IL CASO/ La “fabbrica” di ricchezza per generare ripresa

- Mauro Artibani

Continua a esserci sovrapproduzione di merci, cosa che dimostra come la ricchezza non sia creata dal produrre, ma dal consumare, spiega MAURO ARTIBANI

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Ogni anno, stima The Boston Consulting Group, nel mondo si buttano via circa 1,6 miliardi di tonnellate di cibo per un valore di 1.200 miliardi di dollari. Un terzo della produzione globale. Se accumulato, il cibo che finisce nella spazzatura occuperebbe un’area dieci volte più grande di Manhattan. Et voilà, l’economia d’oggi sta in quel luogo geografico dove hanno più bisogno le imprese di vendere che i consumatori di acquistare, abitato da aziende affette da congenita sovraccapacità produttiva e da gente satolla e affrancata dal bisogno. Un posto dove, per rimediare a questo squilibrio, si insufflano anabolizzanti in grado di dar sostegno alla domanda.

Già, a cosa servirebbero altrimenti le politiche monetarie e quelle fiscali? E la moda? E l’usa e getta? E il credito al consumo? Finanche la pubblicità e il marketing? Giust’appunto “atti” che danno sostegno alla spesa per non far scendere i prezzi. Sì, tutto questo si mostra dentro i confini del mondo sviluppato dove ancora detta legge un vecchio paradigma “le imprese generano la ricchezza”.

Balle! Sì, balle perché se nel produrre sta la condizione necessaria per generare quella ricchezza, risulta niente affatto sufficiente se quel produrre, divenuto merce, resta invenduto. Frutta e verdura marciscono, la moda passa di moda, il latte in magazzino caglia, l’auto sul piazzale del concessionario arrugginisce. Altro che ricchezza, ci si impoverisce!

Non paghi della balla, fanno pure del Pil menzogna. Sì, nel grande testo che misura la crescita, in copertina sta scritto Prodotto interno lordo: il valore di mercato di tutti i beni e servizi finali prodotti in un paese in un dato periodo di tempo. Bella la balla no? Sì perché nelle pagine interne, dove la ricchezza generata tocca misurarla, è un tutt’altro dire; qui si recita invece il consumo aggregato: Y = C + I + G + X . Altro che produzione. Dove invece quella produzione figura, a mio avviso, in modo improprio nella variazione delle scorte (scorte appunto, prodotte ma non ancora vendute), tutto il resto è spesa. Sì, spesa dove, quelli satolli di prima, ne fanno i due terzi; tutti gli altri – la spesa per gli investimenti delle imprese e la spesa pubblica – solo il misero terzo.

Ciò detto tocca andare oltre la dannazione di quel vecchio paradigma. Sì, la crescita si fa con la spesa, non con la produzione; così viene generata ricchezza e smaltito il prodotto. Ricchezza che viene incassata dalle imprese e trasferita ai soggetti economici. Un consiglio ai trasferenti: alla gente, prima ancor d’esser satolla, tocca esser stata prodiga; ancor prima avere un’adeguata parte di quel trasferimento in tasca da spendere.

Già, e tutti quegli sprechi di cibo? Beh quei satolli, se adeguatamente remunerati, avranno tutto l’interesse a far domanda nuova, magari cercando proprio beni dei quali son digiuni. Suvvia, fa bene a tutti: a chi produce, a chi lavora; pure a un ambiente magari così meno puzzolente.







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