La vera simpatia

- Pierluigi Colognesi

Di fronte ad avvenimenti sorprendenti e di portata eccezionale emerge con chiarezza la predisposizione con cui affrontiamo anche la normalità di tutto quello che ci capita. PIGI COLOGNESI

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Papa Benedetto XVI (InfoPhoto)

Di fronte ad avvenimenti sorprendenti e di portata eccezionale emerge con chiarezza la predisposizione con cui affrontiamo anche la normalità di tutto quello che ci capita. È stato evidente di fronte all’annunzio di Benedetto XVI di settimana scorsa. Basta scorrere le interpretazioni apparse sulla stampa o ripensare alle conversazioni a riguardo cui abbiamo potuto partecipare. Viene subito in mente la parola «banalizzazione». Un’ondata di osservazioni insulse si è riversata davanti a noi. Non mi riferisco solo alle facezie o alle battute più o meno volgari, ma al fatto che la gran parte di questi commenti rimpicciolivano insopportabilmente l’evento accaduto al microscopico orizzonte del commentatore. C’è stato persino chi ha usato la campagna elettorale in Italia, un paese piuttosto marginale di un continente non tanto grande e in crisi, come lente per giudicare di un avvenimento che ha spessore universale. Colpisce il fatto che, nonostante l’attimo di stupore che avrebbe dovuto sospendere la giostra delle interpretazioni per chiedersi: «Di cosa si tratta?», si sia subito passati a sparare pareri in base a quello che si sa già, utilizzando criteri e misure del campicello mentale in cui ci si trova a proprio agio. Banalità, appunto; e infatti questa parola indica ciò che è comunemente noto a tutto il villaggio, e poco importa che il villaggio in questione sia quello globale della rete.

Un’altra serie di commenti ha cercato di indagare le cause «nascoste» del gesto papale; ovviamente senza neppure prendere seriamente in considerazione quelle esplicitamente dichiarate. Si è subito diffuso il facile schema di una governance – il termine inglese fa molto chic – ecclesiastica rissosa e inconcludente e di un Papa incapace di porvi alcun rimedio, fino ad arrivare alle dimissioni. Non sto a discutere adesso questa lettura, voglio solo evidenziare che è la tesi che gli stessi commentatori sostenevano «prima» del fatto che stanno commentando: lo sapevano già, il fatto serve solo a confermarli nel proprio schema. Nessun sussulto di novità, nessun desiderio di mettersi in discussione a partire dal fatto imprevedibile, nessuna disponibilità ad allargare il proprio punto di vista.

Introducendo il suo primo libro su Gesù di Nazaret Joseph Ratzinger/Benedetto XVI aveva detto che quello, come i due che sarebbero seguiti, era un testo in cui lui riassumeva e presentava la sua «personale ricerca del volto del Signore» e aggiungeva di essere ben disposto a discutere le critiche che gli sarebbero state mosse. Chiedeva però ai suoi lettori un ben determinato atteggiamento «senza del quale non c’è alcuna comprensione». 

Si noti bene: non chiede questo atteggiamento perché si sia aprioristicamente d’accordo con lui, ma perché si possa comprendere; è una dinamica che riguarda tutto: comprendere un libro, comprendere quello che ci viene detto quotidianamente, comprendere un fatto come le dimissioni di un Papa. Questo atteggiamento è un «anticipo di simpatia». I commenti che ho sentiti veri – ce ne sono stati, per fortuna – sono quelli in cui era evidente questa predisposizione che si immedesima con quello che capita, che per un attimo dimentica ciò che sa per patire insieme – questo significa simpatia – all’altro, che mette in campo la propria esperienza affinché sia arricchita dalla novità. L’esatto contrario della banalità.



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