SCUOLA/ I tre "virus" che condannano ogni tentativo di riforma
27 gennaio 2012 Felice CremaFoto: Imagoeconomica
Due sono i punti cui dovrà essere posta la più vigile attenzione e su cui dovranno essere attuati gli interventi più incisivi (e prioritari): il rapporto con l’amministrazione (e questo comporterà di conseguenza il ridimensionamento del peso sindacale); il rapporto con l’università, cui oggi è stato affidato in via esclusiva il compito di legittimare il sistema, sia per quanto riguarda l’abilitazione degli operatori sia per quanto riguarda i contenuti di insegnamento. Amministrazione e accademia rappresentano infatti le due ganasce di una morsa da cui il sistema formativo deve uscire non per rifiutare, ma per rinegoziare i rapporti su una base non subalterna.
Si tratta in fondo di stipulare un nuovo “compromesso di Humboldt” non tra due ma tra più soggetti. E la scuola come tale dovrà essere non oggetto, ma uno dei soggetti che sottoscriveranno il nuovo patto.
© Riproduzione Riservata.
Non se ne esce. Si può discutere all'infinito su come riformare la scuola dello stato. Bisogna che la scuola torni dove e' nata: alla società. Tappe intermedie: abolizione del valore legale del titolo di studio. (anni fa in seguito a questa mia affermazione uno studioso di cose di scuola è saltato sulla sedia.. Ma adesso se ne parla...). Liberalizzazione dell'apprendistato (si può obbligare un ragazzo di 15-16anni ad imparare?).
... in attesa di rispondere più ampiamente e compiutamente... "unificazione del profilo formativo almeno fino al diciottesimo anno di età" mi sembra proprio di no, almeno per quanto riguarda la riforma Gelmini: i percorsi della secondaria di secondo grado, infatti, sono stati differenziati, tanto come ordinamenti didattici, quanto come indicazioni nazionali. All'insegna della libertà di scelta.
“Le questioni poste sono direttamente riconducibili alla concezione di *libertà di educazione*” che, per la vastità del suo significato, le rende irrisolvibili. E’ essenziale che chi opera nella scuola abbia una terminologia condivisa, è necessario che la legge sia rispettata, soprattutto come strumento di definizione dei significati. Si prenda ad esempio l’art. 2 della legge Moratti che attribuisce alla scuola due responsabilità: la prima riguarda la progettazione dei processi di apprendimento, l’altra la formazione spirituale e morale. L’educazione attiene al primo mandato e riguarda la promozione e il potenziamento delle capacità dei giovani: si riferisce al campo del razionale! E’ proprio l’indeterminatezza terminologica che ha sterilizzato la “programmazione dell’azione educativa”, che ha impedito di superare l’individualismo imperante, che ha tollerato e tollera che le università, che non hanno alcuna esperienza in materia, traccino le linee guida, che ha incatenato l’autonomia delle scuole, snaturandola.