Formigoni e il rilancio dell’università: aboliamo il valore legale della laurea

- int. Roberto Formigoni

L’abolizione del valore legale del titolo di studio e dei tetti massimi per le tasse universitarie tra le priorità indicate dal presidente della Regione Lombardia, e capolista al Senato per il Pdl, in un’intervista a ilsussidiario.net. L’esempio virtuoso del consorzio Nova Universitas, che inaugura domani l’attività per il 2008. Leggi l’estratto della relazione di PIERPAOLO DONATI (Università di Bologna) per il convegno di inaugurazione

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Il tema della riqualificazione del nostro sistema universitario si colloca tra le grandi urgenze del nostro Paese. Si tratta di una priorità sottolineata da più parti, sia perché la formazione culturale e scientifica dev’essere in sé tra i primi interessi di un Paese evoluto come il nostro, sia perché la crescita economica e produttiva di una nazione si fonda essenzialmente sull’alta qualità dell’istruzione e della formazione.
Un caso virtuoso di alta formazione che arriva dalle nostre università è, ad esempio, il consorzio Nova Universitas, che domani aprirà la propria attività per l’anno 2008, con un evento inaugurale che tratterà di verità e ricerca del sapere, come fondamento stesso dell’università, nonché di tematiche fondamentali per l’Italia, e soprattutto per lo sviluppo del Sud, come quello di una nuova concezione del welfare. Ci sono dunque esempi positivi da cui partire per concepire in modo nuovo il nostro sistema universitario. Un tema molto ampio, che ilsussidiario.net approfondisce in questa intervista esclusiva al presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni.

I risultati non brillanti delle università italiane sono sotto gli occhi di tutti. Da anni si parla della necessità di interventi radicali per innalzare la qualità della formazione superiore nel nostro Paese. Molti studiosi hanno avanzato proposte di riforma. Ma la politica è pronta a trasformarle in realtà?

L’esperienza maturata in questi anni in Lombardia, dove c’è un sistema universitario di dimensioni consistenti, mi ha convinto che è urgente “iniettare” più competizione in questo settore strategico. È questa la premessa per una crescita di qualità delle nostre Università. Occorre che il nuovo Parlamento affronti con decisione questo nodo decisivo per lo sviluppo del Paese.

Oggi il sistema universitario appare bloccato. Da dove ripartire?

Se dovessi riassumere il programma in una parola direi merito. Solo valorizzando i talenti e coltivando le eccellenze possiamo accrescere la competitività delle nostre Università e creare un sistema più giusto, che favorisca davvero i meritevoli, indipendentemente dalle condizioni economiche di partenza. Il problema però è che spesso si parla di merito, ma poi l’azione concreta è ispirata ad altri criteri, come nel caso delle immissioni in ruolo ope legis dei precari, senza alcuna procedura di valutazione.

Come trasformare il merito da slogan in azione?

La prima mossa da fare è abolire il valore legale del titolo di studio, decisione che in molti invocano ma che nessuno ha ancora avuto il coraggio di attuare. Infatti, senza cancellare questo vincolo è impossibile realizzare un intervento efficace e di ampio respiro sul sistema universitario. Perché dietro al pezzo di carta della laurea si nascondono molte inefficienze e la qualità diventa una chimera. Una volta caduta la maschera del valore legale, tutti sarebbero spinti a investire sulla qualità: gli atenei per attrarre studenti e le famiglie per garantirsi la formazione migliore. Ovviamente si tratta di un provvedimento che intaccherebbe molte rendite di posizione e quindi bisogna aspettarsi resistenze e tentativi di neutralizzare la novità introdotta. Le difficoltà che esistono, però, non ci devono scoraggiare né farci indietreggiare rispetto a questo passo rivoluzionario, che avrebbe conseguenze epocali per la nostra Università e per tutto il Paese. Solo incentivando la competizione tra i nostri atenei, infatti, accresceremo la qualità dell’istruzione e saremo in grado di competere a livello internazionale. Una sfida che non è più rimandabile: oggi siamo surclassati dalle università dei paesi anglosassoni, che non prevedono il controllo statale dei curricola e affidano la valutazione dei diplomi al mercato, non allo Stato.

L’abolizione del valore legale del titolo di studio non porterebbe alla proliferazione di attestati di dubbia credibilità?

Il rischio c’è soprattutto all’inizio, quando il mercato non ha ancora avuto il tempo di valutare l’effettiva qualità dei percorsi. Anche se non possiamo dimenticare che già oggi gli ordini professionali lamentano abusi e illegalità che non riescono a fronteggiare adeguatamente. Occorre studiare accuratamente le conseguenze di un provvedimento dall’impatto così rilevante sull’insieme del sistema legislativo italiano. Bisogna introdurre meccanismi di gradualità per l’applicazione della riforma, e pensare a sistemi come quello dell’accreditamento, che garantiscano la sussistenza dei requisiti minimi essenziali. Inoltre è indispensabile potenziare i sistemi di valutazione. Il nostro progetto prevede che una quota crescente delle risorse statali venga assegnata sulla base dei risultati ottenuti nella didattica e nella ricerca, invece che sulla base della spesa storica, come avviene oggi.

Pensa che le università italiane abbiano le qualità necessarie per affermarsi in campo internazionale?

Certamente. La fuga dei cervelli è un sintomo gravissimo delle difficoltà del nostro sistema, ma dimostra anche che nel Paese c’è un capitale umano considerevole, che chiede di essere valorizzato e che potrebbe far compiere alla nostra Università un vero salto di qualità. Per questo è necessario che il principio di sussidiarietà guidi gli interventi anche in ambito universitario: bisogna rendere effettiva l’autonomia degli atenei, che meglio di qualsiasi governo conoscono le esigenze degli studenti e possono trovare le strade più adatte per rispondervi. La mia idea è che il reclutamento del personale docente possa avvenire, almeno in parte, a livello locale, con regole meritocratiche stabilite dai singoli atenei e dalle facoltà. Ovviamente i docenti selezionati non diventerebbero dipendenti pubblici, ma sarebbero assunti con contratti di diritto privato autofinanziati dalle Università, non solo dalle risorse statali.

Oggi esistono vincoli di legge molto rigidi sul finanziamento.

Sono limiti che soffocano il sistema universitario. Bisogna abolire i tetti massimi previsti per le tasse studentesche. L’Università costerebbe di più, ma potrebbe offrire servizi migliori e gli studenti pretenderebbero, giustamente, garanzie di qualità. Tasse più alte devono però accompagnarsi a meccanismi di sostegno per gli studenti meritevoli ma privi di mezzi molto più consistenti di quelli che esistono oggi. Un’Università capace di stare sul mercato deve potersi reggere sulle proprie gambe. E deve poter rispondere alle esigenze del mercato: gli atenei devono essere liberi di stabilire un numero massimo di studenti per ogni corso, selezionati secondo criteri meritocratici. La massificazione indiscriminata non giova a nessuno, crea un livellamento verso il basso che sono gli studenti stessi a pagare quando si affacciano sul mondo del lavoro. È indispensabile che l’Università superi l’autoreferenzialità oggi dominante. Si potrebbe prevedere che ogni ateneo stabilisca la propria forma giuridica, in particolare lasciando la possibilità di trasformarsi in Fondazione, così da reperire fondi privati e favorire la cooperazione con imprese e centri di ricerca. Sono convinto che provvedimenti di questo tipo, se considerati come un sistema e non come una serie di misure a sé stanti da attivare o abolire a seconda delle convenienze del momento, libererebbero le energie che già esistono nel mondo universitario italiano, rendendo possibile quel rilancio di cui tutti avvertiamo l’urgenza.

(Foto: Imagoeconomica)






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