SCUOLA/ Il tetto del 30 per cento agli studenti stranieri, un insulto all’autonomia degli istituti

- Marco Campione

MARCO CAMPIONE prende di mira sotto diversi punti il provvedimento del ministro Gelmini volto a imporre un tetto massimo del 30 per cento sul totale degli iscritti stranieri in nelle aule scolastiche italiane

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21 alunni iscritti e frequentanti, dei quali: 4 hanno nome e cognome italiano, 17 non hanno nome e cognome italiano (di questi uno ha mamma italiana e papà straniero); di questi 17, 8 hanno nome e cognome straniero ma sono nati in Italia, 9 non sono nati in Italia; di questi 9: 5 hanno frequentato almeno la scuola primaria in Italia, 1 è di seconda alfabetizzazione (quindi ha già fatto in Italia almeno un intero anno scolastico), 3 sono di prima alfabetizzazione (di questi 2 sono arrivati quest’estate per il ricongiungimento famigliare e hanno le mamme in Italia, che lavorano, in regola, già da 5 anni). Riassumendo: su 21 alunni di cui l’81% con nome e cognome non italiano solo 3 sono di prima alfabetizzazione, quindi il 14%.

E così l’annunciato provvedimento sulle quote di studenti stranieri è arrivato. Venerdì scorso il Ministro Gelmini ha diramato una circolare per sancire che «il numero degli alunni stranieri presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30% del totale degli iscritti, quale esito di un’equilibrata distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana tra istituti dello stesso territorio», che il provvedimento varrà dal prossimo anno scolastico, ma solo per le classi prime di ogni ordine e grado (quelle per le quali sono aperte le iscrizioni da settimane: non si poteva intervenire prima, visto che l’annuncio è del settembre scorso?), che le Direzioni regionali potranno modificare la quota, aumentandola «a fronte della presenza di alunni stranieri (come può frequentemente accadere nel caso di quelli nati in Italia) già in possesso delle adeguate competenze linguistiche», ovvero diminuendola «a fronte della presenza di alunni stranieri che dimostrino all’atto dell’iscrizione una padronanza della lingua italiana ancora inadeguata».

Questo il venerdì. Poi la domenica la correzione in corsa: saranno esclusi i nati in Italia. Forse il Ministro ha ricevuto una lettera come quella citata all’inizio di questo articolo, che descrive una classe qualsiasi di una scuola milanese definita “ad alta densità di stranieri”. Oppure Il Ministro ha parlato con i suoi, visto che – restando alla sola Milano – sia Colosio che Moioli avevano già fatto sapere che l’approccio “aritmetico” non lo avrebbero seguito e Salvini (Lega Nord) che avrebbe fatto le barricate per salvare la “scuola ghetto” (uso la terminologia cara al Ministro, Salvini ha invece parlato di fulgido esempio di integrazione) di Via Paravia: 95% di non italiani.

 

Dunque i nati in Italia non saranno più causa di aumento della quota concessa, ma saranno proprio esclusi dal computo. Resta da correggere la circolare, ma sono certo che questo avverrà nelle prossime ore. Sia chiaro: la circolare redatta dal Dott. Dutto, uno dei migliori dirigenti del MIUR, è – dal punto di vista “tecnico” – molto ben fatta, ma anche il migliore dei dirigenti non può certo fare di testa sua. E in questo caso il mandato politico doveva essere chiaro ed era viziato da un peccato d’origine. Si fa troppo spesso confusione (chi per strizzare l’occhio alla Lega, chi per ignoranza, chi perché in malafede) parlando di bambini stranieri genericamente intesi: si cominci a parlare di studenti di prima alfabetizzazione o – se si vuole farla semplice – di studenti che non conoscono la lingua italiana. E spero nessuno vorrà obiettare che la circolare cita la competenza linguistica tra i fattori che modificano la soglia, perché nessuno in buona fede può farlo. Appare infatti evidente che un conto è dire «facciamo le classi in base alle competenze in entrata», altro è dire «fissiamo un tetto e poi gli USR decidano correttivi». Il primo modo è razionale il secondo è pilatesco. Tra l’altro se il discrimine è la competenza linguistica, il 30% è un limite probabilmente troppo alto ed aver indicato questa soglia è la conferma che il provvedimento è tutto ideologico e non si ha nessuna intenzione né di farlo rispettare, né tanto meno di risolvere il “problema”.

Gelmini ha motivato il provvedimento con la più classica delle frasi a effetto: impediremo la sopravvivenza delle classi ghetto. Peccato che queste “classi ghetto”, quando esistono, esistono non per volontà dei genitori stranieri che iscrivono i propri figli in questa o quest’altra scuola (cosa che non si può dire dei genitori italiani), ma per cause che non potranno essere nemmeno sfiorate da questo provvedimento amministrativo. La “classi ghetto” esistono (ed esisteranno sempre di più) in quegli ordini di scuola dove vanno per lo più cittadini figli di immigrati; mi riferisco in particolare all’istruzione e formazione professionale, che si sta trasformando in una “scuola ghetto”. Le “classi ghetto” esistono là dove una scuola incide esclusivamente su un territorio ad alta densità di cittadini immigrati, ma  il 70% degli “stranieri” iscritti alla Materna sono nati in Italia(dati Caritas), quindi il problema non è la conoscenza della lingua, ma eventualmente di maggiore integrazione e dunque – se si fanno politiche volte a favorirla – parliamo di un problema transitorio.

 

 

Sul breve periodo servono provvedimenti di tutt’altra natura, quale ad esempio l’utilizzo della tassazione locale (rette per le mense, abbonamenti bus gratuiti eccetera) per favorire una redistribuzione volontaria e non coatta.

Se poi vogliamo discutere del provvedimento in sé, le ragioni per cui non va bene sono diverse. La più generale è che non si può affrontare un tema così importante per via amministrativa; la più assurda sta nel pretendere di risolvere la questione mettendo un tetto predeterminato (senza peraltro aver giustificato in nessun modo quel numero: se il problema è la non conoscenza della lingua, il 30% di alunni che non parlano l’italiano è perfino troppo); la meno inaspettata è che siamo di fronte ad un ennesimo provvedimento centralista: ignora gli Enti Locali e insulta l’autonomia scolastica, visto che mette in capo agli Uffici Scolastici Regionali (e dunque al Ministero) e non alle singole scuole la decisione di eventuali deroghe. E questi sarebbero i federalisti? Che fine ha fatto la tanto decantata sussidiarietà?

In un articolo di alcuni giorni fa, Cominelli su ilsussidiario.net ha sostenuto che sulla scuola si confrontano il “conservatorismo del centrosinistra” e il “riformismo debole del centrodestra”. In generale ho i miei dubbi su questa semplificazione (vedo i conservatori e i riformisti “forti” minoritari in entrambi gli schieramenti e mi preoccupo), ma in questa occasione è vero il contrario: il centrosinistra ha espresso (si veda l’intervista di Penati al Corriere del 10 gennaio) le punte più avanzate di “riformismo” e il centrodestra ha fatto il pendolo tra il populismo più becero e il tentativo di mettere toppe peggiori del buco, per poi “sostituirle” con un provvedimento che così modificato inciderà su un numero di scuole che si conta sulle dita di una mano o due. Peccato che il pallino in mano oggi lo abbia il centrodestra, che ha dimostrato una volta di più la propria mancanza di volontà, per non dire l’incapacità, di affrontare i veri nodi. Purtroppo per tutti noi, la caratteristica dei nodi è che prima o poi vengono al pettine. E quando vengono al pettine, per scioglierli ci si fa male.





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