SPY FINANZA/ Usa, Cina e le guerre pronte a farci pagare il conto

- Mauro Bottarelli

Usa e Cina continuano a minacciarsi e Washington ha anche nel mirino l'Iran. Una situazione che rischia di presentare il conto anche all'Italia. MAURO BOTTARELLI

donald_trump_6_bandiera_lapresse_2017 Donald Trump (Lapresse)

Sono tempi di enorme confusione, tempi di equilibri che mutano più in fretta dell’umore di una 14enne alla prima cotta. E sono tempi pericolosi, per chi pensa di poterli cavalcare da guerriero senza macchia e senza paura. Occorre mediare, prima di tutto all’interno della propria realtà. Questo perché in tempi confusi come questi tutto può accadere e tutto è lecito, ma non mandare un segnale di debolezza e disunione all’esterno: sanguinare nella vasca degli squali, equivale a morire. È l’istinto del mercato. E quella del mercato, in questo momento, è l’unica legge esistente. 

Guardate questo grafico, il quale ci mostra cosa stia accadendo sotto il mitologico pelo dell’acqua: lungi dall’essere reale la guerra commerciale a colpi di dazi, la quale giova sempre ricordare che è in atto semplicemente per mettere alle corde il terzo incomodo nella spartizione delle quote di mercato, leggi l’Europa, Cina e Usa se le stanno dando di santa ragione a livello monetario. E l’America, attraverso le agenzie di stampa e i media, colpisce come può: ovvero, cercando di svelare al mondo la manipolazione in atto sullo yuan da parte della Pboc, sperando forse in un coro globale di sdegno che porti a un isolamento di Pechino. 

 

Ma come è possibile? Come può Washington chiedere all’Europa che ha messo nel mirino (prossima tappa, i dazi sulle automobili) di schierarsi contro la Cina, di fatto suicidandosi del tutto? E come può Washington attaccare davvero Pechino, stante la quantità di debito Usa che ancora detiene come arma di deterrenza? E la questione tocca vari ambiti: certo, la valuta. Certo, il commercio. Ma come la mettiamo con la campagna anti-iraniana fatta partire da una settimana dal Dipartimento di Stato, stranamente in contemporanea con le nuove (per ora molto ridotte) rivolte in atto a Teheran e in altre città contro il caro-vita, replay di quanto accaduto a fine anno scorso? È un diabolico gioco di incastri di interessi: gli Usa hanno annunciato l’addio alla Siria da parte dei loro militari, di fatto sancendo la vittoria russa in quello scenario geo-politicamente così strategico proprio alla vigilia dello storico incontro fra Trump e Putin a Helsinki il 15 luglio. Ma c’è un prezzo da pagare: Mosca deve scaricare Teheran, l’altro grande vincitore della battaglia al fianco di Assad. Il quale, stranamente, per John Bolton, vero stratega Usa e signore della guerra vecchio stile, non deve più andarsene obbligatoriamente dal potere. Può restare a Damasco, la priorità è che se ne vadano gli iraniani dalla Siria. 

E il petrolio? Avete visto le quotazioni lunedì, dopo che Donald Trump ha chiesto all’Arabia Saudita di pompare ancora di più per la seconda volta in cinque giorni? A picco. Occorre strangolare Teheran e colpire l’export petrolifero è l’arma chiave, insieme alle sanzioni: pensate che, al netto della missione siriana, alla Russia – la quale sta in piedi unicamente grazie alle risorse energetiche che il buon Dio le ha donato – dispiaccia che il terzo produttore Opec produca ed esporti di meno? E chi ha investito più di tutti, in ogni comparto industriale possibile, in Iran? La Cina. Colpire Teheran è colpire un proxy, così come incenerire lo Yemen nel silenzio complice del mondo è colpire un proxy: siamo nell’epoca delle guerre asimmetriche, silenziose e per procura. Le quali, però, per quanto apparentemente evolute a livello di strategia, reclamano ancora vite innocenti per essere combattute. Alcune vanno sui giornali e aprono le edizioni dei tg, altre no. Sono meno mediatiche. 

E tornando al petrolio, avete visto ieri invece? Boom al rialzo, sopra quota 75 dollari al barile, massimo dal 2014. Che dite, pensate che nessuno abbia operato sui futures in queste ore, avvantaggiandosi di queste montagne russe politiche, di cui ovviamente è al corrente perché parte integrante del sistema (come piazzerebbe altrimenti il suo debito Washington senza i cosiddetti Primarry dealers, le banche d’affari e i fondi come Citadel?)? E fin qui ho parlato soltanto del grande scontro in atto, quello epocale, quello che ora sta muovendo solo i passi prodromici, ovvero quello per l’egemonia economico-militare globale fra Usa e Cina. C’è poi l’altro fronte, quello della nuova crisi finanziaria in arrivo. Chi si prenderà la responsabilità per questo nuovo 2008? Ma, soprattutto, chi verrà sacrificato e a quale prezzo per tutti gli altri? 

Per farvi capire cosa sta per venirci addosso, mi limito a mettere in fila dei dati relativi alla situazione mondiale da inizio anno. Bitcoin ha registrato il peggior andamento nel primo semestre da sempre, le banche tedesche sono ai minimi dal 1988, lo yuan onshore ha vissuto il peggior trimestre dal 1994, il peso argentino il peggior inizio anno dal 2002 e le condizioni finanziarie negli Usa sono a livelli di contrazione per il primo semestre che non si vedevano anch’esse dal 2002. E ancora: le banche di importanze sistemica hanno vissuto il peggior inizio anno dal 2008, i titoli azionari a livello globale dal 2010, quelli cinesi pure, mentre quelli tedeschi (in termini denominati in dollari) anche. I dati macro a livello globale non erano così deludenti dal 2012, i mercati emergenti, l’oro e l’argento sono ai minimi dal 2013 come performance a sei mesi, mentre le obbligazioni ad alto rendimento sono ai minimi dal 2013. Infine, i bond a livello globale non conoscevano un inizio anno peggiore dal 2015, lo yuan offshore pure (per l’esattezza dall’agosto di tre anni fa) e la curva dei rendimenti dei Treasuries è in calo da 16 degli ultimi 18 trimestri. Questo è il mondo che vedono, tutti i santi giorni, gli operatori del mercato. Quelli che per lavoro, trattano i loro e i vostri soldi. Ovvero, vedono soltanto segnali negativi che però subiscono quotidianamente il trattamento che si applica ai muri colpiti dalla muffa e dalle macchie di umidità: una bella mano di bianco, in questo caso bianco nella tonalità Banca centrale. 

Ora, però, se davvero la Bce interrompe il programma di acquisto, per quanto possa continuare a reinvestire i bond in detenzione, operando addirittura swap fra breve e lunga durata, così da comprimere ancora per un po’ indirettamente i rendimenti, l’intero giochino rischia di grippare. Perché la Fed ha potuto vendere al mondo l’illusione della ripresa globale soltanto per un motivo: avendo Bank of Japan e Bce in modalità Qe e la Pboc che in cambio della svalutazione monetaria dello yuan garantiva impulso creditizio, il rialzo dei tassi finora operato nemmeno si era avvertito sui mercati. Quando ha cominciato a inviare tremori, partendo ovviamente dai mercati emergenti enormemente indebitati in dollari? Quando la Pboc ha cominciato a operare in modalità espansiva ma solo a livello interno con il taglio dei requisiti di riserva delle banche vincolati al loro uso domestico, quando la Bce ha cominciato a parlare di taper avanzando delle date, ma, soprattutto, quando non si vedeva all’orizzonte l’incidente in attesa di accadere che tutti avevano prezzato come casus belli per continuare (o ricominciare) a stampare: questo perché la narrativa è cambiata, perché Trump ha cominciato a inviare segnali politici sempre più ondivaghi e indecifrabili. 

Questo perché, esattamente come quella con la Cina a livello monetario, a Washington è in corso una guerra sotterranea e silenziosa fra Deep State, Pentagono e Casa Bianca. Conflitto che, non a caso, ogni giorno fa cambiare bersaglio e nemico di turno: prima la Corea del Nord era il diavolo, poi ci si incontra e si diventa migliori amici e ora, ecco che la Cia scopre come Pyongyang stia mentendo e arricchendo di nascosto l’uranio. Insomma, c’è chi vuole puntare tutto sul regime change in Corea per avvicinare e testare la reazione della Cina e chi invece puntare il bersaglio grosso e storico dei neo-con, ovvero abbattere il regime degli ayatollah in Iran, missione che vedrebbe ben felici di cooperare due alleati storici come Israele e Arabia Saudita. 

È un mondo completamente impazzito, continuamente in evoluzione e pericolosamente diviso per comparti di interesse specifico: il tutto, con all’orizzonte una crisi che appare sempre più ineludibile e che in qualche modo va prima coperta e nascosta fino all’ultimo all’opinione pubblica e poi tamponata e scaricata su qualcun altro. 

E l’Italia cosa fa, come si comporta in questo scenario da armageddon? Come un bullo da bar, spericolata e senza un minimo di guida e diplomazia reale. Perché il quadro in cui temere il nostro isolamento non è quello del fronte migranti, ma quello di un reset globale degli equilibri che ci trovi, come siamo ora, sempre fuori posto e fuori tempo. E mi pare che, al netto delle polemiche strumentali e da cortile, nessuno – nemmeno la cosiddetta borghesia illuminata e i suoi referenti politici e culturali – lo stia capendo. Grave errore. E grave rischio, perché senza classe dirigente non saremmo usciti vivi dal 1992. Ma allora c’erano, in un modo o nell’altro, ancora i partiti e le ideologie. Oggi siamo nella società liquida e social. E ne pagheremo in fretta il conto, dopo che qualcuno ci ha anche venduto la bugia accessoria della vittoria epocale del popolo contro le élites. 





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