno coperture adeguate e certe. Mattarella, a quel punto, dovrebbe indicare un suo governo, transitorio, di durata annuale, con il compito di risolvere i problemi più urgenti e di realizzare le misure necessarie per mettere a posto il Paese, dalle scelte di politica estera alle infrastrutture. Se questo governo non avrà la fiducia del Parlamento, allora che si torni alle urne, anche se sarebbe meglio evitare nuove elezioni, perché fanno male al Paese. E con questa legge elettorale a vincere non potrebbe che essere la coalizione di centrodestra.

(Marco Biscella)





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