SCUOLA/ Business e testa fra le nuvole: così funziona dove è (davvero) digitale

- Alberto De Simoni

Negli Usa le scuole fanno a gare nel dotarsi di strumenti informatici da far usare agli alunni. I laboratori sono già preistoria. Ma il business ha un prezzo. ALBERTO DE SIMONI

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GAINESVILLE, Florida — La domanda da cui è partita la mia riflessione-divagazione linguistica ha un concreto riscontro qui negli Stati Uniti. Apple Schools, Microsoft Schools. Non è questione di Steve Jobs contro Bill Gates. È questione di tecnologia contro non-tecnologia. La maggior parte delle scuole, soprattutto private, se vuole competere sul mercato della sua regione (città, contea, o stato a seconda dell’ambizione), e soprattutto con la concorrenza fortissima delle Charter Schools, deve essere al passo e dotarsi di programmi one-to-one. Quest’accattivante formula, che suggerisce un’attenzione particolare e personale al singolo, significa semplicemente che ciascuno studente è dotato di un apparecchio elettronico che diventa lo strumento di lavoro quotidiano, in classe e a casa. Laboratori ce ne sono, ma sono già preistoria. Così come spesso lo sono i libri, soppiantati quasi completamente da e-book. Gioiscono le case produttrici di apparecchiature elettroniche e i provider di servizi internet, mentre le case editrici si adeguano, offrendo soluzioni che ancora non ho trovato significativamente diverse dal libro cartaceo in versioni più o meno elaborate di pdf.

Le scuole investono in tali programmi per l’immediato ritorno che ricevono in termini di iscrizioni. La fama della scuola cresce e, con capaci consulenze di marketing, si mette sul mercato vantando un’avanguardia o un qualcosa di speciale che le altre non hanno. I genitori sono contenti perché mandano i loro figli nella scuola che è considerata la migliore, e sono disposti a pagare più soldi, nella speranza che tale avanzamento tecnologico permetta ai loro figli un avanzamento negli uffici di ammissione ai college. Un college migliore vuol dire un salario migliore per i figli. E così via. Stiamo, quindi, parlando di un investimento economico che risponde a logiche di mercato. Il tutto è raccontato e descritto secondo una narrativa del successo. Scuola e genitori sono quindi contenti e non si risparmiano di proclamarlo ad ogni occasione che si presenta: sui giornali, agli eventi social della scuola, agli amici che stanno scegliendo la scuola per i loro figli etc. 

In perfetto stile americano, quindi, la tecnologia a scuola è un business. E il business funziona così: più spendi, più guadagni. Infatti, la scuola per mantenere questi programmi one-to-one deve investire enormemente. E l’investimento non è una tantum. Nelle scuole in cui ho insegnato, a seconda della loro dimensione, da uno a tre impiegati erano a tempo pieno dedicati alla gestione ordinaria della strumentazione informatica. Non saprei dire se la maggioranza, ma sicuramente gran parte delle energie di questi IT guys è dedicata al “controllo”. Bloccare app e software di messaggistica istantanea, giochi, siti di e-commerce e via dicendo, è un’attività quotidiana e che il dipartimento IT svolge sempre in ritardo, inseguendo nuove uscite o nuovi stratagemmi inventati dai ragazzi. La dipendenza dagli strumenti dell’apprendimento, poi, è totale.

Ricordo quando per una settimana la rete internet della scuola in cui lavoravo aveva problemi di stabilità (non accadeva spesso, fortunatamente). Alla mia richiesta agli studenti di chiedere cosa non avessero capito dei compiti, la risposta in coro fu: “Non lo sappiamo, il wi-fi non funziona”. Avere la testa tra le nuvole, nell’era digitale, diventa letteralmente possibile. 

Non serve notare, come probabilmente colleghi insegnanti avranno fatto leggendo, che in questo processo di quel sostantivo, scuola, c’è ben poco. 

(2 – continua)







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