SCUOLA/ Le Regioni usano 12mila precari per far opposizione al governo

- Eugenio Gotti

Decreto Legge “salva precari”: un’occasione persa per le Regioni. Questo in sintesi il parere di EUGENIO GOTTI, esperto di politiche per l’istruzione, a fronte del parere negativo dello scorso 5 novembre dato dalla Conferenza Stato Regioni al DL 134/09 del ministro Gelmini

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Il 5 novembre la Conferenza Stato Regioni ha registrato il parere negativo della maggioranza delle Regioni alla legge di conversione del Decreto Legge 134/09, il cosiddetto “salva precari“. Tra le presenti solo Lombardia, Abruzzo e Sardegna hanno dato parere favorevole.

Il decreto legge è un intervento di sostegno al personale docente e non docente della scuola con contratto annuale nell’anno scolastico 2008-09 che non ha avuto il rinnovo a causa della riduzione dei posti operata con la finanziaria 2008: dei 42.000 posti di docenza ridotti, 30.000 sono stati coperti da pensionamenti, quindi resta interessata una platea di circa 12.000 docenti precari.

Il provvedimento oltre a dare priorità a questi insegnanti nella chiamata per supplenze brevi, consente alle Regioni con fondi propri di sostenere progetti promossi dalle scuole, con il coinvolgimento prioritario di questi lavoratori.

La novità è che questi interventi si configurano come politiche attive del lavoro: infatti i precari che partecipano ai progetti regionali mantengono lo status di disoccupato e il sussidio di disoccupazione, a cui si aggiunge ad integrazione un’“indennità di partecipazione“ e il riconoscimento dell’intero anno di servizio ai fini dell’attribuzione del punteggio nelle graduatorie.

Si tratta di un intervento di carattere straordinario che si fa carico dell’impatto sui lavoratori precari della contrazione di posti, consentendo un’efficace integrazione delle azioni regionali, nell’ambito delle proprie competenze di politiche attive del lavoro e di politica scolastica e formativa.

Il provvedimento è già stato approvato dalla Camera il 21 ottobre ed è al momento all’esame del Senato.

 

È quindi prevedibile che il parere della Conferenza Stato Regioni, non essendo vincolante, non avrà conseguenze sull’attesa conversione in Legge, ma getta un’ombra sull’effettiva ripresa dei rapporti tra lo Stato e le Regioni, appena recuperati dopo mesi di stallo.

 

Le motivazioni del rifiuto delle Regioni, più che al merito del provvedimento, sembrano legate al non volersi compromettere con le conseguenze della riduzione dei posti da parte del Governo, come se l’attivazione di forme di sostegno ai precari fosse un sostegno alla politica governativa. Così il vicepresidente della Giunta regionale calabrese: «È paradossale il tentativo del Governo di scaricare sulle Regioni e sugli enti locali la drastica riduzione di personale scolastico».

Le stesse Cisl e Uil, sentite il giorno prima dalle Regioni, hanno mantenuto invece un approccio più positivo, riconoscendo la ratio dell’intervento straordinario e addirittura che interventi di immediate e concrete tutele sul piano economico e giuridico erano stati sollecitati dalle stesse organizzazioni sindacali.

 

Per altro è da sottolineare come molte Regioni abbiano già siglato specifiche intese con il Miur per l‘attivazione dei progetti.

 

 

In questa direzione si è mossa la Lombardia, che ha sottoscritto tempestivamente un accordo con il Miur già il 7 settembre, attuato poi il 13 ottobre attraverso un patto territoriale con l‘Ufficio Scolastico Regionale, firmato da tutte le sigle sindacali regionali, compresa la Cgil.

Sono già state raccolte le richieste di adesione da parte dei precari – 750 in tutto – e sono in corso gli incontri tra il personale e le scuole ed enti di formazione promotori dei progetti.

È da evidenziare che iniziative di questo tipo possono offrire anche lo spunto per sperimentare forme nuove di politica scolastica; per questi progetti infatti scuole e docenti in Lombardia si incontrano liberamente e non seguono punteggi o graduatorie.

È anche in questo modo che si creano i presupposti affinché le Regioni agiscano concretamente sulla base delle competenze attribuite dal Titolo V, che ancora attende di essere attuato forse anche per la poca iniziativa di molte delle Regioni stesse.

 

Infine, è questo un caso esemplare di applicazione del principio di sussidiarietà e di piena responsabilità di ciascun livello istituzionale nell’offrire risposte per il bene comune; da questo punto di vista molte Regioni hanno perso un’occasione importante.





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