Popolari venete, Gentiloni vince in trasferta

- Gianni Credit

Il salvataggio delle Popolari venete ha pagato i costi dei ritardi imposti dalla rigidità di normative ed authority Ue: ma l’Italia è riuscita a tenere la sua linea. GIANNI CREDIT

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Paolo Gentiloni (LaPresse)

Il salvataggio delle Popolari venete è un successo o una sconfitta? E per chi? Da tre giorni commentatori e opinione pubblica si confrontano e dividono: non solo in Italia. Nel sistema-Paese gli oggetti del contendere sono essenzialmente due: la “liquidazione ordinata” di Popolare di Vicenza e Veneto Banca presso Intesa Sanpaolo con ingenti aiuti pubblici era “senza alternative”? E Intesa si è fatta carico di una crisi gravissima a sostegno del l’intero sistema oppure ha ricevuto un grosso “regalo”?

I protagonisti dell’operazione – dal premier Gentiloni, al ministro Padoan, all’amministratore delegato di Intesa Messina, al vicedirettore generale della Banca d’Italia Panetta – si sono sgolati all’unisono: l’emergenza era drammatica, la soluzione obbligata, Intesa ha potuto offrire (unico gruppo italiano o estero) la sua solidità per mettere in sicurezza le Popolari venete con beneficio immediato per la stabilità e la fiducia nell’intero sistema, con attese di propria profittabilità futura proporzionale al successo della ristrutturazione. Lo Stato, dal canto suo, utilizza parte dei 20 miliardi pubblici stanziati a fine 2016 per la crisi bancaria: una cifra ancora contenuto rispetto ai quasi 800 miliardi di aiuti pubblici bancari spesi dai governi europei dal 2008 in poi. E il Tesoro non esclude di poter recuperarne almeno una parte attraverso la sulla scia di altri salvataggi pubblici (primo fra tutti quello Usa dopo il 2008: quando il Tesoro americano comprò dalle banche in dissesto centinaia di miliardi titoli tossici illiquidi che poi vennero gradualmente smaltiti).

E’ una ricostruzione per larga parte condivisibile, anche se alcune sottolineature rimangono d’obbligo. La prima e più importante: la crisi delle Popolari venete (come quella di Mps, Carige, Etruria, etc.) era conclamata da anni, era stata oggetto di ripetute verifiche della vigilanza nazionale e poi della Bce, nonché di numerose indagini giudiziarie. Era entrata in “zona rossa” più di un anno fa, quando entrambe le ricapitalizzazioni richieste dalla Bce erano andate a vuoto e si era reso necessario l’intervento di Atlante. Il fondo salva-credito costruito in fretta e furia con contributi di banche, assicurazioni, fondazioni e Cdp ha visto nel frattempo azzerata in dodici mesi un’iniezione superiore ai 4 miliardi.

L’emergenza-Popolari, nel giugno 2017, andava certamente estinta senza più indugi e l’Azienda-Italia lo ha fatto: Intesa Sanpaolo si è presentata all’appello e la Borsa non neppure alzato un sopracciglio, apprezzando invece il congelamento del focolaio di crisi sistemica. Quest’ultima, sicuramente, poteva e doveva essere affrontata molto prima, con costi minori, probabilmente senza ricorso ad aiuti pubblici. Il perché le autorità monetarie nazionali e lo stessa sistema bancario abbiano lasciato marcire la crisi, bruciandovi nel frattempo risorse preziose, sarà un probabile argomento sul tavolo della commissione parlamentare d’inchiesta appena istituita.

Fra le molte cause di ritardi, rinvii e stalli è spiccata indubbiamente – all’esterno – anche la nuova normativa europea sui dissesti bancari (bail-in) in vigore da inizio 2016 ). E’ un fatto che sulla crisi delle Popolari venete sia maturato uno scontro politico-istituzionale di livello europeo. Da un lato quanti (governo tedesco e tecnocrazie Ue e Bce in primis) hanno insistito per dimostrare in modo esemplare la rigorosa praticabilità del nuovo modello di fallimento bancario pilotato, rigidamente al riparo da costi per il contribuente. Ma questa pretesa si è scontrata con la realtà di una crisi bancaria in cui l’applicazione di collaudo di regole studiate a tavolino ha subito mostrato limiti drammatici: fino all’ultimo braccio di ferro sulla necessità burocratica di un miliardo di capitali privati che il mercato non avrebbe mai potuto dare nella situazione creata dai burocrati stessi.

L’esito finale non è stato da poco: con un accorgimento legale imposto dai fatti, il salvataggio delle Popolari venete è stato varato disapplicando il bail-in e ricorrendo alle vecchie regole nazionali. Non ha sorpreso che il Financial Times – in clima di Brexit – abbia subito denunciato una seria messa in discussione dell’intera Unione Bancaria, cioé di una grande infrastruttura istituzionale della Ue. Ma è proprio su questo piano che l’italian job del governo Gentiloni ha prodotto un effetto politico reale – e positivo – laddove mille polemiche verbali fra paesi mediterranei e nordici non hanno mai fatto procedere di un passo l’aggiustamento reale dell’Unione europea e l’esigenza di ripensare la flessibilità economica come ritorno di un serio primato della politica.

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